9 Febbraio: alle origini della Repubblica Italiana

Di Cristina Vernizzi

Riceviamo dalla professoressa Cristina Vernizzi, Presidente dell’Associazione Mazziniana Italiana A.M.I. di Torino – Piemonte, il seguente articolo sulla nascita della Repubblica Romana del 1949 (m.b.).

 

9 FEBBRAIO: ALLE ORIGINI DELLA REPUBBLICA ITALIANA

 

La data del 9 febbraio 1849, evoca la proclamazione di una repubblica democratica moderna, antesignana di circa 100 anni della nostra Repubblica Italiana.

Si tratta della Repubblica Romana, i cui fatti si svolgono in poco meno di sette mesi, tra la fine del 1848 e i primi di luglio del 1849.

Ne diamo un breve sunto al fine di ricordarne gli elementi essenziali e di grande attualità.

Tutto ebbe inizio con la fuga di Pio IX il 24 novembre del 1848 da Roma dove sarebbe rientrato solo il 12 aprile 1850. Si era recato ospite di Ferdinando II a Gaeta, non avendo accettato il nuovo governo moderato cui era stato chiamato anche Antonio Rosmini, in quei giorni a Roma fiduciario di re Carlo Alberto.

Con Rosmini, tenuto quasi prigioniero, e con il cardinal Antonelli, giunto nella dimora Borbonica, inviava ad una Commissione governativa l’incarico di gestire temporaneamente i pubblici affari, ma nessuno dei membri da lui eletti, esponenti di famiglie aristocratiche, rispose all’appello, anzi si ritirarono fuori urbe.

Nei rioni della città, dopo l’assassinio di Pellegrino Rossi, regnava una forte agitazione per opera di esponenti del popolo, si faceva strada l’idea di una Repubblica e Mazzini scriveva da Marsiglia: “Voi non avete più governo; non potere che sia legittimo. Pio IX è fuggito: la fuga è un'abdicazione, principe elettivo, egli non lascia dietro di sé dinastia. Voi siete dunque di fatto, repubblica, perché non esiste per voi, dal popolo in fuori, sorgente d'autorità”.

Quindi si costituì un Governo provvisorio che decise di indire le elezioni per una Assemblea Costituente. Vi furono chiamati elettori tutti i cittadini idonei civilmente, e a 21 anni compiuti, ed eleggibili tutti coloro che fossero oltre i 25.

Mazzini l'8 febbraio 1849 era partito da Marsiglia e sbarcato a Livorno, da qui aveva raggiunto Firenze con l'intento di unire la causa repubblicana presente in Toscana a quella di Roma.

 Era la mattina del 9 febbraio quando a Roma Giuseppe Galletti, eletto presidente dell'Assemblea Costituente, dal balcone del Palazzo Senatorio leggeva il decreto fondamentale della Repubblica Romana. Da quel momento, per sei mesi Roma fu al centro di avvenimenti che posero la città sotto l'attenzione internazionale. Furono inviati dai rispettivi giornali osservatori inglesi, francesi e americani, per riferire sullo stato di cose. Tutta la cristianità aveva ipotizzato che la popolazione fosse solidale con il papa e quindi fosse ribelle al Governo Provvisorio, e riferivano stupefatti l’ordine che regnava nell’Urbe.

Il 12 febbraio, mentre Pio IX convocava gli ambasciatori del regno delle Due Sicilie, dell’Austria, della Francia e della Spagna per chiedere il loro intervento armato volto a ristabilire il governo papale, l'Assemblea costituente chiamò Mazzini che giunse a Roma il 5 marzo.

Dopo le elezioni dei deputati del gennaio del 1849, la Costituente aveva avviato i propri lavori nel palazzo della Cancelleria in quella stessa data e Mazzini vi fece il suo ingresso il giorno successivo tra accoglienze calorose. Era l’esule, il perseguitato che ritornava libero in Italia. Venne fatto sedere al fianco del Presidente e rispose con parole commosse.

Dopo alcuni giorni, illustrò i principi che la Repubblica avrebbe dovuto seguire: “Per Repubblica noi non intendiamo una mera formula di governo…, ma intendiamo un principio, intendiamo un grado di educazione conquistato dal popolo, un programma d’educazione da svolgersi; un’istituzione politica atta a produrre un miglioramento morale. Noi intendiamo per Repubblica il sistema che deve sviluppare la libertà, l’eguaglianza, l’associazione”.

