La pandemia delle disuguaglianze.

Troppo catturati dalle paure degli effetti sanitari del Covid ci siamo dimenticati che la pandemia, con il lockdown e le sue infinite piccole e grandi restrizioni alle libertà individuali, agli spostamenti e ai commerci, avrebbe causato effetti nefasti sull’economia, lasciando uno strascico di implementate povertà ed insicurezze e con inevitabili ripercussioni sulla disoccupazione o comunque sulla cattiva occupazione. Inoltre, pochissimi si aspettavano che, da questa crisi, qualcuno ne uscisse arricchito e, come si vedrà, in maniera consistente.

 

È risaputo che ogni guerra (a modo suo, il Covid ne rappresenta una) abbia vincenti – di norma pochi – e perdenti, nei fatti, quasi sempre, la generalità della popolazione. Basti pensare al primo conflitto mondiale.

 

A ricordarcelo non è un complottista da quattro soldi, ma uno dei più stimati storici italiani: Valerio Castronuovo, già professore ordinario di storia contemporanea all’Università di Torino, che nel volume L’industria italiana dall’Ottocento a oggi (Mondadori, 1980), evidenzia come lo sforzo bellico – che tante disgrazie provocò – condusse a ingenti guadagni soprattutto in favore dell’industria pesante, siderurgica e automobilistica. Mentre al fronte si moriva, qualcuno faceva affari.

 

Anche il Covid non poteva che immiserire e arricchire. La conferma arriva dal rapporto redatto da Oxfam – organizzazione no-profit che si dedica alla riduzione delle povertà – intitolato “La pandemia della disuguaglianza”, presentato in occasione del World Economic Forum di Davos: dunque, non proprio quello che si vuol dire un consesso di anarchici antiglobal o di convinti no vax.

 

La relazione è liberamente consultabile attraverso internet e da essa emerge che le disparità reddituali nel 2020 si siano ampliate su scala planetaria. I soggetti che possiedono un patrimonio netto superiore ai 50 milioni di dollari sono cresciuti rispetto al 2019 di 41.000 unità, oltrepassando il numero di 215.000 individui.

 

Dall’inizio della pandemia, la prosperità dei top ten miliardari della terra si è implementata del 119%, “superando il valore aggregato di 1.500 miliardi di dollari, oltre 6 volte lo stock di ricchezza netta del 40% più povero, in termini patrimoniali, dei cittadini adulti di tutto il mondo” (p. 3).

 

Con riferimento al periodo marzo 2020-novembre 2021 si è poi venuto a creare un “nuovo miliardario ogni 26 ore” e le disponibilità economiche dei super ricchi sono aumentate più di quanto fosse complessivamente avvenuto negli anni dal 2007 al 2014 (p. 4). Come osserva il rapporto, a novembre 2021, le 252 persone maggiormente agiate del pianeta possedevano un patrimonio superiore a quello nel suo insieme detenuto dalle “donne e dalle ragazze dell’intero continente africano, del Sud America e dell’area dei Caraibi” (p. 15); abisso tra ricchezze che – come già nell’Ottocento osservava Alexis de Tocqueville (1805-1859) – è idoneo a creare non poche criticità al corretto funzionamento delle democrazie moderne. A ciò si aggiungano le recenti stime della Banca Mondiale che proiettano i “nuovi poveri da COVID” a “97 milioni nel 2021”, con accresciuti livelli d’indigenza “senza precedenti nella storia” (p. 5).

 

In un’economia fortemente internazionalizzata al pari di quella attuale, si tratta di un fenomeno che non poteva escludere l’Italia. Il rapporto Oxfam sottolinea come, da marzo 2020 a novembre 2021, i connazionali ricompresi nella lista redatta dalla rivista economica statunitense Forbes risultino passati da “36 a 49”, con ampliamenti di guadagno in loro favore di oltre “66 miliardi di euro” (+ 56%) e dove questi paperoni possiedono “l’equivalente della ricchezza netta del 30% degli italiani più poveri (18 milioni di persone adulte)”.

 

All’opposto, nei confronti della maggioranza della popolazione la pandemia sta regalando un amaro boccone: rispetto all’anno precedente, nel 2020 il reddito delle famiglie medie in Italia è sceso del 7,3% con un calo di 93 miliardi di euro. In conseguenza, si è verificata una non indifferente contrazione dei consumi, con infausto riflesso su redditi e occupazione.

 

Non stupisce quindi che l’Istat (si consulti il report del 16.06.2021) abbia appurato oltre 1 milione di nuovi poveri venutisi a creare nel corso del 2020, per un totale di 5,6 milioni di individui in condizioni di povertà assoluta. A questo si aggiungano le famiglie in povertà relativa che sono 2,6 milioni, con il risultato che almeno 13/14 milioni di italiani, su una popolazione di circa 59.258.000, si trovino in significative difficoltà finanziarie.

 

Si tratta di un dato non trascurabile: stiamo parlando di una persona su quattro; a essere ottimisti, una su cinque.

 

E, purtroppo, temiamo che, almeno nel breve, il declino sia destinato a continuare. Infatti, nonostante il PIL italiano abbia segnato un +6,5% nel 2021 (recuperando in larga misura il tonfo del 2020 quando era sceso del 8,9%), i recenti consistenti aumenti del costo dell’energia e delle materie prime (si pensi ai materiali per l’edilizia incrementati talvolta del 100%) e, in generale, dei principali beni di consumo, avranno – soprattutto laddove dovessero dimostrarsi perduri – un effetto depressivo che si rifletterà negativamente sui profitti (in particolare delle piccole e medie realtà produttive), rinvigorendo vecchie e nuove precarietà.

 

In altri termini, nonostante le previsioni del Fondo Monetario Internazionale parlino per il 2022 di una crescita del nostro PIL del 3,8%, sussiste un concreto pericolo di “stagflazione”, ossia di una sommatoria tra recessione e inflazione anche perché, al di là delle talvolta eccessivamente ottimistiche statistiche ufficiali, qualcuno dovrà spiegarci come, a parità di entrate retributive ma con accresciuto (e non di poco) rialzo dei prezzi, si faccia a migliorare il proprio tenore di vita e non invece a peggiorarlo.

 

Così, di fronte a questa sconfortante progressione di problematicità economiche e smisurate disparità sociali (roba da far impallidire quelle esistenti nel Medioevo), il governo italiano che fa? Quali battaglie hanno intrapreso i partiti di sinistra che a inizi Novecento avevano contribuito con tanta tenacia a difendere le classi meno agiate? Che iniziative propongono i partiti populisti – che, come tali, avrebbero il compito, almeno in linea teorica, di essere vicini alle istanze popolari – per difendere i ceti medi e poveri da accresciute e limitanti insicurezze reddituali?

 

A prescindere poi dai profili di criticità costituzionale, il certificato green pass e super green pass ha funzionato nel bloccare la diffusione del virus (come accreditato dalla versione ufficiale), oppure è stato semplicemente idoneo a ostacolare la ripresa economia? E, soprattutto, i governi Conte e Draghi potevano, ovvero dovevano, adoperarsi di più e meglio?

 

Al lettore lasciamo la risposta. A noi basti richiamare una frase di una bella canzone di qualche anno fa di Angelo Branduardi che ricordava come lo “sciocco guardi il dito e non la luna”, nella speranza di voler ostinatamente continuare a osservare la luna.

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Articolo pubblicato il 02/02/2022