La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Cimicin e Pantalon: un delitto alle «Cŕ Neire» (Conclusione e fine)

Leggi qui la Prima Parte.

Il portinaio della casa di via Cottolengo 69, Domenico Moltini, di  47 anni, tiene anche una modesta osteria, e dà talvolta alloggio ai suoi avventori.

La sera di mercoledì 7 novembre 1900, fra questi, si trovavano nella sua osteria un tale che dice di essere Giovanni Battista Pagliero, sensale di cavalli e di asini, d’anni 50, e un altro individuo, conosciuto dall’oste-portinaio col solo nomignolo di Gioanin ‘l maire [Giovannino il magro, N.d.A.], di circa 60 anni, di cui si ignora la professione, ma si crede anch’esso sensale di cavalli.  

Il sedicente Pagliero è in realtà Stefano Testa, detto Pantalon, che, evidentemente in difficoltà con la legge, ha dichiarato false generalità.

Questi due avventori chiedono al Moltini di alloggiarli per la notte e lo pregano inoltre di svegliarli prestissimo al mattino successivo, perché devono recarsi alla fiera di Vigone. Verso mezzanotte i due si ritirano in una camera sopra l’osteria, dove è disponibile un solo letto per entrambi. Tutti e due hanno fatto fin troppo onore al vino di Moltini e sono in uno stato d’ubriachezza alquanto avanzata.

Nella notte capita qualcosa che porta a tragiche conseguenze.

Secondo Moltini, dopo che i due si sono spogliati e messi a letto, Pagliero ha iniziato a scherzare e a tormentare il suo compagno. Non si sa che scherzi fossero, ma certo non erano fini e spiritosi e sono durati fin verso le 2 del mattino. A quest’ora, Gioanin ‘l maire, stufo e adirato, si è alzato dal letto con l’intenzione di vestirsi e andarsene. Pagliero non ha gradito quella diserzione, è balzato fulmineo dal letto, si è avventato sul compagno e gli ha scagliato un terribile pugno sul capo.

Gioanin ha recuperato dai suoi abiti, lasciati su una sedia, ha frugato nelle tasche, ne ha estratto il saccagn, il coltello doppio, affilatissimo, usato per tagliare le tasche e rubare i portafogli. Con questo ha colpito alla gola Pagliero, che è caduto a terra, contro il letto, in un lago di sangue.

Gioanin si è rivestito in fretta, ha raggiunto la porta e ha preso il largo, protetto dall’oscurità nebbiosa della notte.

Intanto Pagliero si è in parte ripreso, riesce a rialzarsi, tenta di inseguire il suo feritore, ma, giunto sul pianerottolo della scala, stramazza di nuovo al suolo.

Il portinaio Moltini, che ha ascoltato il rumore della rissa, si alza e accorre. Va alla ricerca di una carrozza pubblica e di due guardie municipali. Queste accorrono e, dopo aver medicato alla meglio la profonda ferita alla gola di Pagliero, lo trasportano all’Ospedale di San Giovanni. Malgrado le cure mediche, Pagliero muore dopo tre ore, senza aver potuto pronunciare una parola.

La mattina, molto presto, giungono sul luogo del delitto le Autorità e iniziano le ricerche per trovare e arrestare l’uccisore, latitante.

Secondo l’anonimo cronista de La Stampa che racconta l’episodio col titolo «Uno strano e misterioso omicidio» nel numero di giovedì 8 novembre, «si spera che questo arresto avverrà fra breve poiché si tratta di un uomo quasi vecchio e senza mezzi, che non potrà andare molto lontano».

Le cose non sono così semplici. La consapevolezza dell’enorme delitto commesso a Gioanin ha fatto sbollire l’ubriachezza e gli ha animato le gambe, portandolo a distanza dalla giustizia. Viene identificato come Giovanni Abbà, sensale di bestiame girovago sui mercati. Riesce inizialmente a rimanere latitante e viene catturato soltanto grazie all’impegno del brigadiere Pietro Soro, uno dei migliori poliziotti della Questura torinese.

L’attempato assassino viene scovato ad Alba, arrestato e, il 18 aprile 1901, viene processato alla Corte d’Assise di Torino.

Il cronista Cini Rosano così lo descrive: «è un omuncolo secco secco, esile come un giunco e con una vocina da campana fessa. Del resto, i suoi soprannomi di Cimicin e Gioanin ‘l maire ci dicono subito chi sia». Giovanni Abbà si dichiara mediatore di bestiame mentre la Questura lo descrive come frequentatore delle fiere per svolgervi l’attività di borsaiuolo, certo più redditizia di quella di sensale.

Gioanin ha pesanti precedenti penali, come ricorda Cini: «E veramente quando il cancelliere lesse il novero delle sue benemerenze... verso la giustizia scrupolosamente consacrate nel foglietto giallo della fedina penale, la tiritera pareva non volesse finire più, e quando, dopo aver letto condanne su condanne in un bel numero, disse, traendo un lungo sospiro: «Non c’è altro!», il pubblico diede in una clamorosa risata. E ne aveva ben donde: il buon cancelliere si asciugava i copiosi sudori».

Come ha ascoltato impassibile e sereno la lettura dell’interminabile lista delle sue furfanterie, Gioanin, sempre con serenità, proclama la sua innocenza, malgrado le prove incontrastabili della sua colpevolezza.

Al dibattimento emerge un motivo del bisticcio notturno con Pantalon diverso da quello ipotizzato in primo tempo, ovvero che Gioanin fosse stato vittima di scherzi fastidiosi da parte del compagno di letto. Pantalon, infastidito dalle coperte, si dimenava nel giaciglio, continuava a rigirarsi, disturbando Gioanin, che stava prendendo sonno.

Seccato, questi gli ha detto: «Sei un gran vigliacco a disturbarmi così», poi si è alzato, si è rimesso i calzoni e ha fatto per uscire, borbottando.

È stato questo a scatenare l’aggressione da parte di Pantalon, che secondo l’accusa ha portato Gioanin a reagire col suo coltello tagliandogli di netto la regione giugulare. Ma questo Gioanin non vuole ammetterlo, perché si proclama innocente.

Secondo il verdetto dei giurati, viene condannato, per omicidio provocato, a dieci anni e sei mesi di reclusione.

Si conclude così la cronaca di Cini che segna la conclusione giudiziaria dell’omicidio «strano e misterioso» dell’anno precedente: un omicidio commesso per una baruffa avvenuta in un letto.

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Articolo pubblicato il 23/01/2022