I provvedimenti emanati presentavano una sorprendente lungimiranza e avrebbero avuto in Italia una loro realizzazione definitiva solo nel secolo XX. Tra i primi vi fu la nazionalizzazione dei Beni ecclesiastici e parallelamente una dotazione per i ministri del culto e , in contraddizione con le accuse a Mazzini di anticlericalismo, fu garantita l’ autorità spirituale del pontefice.

Nel disegno di separazione tra Stato e Chiesa, furono aboliti il Tribunale del Santo Uffizio e la giurisdizione delle autorità ecclesiali sull’insegnamento che divenne pubblico e fu istituito il matrimonio civile.  In nome della libertà individuale e di espressione, si procedette all’abolizione della censura, ciò che promosse la pubblicazione di una decina di giornali di varie tendenze. A sostegno del principio di uguaglianza, fu abrogata la norma che prevedeva la esclusione dalla successione, delle donne e dei loro discendenti e fu proclamata la parità civile e giuridica degli ebrei.

Tra le riforme economiche si annoverano l’abolizione della tassa sul macinato, la revisione delle imposte, lo sblocco delle pratiche per lo sviluppo del commercio, dell’agricoltura, dell’industria. Si stese un progetto di sviluppo delle ferrovie. Si assunsero provvedimenti a sfondo sociale, come l’organizzazione dell’ufficio a “difesa dei poveri”, con particolare attenzione all’assistenza medica. Tra le riforme amministrative, degno di nota è il decreto del 31 gennaio con cui fu riconosciuta l’autonomia municipale.

Era questo il fervore di attività riformatrice che Roma stava vivendo quando la notizia della sconfitta di Carlo Alberto a Novara del 23 marzo 1849 e la sua abdicazione, gettò nel disorientamento gli insorti.  La rivoluzione era ancora viva in gran parte dell’Italia: Brescia iniziava le dieci gloriose giornate contro le truppe austriache del generale Nugent.

Venezia resisteva all'assedio degli Austriaci e il napoletano Guglielmo Pepe ne aveva organizzato la difesa, l’ex comandante dell’esercito pontificio Giovanni Durando era accorso a sostegno di Vicenza, Genova era insorta contro i Piemontesi. In Toscana era fuggito il granduca Leopoldo e si era costituito un governo provvisorio retto dal triumvirato con Guerrazzi, Mazzoni e Montanelli, mentre Palermo era in mano degli insorti che avevano dichiarato decaduti i Borboni e istituito un governo con la reggenza di Ruggero Settimo.

Mazzini vide quindi con i fatti di Roma la possibilità di creare nella città il centro propulsore di formazione della nuova Repubblica italiana. Per la emergenza che si stava delineando, venne eletto il Triumvirato composto da Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini e Aurelio Saffi.

L’ esperienza nell’avvocatura di questi ultimi due, fu fondamentale nel porre le basi giuridiche della Repubblica e determinante nella stesura di provvedimenti legislativi che rappresentarono la realizzazione di una vera democrazia politica. Mazzini affrontava la sua unica esperienza di governo durante la quale dava esempio di grande equilibrio politico e umano. Le sue azioni furono improntate ad un governo austero, connotato da ordine e rigore nell’ambito finanziario, da parsimonia nelle spese ed eliminazione degli sperperi. Avrebbe consegnato nelle mani dei Francesi una contabilità di una correttezza esemplare.

Nel frattempo. al richiamo di Pio IX, Napoleone III inviava le truppe e alla notizia del loro sbarco a Civitavecchia, il 24 aprile e l’inizio dall’assedio il 30 del mese, la città si preparò alla difesa.

I Romani reagirono subito con forza, sorprendendo i nemici; furono fatti molti prigionieri francesi che poi Mazzini provvide a far riconsegnare. Fu allora inviato il diplomatico Ferdinand de Lesseps, il futuro artefice del Canale di Suez, con il quale si avviarono trattative che facevano sperare in una soluzione pacifica. Mazzini riuscì ad ottenere una tregua dei combattimenti dalla metà alla fine di maggio e tra i triumviri e de Lesseps venne firmata una convenzione che dava garanzie sull’appoggio francese alla popolazione.  In realtà pochi giorni dopo furono riprese le ostilità da Oudinot mentre gli Austriaci invadevano tutta l’Emilia -Romagna.

Mazzini capisce di non poter più contare su una soluzione diplomatica e si volge quindi ad organizzare la difesa della Repubblica. Affida il ministero della guerra al generale piemontese di provata perizia militare Giuseppe Avezzana, il comando della difesa a Pietro Roselli già ufficiale nelle truppe pontificie e nomina capo di Stato maggiore Carlo Pisacane.

