Les Italiens de Paris (1928 – 1933), a Torino

In mostra al Museo Accorsi – Ometto fino al 27 febbraio 2022

Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Massimo Campigli, Filippo de Pisis, René Paresce, Gino Severini, Mario Tozzi sono i sette artisti che hanno ridisegnato le sorti della pittura italiana nel XX secolo, in quel quinquennio d’oro, che va dal 1928 al 1933, in cui si è compiuta l’avventura francese dei cosiddetti Les Italiens de Paris.

L’esposizione, curata da Nicoletta Colombo e Giuliana Godio, restituisce attraverso una settantina di opere il clima artistico dialogante e provocatorio di un crocevia spazio-temporale unico e irripetibile.

La vicenda del “Gruppo dei sette” inizia ufficialmente nel 1928, anche se tutti i componenti sono presenti e operativi nella Ville Lumière da tempo. Il loro linguaggio, al di là delle diversità tematiche e stilistiche individuali, si orienta verso un nuovo classicismo mediterraneo trasognato, con qualche inflessione surreale e neometafisica, in equilibrio tra reale e fantastico, storia e mito, tradizione e avanguardia.

Il titolo della mostra si ispira a “Parigi era viva”, autobiografia di Gualtieri di San Lazzaro, scrittore e critico d’arte italiano emigrato a Parigi, in cui vengono raccontate la vita e le vicende lavorative di Picasso, Matisse e de Les Italiens.

Non è questa la sede per trattare delle ampie biografie umane ed artistiche dei sette Italiens de Paris; seguire il percorso della mostra significa entrare nel clima di quel tempo, una manciata di anni a cavallo fra gli Anni Venti e Trenta del Novecento, nella Parigi che era diventata un rifugio dalle dittature che pervadevano la vecchia Europa, da poco uscita dalla Belle Epoque e dal bagno di sangue della Prima Guerra Mondiale.

La mostra è collocata e si sviluppa in alcune sale all’interno del Museo Accorsi - Ometto, il sogno diventato realtà dell’antiquario Pietro Accorsi, nel palazzo che fu il settecentesco convento di Sant’Antonio, divisa in sette sezioni, una per ciascun artista.

Giorgio De Chirico ci porta per mano nelle sue atmosfere metafisiche dai richiami classici, con un ritorno all’antico che segue un percorso e uno stile personalissimo e inimitabile.

Il suo “Autoritratto” del 1930 testimonia l’alchimia dell’artista quasi demiurgo all’interno del proprio atelier.

“Tempio in una stanza” è del 1927: un tempietto neoclassico su una scogliera in riva al mare, chiuso fra le pareti di una stanza. Chissà se Gino Paoli ha visto questo quadro prima di comporre il testo suadente di “Il cielo in una stanza” …

Alberto Savinio, nome d’arte scelto per non confondersi con il fratello, mescola antico e moderno., crea paesaggi immaginari ed elementi geometrici leggeri e fluttuanti nell’aria.

Dipinge “La notte di Re Salomone” nel 1930: è una geometria a colori attraverso un sipario, un cielo solcato da uccelli soltanto stilizzati e una figura misteriosa avvolta da un mantello. Il tardivo “Arianna” del 1939 è un nudo sognante, la modella distesa su un divano con un cappello in testa, unico orpello al suo corpo, tenuto dalla mano sinistra, con cielo e mare sullo sfondo.

Massimo Campigli sceglie la donna come centro delle sue opere, spesso dipinta su spiagge animate da segni pittorici (più che persone) che rappresentano l’eternità della vita.

“Le spose dei marinai” è del 1930: molte donne guardano il mare, su una sabbia tessuta di fili sottili; cielo e terra si toccano, quasi uguali nelle sfumature di colore; il mare è una striscia sottile, esile come la speranza e l’attesa.

Filippo de Pisis si diletta in nature morte e paesaggi veloci e scattanti, con una prima ispirazione futurista. La sua attenzione al colore si unisce a una pennellata fulminea quanto rarefatta.

In “Strada di Parigi” (1930) pochi colpi di pennello bastano a restituirci la frenesia, amata e odiata, della vita parigina nella sua capitale rutilante e internazionale.

René Paresce gioca con lo smarrimento, a partire dagli sguardi, il disorientamento di un drammatico momento e transito storico che dovrebbe presagire ad un ritorno all’ordine, strizzando l’occhio al cubismo.

“Paesaggio 1932” è essenziale nella sua comunicativa: due barche, un faro sull’isola e una casetta in mezzo al mare, tutto sta per naufragare e cerca di salvarsi dal disastro.

Gino Severini ha una vocazione classica che si esprime in una serie di nature morte, con reperti romani, tendaggi e strumenti musicali.

“Hommage à Claudel” risale al 1930: suggestioni e reminiscenze si palesano nelle vele, nel mare, in una mappa del Nuovo Mondo e in un’indigena americana nuda che suona la chitarra. Ne “Gli ospiti dimenticati”, dello stesso anno, tre figure stilizzate danno l’idea di una presenza che rimane nella casa, dopo averla abbandonata.

Mario Tozzi vive una ricerca di plasticità e volumetria, con riferimenti a Cézanne; il suo universo è popolato di figure archetipe e realistiche, cercando di conciliare concreto e astratto.

“Personaggi in cerca d’autore” è del 1929: lo spaesamento palpita tra figure smarrite e nude (le donne alla finestra); un uomo seduto, forse il pittore, si guarda intorno, incerto su di sé e sul senso della vita.

 

Questo percorso è un ritorno alle origini nella pittura del Novecento, un viaggio a Parigi di andata e ritorno, verso quelle officine creative che hanno rappresentato un sogno di libertà mentre l’Europa si preparava al più grande bagno di sangue della sua storia.

Considerato il grande successo di pubblico (oltre 35.000 visitatori dall’apertura), la Mostra è prorogata fino al 27 febbraio 2022 - è visitabile presso il Museo di Arti Decorative Accorsi – Ometto, in Via Po 55 – Torino

Martedì mercoledì e venerdì 10 – 18; giovedì 10 – 21; sabato domenica e festivi 10 – 19

Tel. + 39 011 837688 int. 5

c.giusio@fondazioneaccorsi-ometto.it

www.fondazioneaccorsi-ometto.it

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Articolo pubblicato il 04/02/2022