L'Italia e la sua geopolitica nello spazio

Quali sono i programmi dell'Italia nello spazio? Scopriamolo insieme.

C’è stato un tempo in cui si facevano grandi cose con pochi mezzi. Anche nello Spazio. Il 15 dicembre 1964 un gruppo di ricercatori dell’Università di Roma compiva un piccolo miracolo extraterrestre lanciando in orbita un satellite artificiale progettato e costruito in Italia, il San Marco 1. Il nostro paese diventava la terza nazione spaziale al mondo dopo l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, che avevano lanciato rispettivamente lo Sputnik nel 1957 e l’Explorer l’anno seguente. Nel 1962 britannici e canadesi lanciarono i satelliti Ariel e Alouette, che però furono costruiti negli Stati Uniti dagli americani: ecco perché il San Marco 1 è meritatamente sul terzo posto del podio spaziale.

Quel miracolo rese l’Italia degli anni Sessanta una nazione space-faring, un paese cioè che disponeva di capacità tecnologiche e umane per realizzare satelliti artificiali. Nel 1965 la Francia lanciò Asterix, il suo primo satellite, dal poligono algerino di Hammaguir, diventando così la sesta nazione spaziale. Parigi rivendica il primato che soppianterebbe il nostro paese sul terzo posto del podio, facendo leva sul fatto che realizzò in casa sia il satellite sia il razzo, mentre per lanciare il San Marco 1 gli italiani si fecero prestare un vettore Scout dagli Stati Uniti. Ma tutte le operazioni di lancio furono affidate alla squadra italiana, che si era addestrata negli Stati Uniti e che ebbe poi un’ampia delega operativa. Ergo, il primato italico è fuori discussione.

Le attività spaziali in Italia nacquero grazie a Gaetano Arturo Crocco e al suo allievo Luigi Broglio, scienziato, professore all’Università La Sapienza, generale dell’Aeronautica militare e padre del progetto San Marco. Fu grazie a lui e ai suoi collaboratori che l’Italia raggiunse lo Spazio dopo soli diciannove anni dalla fine del secondo conflitto mondiale. Da quella sconfitta bellica erano conseguite per il nostro paese limitazioni tali per cui sarebbe stato impensabile anche solo concepire di lanciare un satellite in orbita dopo pochi anni. Quando nel febbraio 1947 nella Sala dell’Orologio del Quai d’Orsay a Parigi fu siglato il trattato di pace, all’Italia vennero imposti ingenti impegni finanziari di risarcimento e la cessione di territori, ma soprattutto il nostro paese dovette ridurre le Forze armate limitandone gli sviluppi, tra cui quelli missilistici. Intervenendo all’Assemblea costituente il presidente del Consiglio De Gasperi definì il trattato un «amaro calice».

Le clausole afferenti alle forze militari furono attenuate in seguito all’ingresso dell’Italia nella Nato. Fu questo, unitamente alla determinazione di Luigi Broglio, a consentire di lanciare dalla Sardegna i primi razzi sonda Nike, comprati dagli americani, e poi di raggiungere lo Spazio. Nel dopoguerra la missilistica fu sviluppata per ovvi scopi militari, ma anche per ricerche scientifiche e in particolare per lo studio dell’alta atmosfera. Pure gli scienziati italiani del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), guidati dal fisico Edoardo Amaldi, si interessarono a questa nuova e promettente disciplina. Amaldi apprezzava l’iniziativa di Broglio, ma era in maggior sintonia con Pierre Auger, eminente fisico nucleare francese, con il quale puntava a creare un’istituzione europea per l’esplorazione dello Spazio in maniera similare a quanto fatto nel 1957 con Euratom, l’organizzazione che coordinava i programmi di ricerca nucleare per assicurarne un uso civile.

Ergo, l’Italia ha sempre avuto due punti grosse correnti in ambito spaziale. Una che prevede una maggiore integrazione della nostra Repubblica con le istituzioni e i Paesi europei (la linea Amaldi); l’altra invece, quella di Broglio, che sostiene un’alleanza stretta con gli Usa col fine di ritagliarci un primato mondiale come Nazione sfruttando le strutture militari della NATO.

Quando nel 1975 fu istituita l’Esa, il San Marco viveva già da anni una sua crisi d’identità. L’Italia non poteva permettersi di aderire all’Agenzia europea, che tra i suoi obiettivi principali aveva – e ha tuttora – lo sviluppo del lanciatore Ariane e mantenere allo stesso tempo il progetto San Marco.

In sintesi, tra le due visioni tecnopolitiche dell’esplorazione spaziale del dopoguerra – quella europeista di Amaldi e quella filoamericana di Broglio – fu la seconda a concretizzarsi. Anche nello Spazio l’entrata in campo di quello che fu poi definito il «vincolo esterno» risolse la questione della scelta strategica. Però, non seguì la necessaria presa in carico da parte del governo e del parlamento di una coerente politica industriale di settore e così le aziende affrontarono il contesto competitivo da sole.

Interessante notare che in ambito spaziale europeo la Germania è completamente assente. Questo per noi risulta ancora un grosso vantaggio competitivo.

Anche in questo settore il nostro paese intrattiene rapporti molto articolati con l’estero. Grandi imprese italiane sono presenti in Europa e oltre, mentre diverse aziende straniere operano sul nostro territorio attraverso partecipazioni maggioritarie, sedi o acquisizioni industriali.

La sicurezza dell’Italia sarà sempre più dipendente dallo Spazio. È perciò imperativo sfruttare e valorizzare il nostro considerevole patrimonio industriale, a partire da una chiara definizione del nostro interesse strategico anche in questo campo.

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Articolo pubblicato il 28/01/2022