La rivoluzione di alcune,frequenti terminologie è voluta o è segno di una neo-politica incompetente?
Da qualche anno il linguaggio politico ha perduto molto della sua ampollosa retorica che, negli anni ‘50, i giornalisti battezzarono con il neologismo di: “politichese”; contorta parlantina utilizzata dai leader di partito per dire molto di niente. Ultimamente però, qualcosa è cambiato e il politichese classico si può archiviare come una forma di retorica riconsegnata alla storia.
Il politichese era un’arte persuasiva e quasi convincente, formulata in modo da restituire un’immagine di sicurezza del sé e suscitare un senso di inferiorità al popolo di un tempo meno scolarizzato e critico. Un dialogarsi addosso che alcuni critici e saggisti letterari del ‘900, hanno definito: linguaggio capace di reinserire il “discorso sul discorso”. Un’eredità degli oratori romani, tramandata in un’Italia figlia delle sue origini. Il termine tecnico delle geniali antitesi è: “ossimoro”.
La fine della “prima Repubblica” ha pensionato molti maestri del politichese classico, che richiedeva sapienza e mestiere. Nel contempo, i nuovi leader di partito, timonieri di un'evoluta società dal linguaggio impoverito e deturpato da stonati "inglesismi", si sono adeguati in fretta, salendo in cattedra con un comizio ermetico e restrittivo nei confronti di un libero pensiero critico, intaccando il senso dell'appartenenza a uno stato, una fede, un'etica, a un passato di sicurezze in rapida dissolvenza.
George Orwell aveva previsto un’evoluzione simile nel libro: “La neolingua della politica” dove l’acquisizione di un linguaggio ambiguo, capace di abolire un pensiero proprio, impediva la genesi di qualunque idea contraria al potere, altrimenti ritenuta uno “psicoreato”. Siamo su quella strada?
Barbarismi compresi, quella neolingua sta prendendo piede e il termine “populismo” sempre più frequente nel dibattito politico è uno dei tanti che tende a instaurare un “bipensiero” orwelliano nell’ascoltatore, ignaro dell’origine di una parola che fa presa nell’ideale della gente e si diffonde ad hoc con un senso nuovo, deciso da chi per primo ne ha ripreso possesso e poi, adoperato il convincente suono.
Populismo (idem per sovranismo) infatti, è usato sempre più aspramente nel dibattito politico (senza se e senza ma). È un sostantivo riesumato dal passato e riformato a modo di accusare e sminuire l’antagonista di turno, bollato come un leader che usa metodi improvvisati e sbrigativi per compiacere gli elettori.
Se l’imputazione “risuona” persuasiva, il politico tacciato di populismo viene facilmente deriso dall’avversario, sicché la sua schiera di elettori si sente “imbrogliata”. La potenza di una sola parola, inserita in un progetto di scherno verso un rivale politico, se giocata bene, scredita di molto l’immagine del destinatario.
È vero che in politica quasi tutto è concesso, ma l’appropriazione indebita del termine populista, da parte dei partiti di governo della U.E. è una prova di quanto certi poteri Centristi ed Europeisti abbiano abbreviato il politichese, facendo incetta di metodi capaci di sminuire partiti con visioni diverse (definiti “antisistema”), bollandoli come “demagogici” fino a tal modo che i loro elettori si sentiranno “illusi e ingannati” dai loro leader.
Una volta inquadrati come populisti, si appare inadatti a governare, e in questo gioco al massacro il ruolo dell’informazione pubblica è spesse volte decisivo, complice e fazioso. A turno ne hanno fatto le spese: il Front National di Le Pen, la Syriza di Tsipras, il M5S di Grillo, l’Ukip di Farage, Podemos di Iglesias, in Svizzera e in Italia, tutti i partiti di centro destra, con maggior assillo verso Matteo Salvini o il sindaco di Napoli de Magistris. Tutti parificati da una posizione in qualche modo disallineata alle scelte dell’ideologia di potere.
Niente di nuovo nella storia, se non fosse che il sostantivo populismo ha ben altri significati rispetto all’attuale, propagandato come un imbroglio nei confronti del popolo, mentre in realtà le sue origini sono ben più dignitose e circostanziate.
Nella cultura nazionale, il populismo è una corrente letteraria di ispirazione marxista, dove numerosi e autorevoli autori hanno delineato un popolo emancipato, depositario dell’intelligenza e dell’energia collettiva, capace di sovvertire la propria posizione subalterna. Un’immagine auspicata e positiva derivata dall’inglese “populism”, che traduce un movimento politico-culturale russo sviluppato tra la fine del XIXº secolo e l’inizio del XXº, tendente a un socialismo democratico rurale, capace di liberarsi dalla burocrazia zarista e dalla industrializzazione occidentale.
Invece, il populismo riesumato dal confronto politico (non solo italiano) è diventato bandiera di un “concetto nel concetto” opposto, eppure è efficace in una neolingua anglo-orwelliana, modellata da un programma “resiliente” (1) che qualifica come “negazionista” (2) ogni parere antitetico a quello ufficiale, tagliando corto anche su questo.
(1) in origine: resistenza all’urto; proprietà fisica dei materiali, e in psicologia, capacità di superare un evento traumatico. Parola ora adattata ad uso politico-economico,
(2) termine del XXº secolo relativo alla punibilità della negazione di ogni olocausto, ora applicato a pensieri "alternativi".
A questo punto, sarebbe abile contromossa della parte politica additata come populista, autoproclamarsi neo-populista, ri-adeguando il vero significato della parola che significa: “appartenente a un vasto movimento popolare che pone al centro dei propri programmi quella fascia di cittadini insoddisfatta dell’azione di governo”.
Andrebbe incontro a un’ampia fetta di elettori dal libero pensiero che si sente abbandonata, priva di una voce politica che la rappresenti e che, molto stranamente manca. Sarebbe una “contro battuta” neo linguistica che in questo momento di decadenza etica & culturale, avrebbe buon gioco sullo sgambetto populista che, da un astuto neo-riutilizzo del termine, darebbe origine a un rimbalzo di popolarità.
È dal tempo dei Patrizi e dei Plebei che si consuma una lotta sui diritti del popolo con un'oratoria che divide e manipola, camuffando le verità. La speranza di una neo dialettica capace di tener fede ai patti prima o poi, è legittima... Non capiterà mai.
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Articolo pubblicato il 03/02/2022