Kazakistan nel caos : lo scacco americano all’ex impero sovietico

I disordini kazaki costituiscono un vero e proprio incubo per Mosca e per Pechino

Il gigante centrasiatico incastonato tra Russia e Cina, traballa pericolosamente.

Da alcuni giorni violenti moti di piazza stanno scuotendo il Kazakistan. Le prime sporadiche manifestazioni sono state registrate il due gennaio. Nei giorni successivi le proteste si sono allargate al resto del Paese, divenendo un fenomeno su larga scala.

Lotte claniche per il potere e malcontento popolare infiammano le piazze del paese ex sovietico e mettono il punto e a capo alla trentennale egemonia del padre della patria Nursultan Nazarbaev.

I violenti disordini di piazza che hanno travolto il Kazakistan in questi giorni sono stati innescati in primis dal rincaro dei prezzi di gpl e benzina che di riflesso hanno avuto effetti su tutti i prezzi al consumo. Ma dietro questa fiammata (inflazionistica e di ordine pubblico) c’è una causa più remota: lo sbarco nel Paese ex Urss di decine di migliaia di aziende che trattato criptovalute. Le attività in bitcoin sono infatti ad altissimo impatto energetico e questo può aver contribuito al rialzo dei prezzi degli idrocarburi, liberalizzati dal governo kazako proprio a partire dal 2022.

Questa instabilità, non solo minaccia l’architettura geopolitica regionale ed eurasiatica, ma preoccupa, per ragioni diverse, sia Mosca che Pechino.

Fra i due è soprattutto il Cremlino il più turbato e coinvolto dalla crisi kazaka. Altra rivolta ‘a orologeria’ che in pochi nella Federazione Russa considerano spontanea. Sommossa esplosa a pochi giorni dall’incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e quello statunitense Joe Biden per discutere le sorti dell’Ucraina e delle inquietudini securitarie di Mosca per i suoi confini occidentali minacciati dalla presenza dell’Alleanza Atlantica.

La preghiera quotidiana di ogni stratega russo o sovietico è sempre stata la regolare verifica della stabilità della sua frontiera occidentale, fonte primaria d’ogni minaccia. Fossero svedesi o polacchi, francesi o tedeschi, era di lì che sempre passavano gli invasori, prima o poi costretti a invertire la marcia lungo i rispettivi corridoi di penetrazione.

Putin non fa certamente eccezione nella pratica di questo obbligato esercizio liturgico. Ma in questi ultimi giorni, quando lascia galoppare la mente nella rapida perlustrazione degli sterminati confini russi, il sovrano del Cremlino deve torcere lo sguardo anche verso oriente.

Putin vede la crisi come parte della manovra a tenaglia di Usa e NATO per rovesciarlo. Difficile sia così, ma conta di più la percezione. Anche perché il Kazakistan è solo il più recente confine russo a piombare nel caos.

Questa volta la Russia sa di giocarsi il tutto per tutto.

Una settantina di aerei hanno trasferito circa 2.500 soldati russi in territorio kazako per collaborare con le forze di sicurezza locali per il ripristino dell’ordine e della stabilità.

Il Kazakistan ha nella sua terra una delle principali riserve di petrolio del mondo, con una produzione di 1,6 milioni di barili al giorno. Una miniera d’oro che negli anni ha attratto importanti investimenti stranieri, senza che però la popolazione abbia mai beneficiato di tutto questo: il salario medio annuo non arriva a 3mila euro.

Nei primi giorni di tensione ad Almaty i manifestanti hanno dato alle fiamme la sede del governo locale e altri edifici istituzionali, sono stati occupati l’aeroporto e diverse strade mentre si sono registrati violenti scontri con le forze di polizia. Scene simili si sono ripetute in altri centri urbani, come la capitale Nur-Sultan. Il primo bilancio è stato di decine di feriti e centinaia di arresti, poi la situazione è degenerata.

Negli scontri sono morti 18 agenti delle forze di sicurezza e altri 748 sono rimasti feriti. Il capo di Stato kazako ha accusato per la rivolta quelli che ha definito "terroristi" addestrati all’estero.

Secondo quanto riferito da un comunicato del Knb, il Comitato per la sicurezza nazionale del Kazakistan, l'ex capo dei servizi di sicurezza kazaki ed ex premier Karim Masimov, è stato arrestato per alto tradimento. Fedelissimo dell'ex presidente Nursultan Nazarbayev, Masimov era stato sollevato due giorni fa dalla carica, che manteneva dal 2016, dall’attuale presidente Tokayev.

Secondo le accuse lui è uno dei cospiratori che hanno favorito l'occupazione del comando della Sicurezza Nazionale ad Almaty. L’accusa ha inoltre affermato che i rivoltosi sapessero dove trovare armi e fossero stati "preparati dal punto di vista ideologico".

Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, al termine della riunione straordinaria dei ministri degli Esteri dell'Alleanza Atlantica ha chiesto la fine delle violenze. "I diritti umani - ha affermato - devono essere rispettati e ciò include libertà d'espressione e manifestazioni pacifiche".

La situazione allarma anche l'Europa. La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha affermato di seguire gli sviluppi con "grande preoccupazione", mentre il presidente francese Emmanuel Macron ha chiesto una de-escalation.

Nel frattempo il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo kazako Tokayev hanno avuto un ''lungo'' colloquio telefonico sulla situazione in Kazakistan. Lo rende noto il Cremlino spiegando che Tokayev ha aggiornato ''nei dettagli'' Putin sulla situazione nel Paese, ''sottolineando che la situazione sta evolvendo verso la stabilizzazione''. Tokayev ha anche ringraziato l'alleanza militare Csto (Il Trattato di Sicurezza Collettiva formato da Russia, Bielorussia, Armenia, Kirghizistan e Tagikistan) e ''in particolare'' la Russia per l'aiuto fornito nel sedare le proteste.

Al momento Putin usce vincitore da questa vicenda. Il Kazakistan è infatti da decenni un alleato di ferro del Cremlino, con particolare riferimento al settore energetico e alla sicurezza, ma quanto sta accadendo nel Paese centro asiatico porterà questo legame a un livello ancora superiore. In sostanza, Tokayev ha sacrificato la sovranità nazionale kazaca mettendo nelle mani di Putin la sopravvivenza del suo regime.

La Cina, dal canto suo, rimane per ora alla finestra. L’appoggio ufficiale di Xi Jinping a Tokayev è arrivato durante una telefonata tra i due, ma senza dubbio la decisione del presidente kazaco di guardare immediatamente alla Russia per ottenere aiuto non è passata inosservata a Pechino. Il Kazakistan è infatti molto vicino anche alla Repubblica Popolare. A livello innanzitutto logistico, con le Vie della Seta cinesi che hanno nel Paese uno snodo fondamentale. Non a caso, proprio dal territorio kazaco, Xi ha lanciato il progetto nel 2013 e dall’indipendenza del Paese centro asiatico i cinesi vi hanno investito decine di miliardi di dollari. Ma anche a livello energetico: circa un quinto del gas naturale importato dalla Cina deriva o comunque transita per il Kazakistan e Pechino ha in Nur-Sultan uno dei principali fornitori anche di petrolio e rame.

La situazione sembra volgersi verso una stabilizzazione dell’area.

Ma una cosa è certa, per ora, anche se spento, l’ “incendio” divampato in Kazakistan segnerà comunque un punto di non ritorno.

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Articolo pubblicato il 10/01/2022