La conduzione che Mazzini fa della guerra, provoca un urto con Garibaldi che non gli risparmia le critiche, e ancora nelle sue Memorie l’eroe ricorderà che “se egli si riducesse ad ascoltare alcune volte alcuni de’ suoi amici, che dai loro antecedenti hanno ragione di dover saperne qualche cosa, egli avrebbe commesso meno errori ed in quella circostanza avrebbe potuto se non salvare l’Italia almeno ritardare la catastrofe di quella parte d’Italia indipendente”.

Intenzione dell’eroe era di affrontare il nemico fuori dalla città; infatti, respinse l‘esercito napoletano fin oltre i confini del Regno, vincendo a Velletri le truppe guidate dallo stesso Ferdinando di Borbone. Mazzini decise invece di puntare tutto sulla difesa della città. Ogni zona fu impegnata da combattimenti accaniti: Casino dei Quattro Venti, Porta San Pancrazio, Villa Pamphili, Villa Corsini, Porta Portese, Castel S. Angelo, il Vascello. Garibaldi è presente con pochi uomini che lottano fino allo stremo delle forze.

Il bombardamento effettuato da Oudinot, fu tanto incalzante che i rappresentanti dei consolati di Inghilterra, America, Russia, Prussia, Svizzera, Danimarca, Paesi Bassi, Piemonte, Portogallo e altri paesi accreditati nello Stato pontificio inviarono una protesta al generale perché fossero risparmiate le opere d’arte, cosa di cui i Francesi non tennero conto e l’assedio continuò. Fu quindi organizzata una difesa ad oltranza sia militare che tra la popolazione civile. Fu quello il periodo che lo storico inglese Trevelyan avrebbe chiamato “uno dei grandi spettacoli della storia”. Di quei giorni ci sono rimaste le pagine colme di ammirazione e di entusiasmo scritte da osservatori stranieri.

La calma regnava nella città assediata, i teatri erano aperti, nel gennaio vi era stata rappresentata la prima dell’opera di Giuseppe Verdi, La battaglia di Legnano. Mazzini riceveva tranquillamente in una trattoria romana le persone che volessero parlare con lui. Al segno di suoni convenzionali, tutti dovevano trovarsi pronti al luogo loro assegnato. Della organizzazione sanitaria era stata incaricata Cristina Trivulzio di Belgioioso che era accorsa con altre donne patriote e grazie alla sua organizzazione l’Ospedale dei Pellegrini fu perfettamente funzionante. Lavoravano instancabilmente con lei Giulia Calame Modena, la moglie dell’attore Gustavo Modena, la scrittrice inglese e patriota Jessie White Mario e l’americana Margaret Fuller. Questa era assegnata all’Ospedale Fate-bene-fratelli dell’Isola Tiberina con il compito di accogliere e coordinare le donne che si offrissero volontarie. Si trattava di un servizio che anticipava di molti anni l’assistenza della Croce Rossa Internazionale.

Riportando queste notizie gli inviati finivano per esprimere ammirazione per Mazzini e per i colleghi del triumvirato. Emblematico è il caso di Margaret Fuller. Giornalista di Boston, in viaggio per l’Europa, giunta a Roma in quegli stessi mesi, rimase colpita dalla personalità di Mazzini e i suoi articoli contribuirono alla conoscenza e alla diffusione del mazzinianesimo in America. Sposatasi con un italiano, perì nel naufragio durante il viaggio di ritorno a Boston nel 1850 cosicché andarono persi molti dei suoi scritti. Fu lei ad incitare l’ambasciatore americano Lewis Cass a riconoscere velocemente la Repubblica romana che egli considerava di breve durata, ma aiutò in molti modi gli stranieri a Roma e i patrioti accorsi in difesa della città. 

Mentre la nobiltà abbandonava i palazzi dopo averli smantellati degli arredi di maggior pregio, Enrico Cernuschi già organizzatore delle barricate delle cinque giornate di Milano, organizzava ora le difese e metteva in sicurezza le mura antiche foderandole con materassi, cuscini e materiale di ogni genere.

Anche parte del clero minore venne infiammato da quella ventata di patriottismo e furono molti i sacerdoti che indossarono la tunica militare, la daga al fianco e la cravatta tricolore. Donne, uomini e bambini si impegnarono a scavare trincee e fossati, fare terrapieni con cesti e legnami.

Infine, ebbe la meglio la superiorità numerica degli avversari, 35.000 Francesi equipaggiati di armi moderne, contro meno di 6.000 volontari tra cui anche i bersaglieri di Luciano Manara, e forniti solo di armi di vecchio tipo e raccogliticce. Nonostante l’eroismo della popolazione, le imprese di Garibaldi e il soccorso dei volontari, la città cadde.

