Cosa denota? una accentuata sconsacrazione del papato, o la totale confusione tra sacro e profano?
La partecipazione, questa sera, di Papa Francesco alla puntata RAI di “Che tempo che fa” condotta da Fabio Fazio sta aprendo un dibattito suoi giornali e social. E’ una questione più seria di quanto possa sembrare e di quanto l’abbiano considerata anche i facili sarcasmi critici. Essa denota infatti una accentuata secolarizzazione del papato.
Fa ancora notizia, certamente, perché Francesco è una novità tanto chiara e profonda quanto dura da digerire per chi considera il vescovo di Roma la massima espressione di un mondo chiuso su se stesso, che vive in una torre eburnea.
La sua Chiesa non è così. Perché allora il Papa si va a comprare gli occhiali in un negozio del centro di Roma, va a visitare il negozio di dischi di vecchi amici, gira come noi usando un’utilitaria? Perché è un uomo, che vive la nostra vita, e vivendo la nostra vita ci comunica un messaggio che ci riguarda.
Soffre come noi, ride come noi, ha amici come noi. Non è un semi-dio. È un nostro amico, lui forse direbbe un nostro fratello, che ci chiede di aiutarlo, (“non vi dimenticate di pregare per me”) e può aiutarci nelle difficoltà di ogni giorno.
È questa “normalità” che lo rende un leader morale globale. Un leader morale che crede e comunica questa fede standoci accanto, parlando con noi. Francesco dunque è un leader morale in uscita, e la sua Chiesa è in uscita, quindi nel mondo, con il mondo, al quale e con il quale si relaziona. Lo vuole conoscere questo mondo, vuole capirlo e farsi capire da lui parlando la sua lingua, vivendo i suoi problemi.
Osservando l’evento sotto la visuale tradizionale, si impone di tornare ad antiche considerazioni “Si è passati da una dominanza del sacro, fino all’invasione del profano nella vita del sacro e all’estromissione del sacro stesso” scriveva padre Cornelio Fabro nel 1974 parlando dell’avventura della teologia progressista. Pio XII lamentava che a quei suoi tempi non si prendessero con religioso ossequio le parole del papa nella sua predicazione ordinaria, quindi non appartenenti né al magistero solenne né a quello autentico, perché lo riteneva un atteggiamento irriverente rispetto all’investitura sacra dell’autorità pontificia.
Ci rimprovererebbe oggi Pio XII se non prendessimo con religioso ossequio le parole che Francesco dirà da Fabio Fazio, dove niente può essere accolto con religioso ossequio dato che non si tratta di trasmissione televisiva a sfondo religioso?
Ma se le parole del Papa non possono venire accolte con religioso ossequio, a cosa servono?
Da Fazio ci va Bergoglio o ci va il Papa? In questa domanda c’è già l’allusione a tutta l’evoluzione della secolarizzazione del papato.
Identificare il “sacro” con l’”incanto” e la secolarizzazione con il “disincantamento”.
C’è un modello per decifrare, immaginare questa Chiesa? Chiunque abbia anche una piccola conoscenza evangelica sa che Gesù andava in sinagoga, frequentava i luoghi sacri, ma spesso il racconto evangelico ce lo presenta a contatto con il popolo, e non solo quello credente. Camminava per strada, incontrava persone, parlava, li ascoltava. Questo sappiamo più o meno tutti. Non sarà questa la Chiesa in uscita?
L’insegnamento tradizionale ci ammonisce che pensare di secolarizzare il papato togliendogli una presunta aura di incanto significa non aver capito il sacro. Il profano ha bisogno del sacro, che è il luogo dove rifugiarsi per evitare la sacralizzazione del profano. Il sacro permette al profano di essere profano, il tempio permette a ciò che sta fuori dal tempio di stare fuori dal tempio senza però dissolversi e senza voler giocare a fare il sacro.
Il sacro però ha bisogno di nascondimento per non essere profanato. Ha bisogno di un proprio linguaggio per non essere volgarizzato. Ha bisogno di protezione per non essere degradato.
E’ pur vero, ma la Chiesa in uscita di Bergoglio non parla a sé stessa, parla a tutti. Cerca il modo di comunicare con questa società che spesso viene definita “scristianizzata”. Perché lo è, o perché lo sarebbe?
Se fosse vero ci sarà un motivo. Forse non ce ne sarà uno solo, ma la chiusura, l’autoreferenzialità, il linguaggio, possono esserne una delle tante cause. Per evangelizzare una società che si ritiene o che viene definita scristianizzata forse serva anche parlarci, capirla, dialogarci, trovare convergenze e divergenze, capire e spiegare, sentire e dire.
Le resistenze alla novità comunicativa di Francesco sono molto interessanti. È come se per chi non capisce o non condivide Francesco, la Chiesa non abbia nulla da vedere, da sentire, da capire e nessuno con cui parlare, farsi capire. Forse per costoro la Chiesa è chiusa, impenetrabile, mai mater ma sempre magistra.
E invece questo nostro tempo dimostra quanto bisogno ci sia di non sentirsi soli, chiusi in un guscio virtuale, nel quale gli algoritmi ci rappresentano una realtà a nostra immagine e somiglianza: ci arrivano solo i messaggi di ciò che ci piace, di chi la pensa come noi.
E finiamo in una bolla. Francesco buca questa bolla, queste bolle. La sua Chiesa non è una bolla, e così lui sbarca su Netflix perché ha trovato il modo di essere in quel programma testimone tra tanti testimoni della nostra generazione, sbarca su Canale 5 perché deve parlare con tutti, non solo con i cultori della bella tv, ma anche con quelli che con frequentano i canali popolari, o commerciali. E sbarca da Fazio.
È un pubblico cattolico quello di Fazio? O è un pubblico di mangiapreti? Difficile dirlo, ma è un pubblico. E lui cercherà non di indottrinarlo, ma di stabilirci un dialogo.
Quando si parla di guerre quasi tutti invocano il metodo del dialogo invece che quello delle armi. Ma quando il dialogo deve entrare nella nostra vita molti si stupiscano che il Papa voglia parlare, dialogare, anche con chi magari non sa, o presta poca attenzione ai fatti di Chiesa, o della Chiesa.
La Chiesa in uscita non sarebbe in uscita se parlasse solo a se stessa, indifferente al resto della società, dell’umanità.
E’ pur vero che dopo la svolta antropologica non si deve più dire Dio ma uomo e essere Francesco passa attraverso l’essere Bergoglio.
La sacralità passa attraverso il profano. Tra storia sacra e storia profana, dicono i teologi avventuristi, non c’è più alcuna differenza e, quindi, nemmeno tra il palazzo apostolico e un set televisivo con il tragitto dall’uno all’altro mediato da Santa Marta.
Se tra il presbiterio e il popolo non c’è più nessuna balaustra a dividere la Chiesa dal mondo, perché si dovrebbero ancora far valere queste separazioni tra sacro e profano?
Perché mai un Papa non dovrebbe andare da Fabio Fazio come qualsiasi altro?
Francesco Rossa - Condirettore Responsabile e Direttore Editoriale
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Articolo pubblicato il 06/02/2022