Quirinalia. Il voto atipico di un Parlamento diviso con il trionfo delle schede bianche (aggiornamento delle ore 22,40 del 24 gennaio)

L’ombra di Draghi non abbandona lo scenario istituzionale

Ieri sera, come ampiamente previsto, si è concluso il primo scrutinio per l'elezione del tredicesimo presidente della Repubblica nell’Aula di Montecitorio con il Parlamento in seduta comune, integrato dai delegati delle regioni.

Le schede bianche sono state 672, nessuno ha raggiunto la maggioranza dei due terzi.  Il più votato è stato Paolo Maddalena con 36 preferenze, seguito da Sergio Mattarella con 16, poi Marta Cartabia con 9 preferenze e Silvio Berlusconi con 7. Giuliano Amato, Pier Ferdinando Casini ed Elisabetta Casellati hanno ricevuto 2 voti ciascuno.

I Grandi elettori sono riconvocati a Montecitorio domani pomeriggio alle ore 15 per la seconda votazione.

Il risultato un po’ tanto insolito della prima votazione per l’elezione del Presidente della Repubblica, dimostra che il parco buoi che ieri si è riunito a Montecitorio non è più controllato dal leader dei partiti  e le lotte intestine si acutizzano vieppiù.

In passato nel corso delle fasi elettorali, qualche partito sceglieva l’opzione scheda bianca  per delimitare un campo o verificare la tenuta delle truppe, prima di calare il nome decisivo. Oggi non si è neppure utilizzato un candidato di bandiera, perché i nomi circolati ad iniziare da quello del cattocomunista Andrea Riccardi, non avrebbero ottenuto voti apprezzabili.

La giornata è stata densa di incontri tra  esponenti dei due schieramenti, finalizzati a focalizzare il tandem Quirinale –Palazzo Chigi, sempre più inscindibile e forse qualcosa sta maturando.

Lo vedremo nei prossimi giorni. Se alziamo lo sguardo al mondo non possiamo non rimanere  preoccupati  del vento di guerra che aleggia sull’Ucraina, dalle tensioni internazionali, , che contribuiscono a causare  l’impennata della bolletta energetica.

Gli incontri tra i leader, in una trattativa atipica che parte dal Quirinale per coinvolgere governo, programma di legislatura e rivendicazioni dei partiti che sostengono il governo, è già di per sé inconsueta e difficile.

Ma cosa incombe sulla testa dei nostri politicanti?

Le grandi piazze finanziarie, hanno già tratto le  conclusioni. D’altronde, i giochi di palazzo sono una cosa, la credibilità di un Paese dal terzo debito pubblico al mondo è altra storia.

Questo è l’aspetto saliente che negli incontri che si intensificheranno  domani mattina, non dovrà essere messo in  secondo piano. Dopo decenni di sperperi e demagogia, anche per l’Italia i nodi vengono al pettine.

Non bisogna infatti mai dimenticare che l’Italia vive di prestiti. A cominciare dai mercati, che ogni anno sottoscrivono Btp per 400 miliardi e passa, finanziando metà della spesa pubblica nazionale. Poi c’è l’Europa e quei 200 miliardi del Recovery Fund, anch’essi in buona parte a prestito. Per tutti questi motivi l’Italia non può permettersi una risalita dello spread Btp-Bund, il termometro del debito sovrano. Rimasto, almeno fino ad oggi, su livelli contenuti, anche se  qualche fiammata si è verificata, con rendimenti sul decennale oltre l’1,1%.

E anche ieri, primo giorno di votazioni per il nuovo inquilino del Colle, il differenziale si è mantenuto su livelli di poco superiori ai 130 punti base. Segno che i mercati sono in attesa di capire se Mario Draghi traslocherà al Quirinale o rimarrà a Palazzo Chigi.

Una cosa sembra certa. Draghi non deve uscire dalla scena politica, preferibilmente rimanendo a Palazzo Chigi, in subordine salendo al Colle. Ma deve, ed è questo il voto della finanza internazionale, restare al centro della vita politica di oggi e di domani.

Di questo avviso sono, per esempio, gli analisti di Bank of America. I quali si attendono un esito politico di coesione fra i partiti, con Draghi alla guida o come premier o come Capo dello Stato. Questo, scrivono gli economisti della banca d’affari americana, manterrebbe calmo e tranquillo lo spread, con l’ex presidente della Bce da una parte garante della stabilità politica dall’alto del Quirinale o in una posizione più operativa a Palazzo Chigi.

Goldman Sachs, pochi giorni fa, era stata più netta nell’esprimere un suo giudizio sulla partita per il Quirinale, respingendo l’idea di eleggere Draghi presidente della Repubblica. Non tanto per una qualche forma di pregiudizio personale, ma perché l’ex presidente della Bce rappresenta ancora oggi una sorta di garanzia per la realizzazione del Recovery Plan.

C’è chi poi, come Bloomberg, tira in ballo direttamente lo spread. Senza il padre del whatever it takes al centro della scena, Chigi o Colle, si rischia di far schizzare il differenziale ben oltre i 200 punti base in poco tempo.

“Gli spread tra i titoli di Stato italiani e tedeschi a 10 anni si sono ampliati in vista del voto di questa settimana, ma non in modo enorme. Draghi è al potere da quasi un anno e in questo periodo c’è stata un’espansione economica del 6,3% ed ha realizzato una delle campagne di vaccinazione di maggior successo in Europa e avviato riforme per affrontare i mali di vecchia data, come una burocrazia gonfia e lenta sistema giuridico”, ha chiarito l’agenzia americana.

Non è tutto. Secondo un’altra banca d’affari, Credit Suisse, “quest’anno ci sono maggiori preoccupazioni rispetto alle scorse elezioni per il Quirinale, dal momento che uno dei principali contendenti è l’attuale attuale premier Draghi la cui azione del governo è risultata determinante per la recente stabilità politica dell’Italia e l’introduzione di riforme economiche chiave”.

Ed è Mario Draghi il boccino della politica anche per Alberto Nagel, ceo di Mediobanca.

Chiaramente, la migliore garanzia perché ciò accada è che Draghi rimanga in un ruolo istituzionale di primo piano per alcuni anni”. Insomma, Chigi o Colle, purché sia Draghi.

Questa è l’indicazione dei mercati internazionali che arriva ai nostri parlamentari di ogni colore, sempre pronti all’assalto alla diligenza per escogitare leggi, leggine e sussidi, infischiandosene del debito e delle valutazioni della finanza mondiale.

Se ad argomenti nobili ed inconfutabili aggiungiamo la posizione ferrea di un significativa schiera di parlamentari di non tornare a casa  per la fine  anticipata della legislatura, il gioco è fatto.

Domani alle 15, come annunciato da Fico, ricomincia la conta, ma non  sarà ancora il giorno decisivo.

Come giocheranno la partita i fantasmi influenti che aleggiano sulle piccole crape dei nostri leader?

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Articolo pubblicato il 25/01/2022