Il primo luglio Garibaldi si presentò all’Assemblea, ferito, coperto di polvere, dichiarando che ogni resistenza era ormai inutile. Il giorno successivo fu invitato dall’ambasciatore americano Cass a mettersi in salvo su una corvetta che gli metteva a disposizione. Garibaldi rifiutò: era sua intenzione di continuare a combattere contro gli Austriaci. Invano esortava la moglie Anita a rimanere a Roma, considerato anche il suo stato di gravidanza: la donna si fece recidere i capelli, indossò un abito maschile, montò a cavallo e lo seguì.

Il tre luglio Cernuschi proclamò la resa con parole dignitose che evocavano la grandezza passata e i migliori destini futuri di Roma. L’ingresso delle truppe di Oudinot fu accolto con un gelido silenzio e con qualche ironico canto di gallo che alludeva al simbolo dei repubblicani francesi ora venuti non a difendere, ma ad abbattere la repubblica romana.

Erano morti alla sua difesa, il poeta Goffredo Mameli, Enrico Dandolo, Luciano Manara, Emilio Morosini, ragazzi poco più che ventenni e una donna, Colomba Antonietti, colpita durante la difesa eroica di Porta San Pancrazio.

La Fuller ci lascia la descrizione commossa della scena del primo luglio con l’adunata ultima dei volontari: “Il sole tramontava, la giovane luna saliva nel cielo, il fiore della gioventù d’Italia si schierava in quel luogo solenne... Tutti indossavano la divisa garibaldina, la tunica di un rosso squillante, il berretto greco o il cappello rotondo con la piuma. I lunghi capelli all’indietro, scoprivano le facce risolute; tutti apparivano pieni di coraggio”.

Garibaldi, in Piazza San Giovanni arringò i suoi: “Esco da Roma per continuare la lotta contro i nemici della patria - A chi mi vuole seguire offro fame, sete, pericoli, battaglie, morte”.

In tremila lo seguirono, ma la legione si sarebbe presto assottigliata in una manciata di uomini che con il padre Ugo Bassi avrebbero aiutato l’eroe nella lunga marcia diretta alla difesa di Venezia.

La morte di Anita nella pineta di Ravenna, l’accerchiamento della polizia austriaca sempre più incalzante, condussero Garibaldi a prendere la strada degli Appennini e arrivare in Liguria, a Chiavari dove fu accolto da suoi cugini, e poi riprendere la via dell’esilio solcando i mari da occidente ad oriente, dalla Terra del Fuoco all’Australia.  Sarebbe ritornato alcuni anni dopo con l’acquisto dell’isola di Caprera e da qui sarebbe ripartito per la mitica spedizione dei Mille.

L’Assemblea Costituente era rimasta in seduta plenaria per tutto il tempo delle operazioni militari e quando il 3 luglio la Costituzione venne approvata e Giuseppe Galletti la lesse al popolo dal balcone del palazzo Senatorio in Campidoglio, i Francesi erano già schierati sull’Ara Coeli.

Principi fondamentali della Carta erano:

Art.1. La sovranità è per diritto eterno nel Popolo. Il Popolo dello Stato Romano è costituito in Repubblica democratica; Art.2. Il Regime democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. Non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o casta.; Art. 3. La Repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini.

Seguivano gli articoli sulla libertà religiosa, sulle autonomie locali, sulla fratellanza tra i popoli. Il primo dei capitoli, definiti Titoli, era dedicato a Sui Diritti e sui doveri dei cittadini

Sono i principi cui si ispirarono i nostri padri costituenti nel 1946.

Con il ritorno di Pio IX saranno abrogati tutti i provvedimenti della Repubblica.

L’11 luglio partirono da Roma Aurelio Saffi, il poeta Francesco dell’Ongaro, Carlo Pisacane, Nicola Fabrizi, l’attore Gustavo Modena con la moglie; Enrico Cernuschi venne arrestato e imprigionato a Castel S. Angelo. Mazzini fu lasciato libero, rimase alcuni giorni e partì il 13 luglio per Marsiglia, poi si recò a Ginevra e di lì a Londra.  

Cento anni dopo, dalla Resistenza sarebbe rinata l’Italia moderna secondo gli ideali mazziniani: una, libera, indipendente e repubblicana. Gli articoli della Costituzione romana sarebbero diventati gli articoli fondanti della Costituzione della Repubblica Italiana.

Cristina Vernizzi

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Articolo pubblicato il 09/02/2022