La guerra dei non violenti

“Morire di fame per non morire di fame” Davide Tutino

Nasciamo con un programma che unisce il corpo mente e anima; crescendo percepiamo, in misura sempre maggiore, l’importanza di questa nostra caratteristica, esistente in potenza, ma difficilmente decodificabile - se non in casi eccezionali - nei primissimi anni di vita.

 

“Il sangue è un succo molto peculiare” ci avverte Goethe, perché “Il Dio della forma, Jahvé, vi svolge un ruolo di particolare importanza. Dopo avere acquisito il dominio sul nuovo organo, il sangue, Jahvé lo permeò delle proprie forze, trasformò le qualità aggressive dell’anima di coraggio nelle forze dell’amore e fece del sangue il portatore fisico dell’Io”.

 

A questo punto non stupisce che ci siano persone fermamente convinte di avere il diritto di decidere per il proprio corpo, se inocularsi o meno nel sangue le sostanze che per ammissione delle stesse case farmaceutiche entrano in assonanza con il nostro patrimonio genetico, forse variandone definitivamente la composizione.

 

Così la risposta all’obbligo vaccinale viene in modo tutt’altro che violento nei confronti dell’altro, ma in modo significativo attraverso l’elemento terreno che ci rende unici, uno diverso dall’altro e dotato di volontà: il corpo.

 

Trascorsi i tempi del “Il corpo è mio e me lo gestisco io” di un femminismo ora evaporato in presenza del sacro siero, non pochi “eroi” stanno dando vita a una lunga catena di “scioperi della fame” del tutto ignorati dai media, ma ben presente fra noi che alle nostre facoltà mentali non vogliamo venir meno.

 

È iniziato il 31 dicembre 2021 la presa di posizione del professor Davide Tutino che sta portando avanti a oltranza la non alimentazione del suo corpo dichiarando: “Io ero andato all’hub vaccinale per sondare se fosse possibile o meno vaccinarsi secondo legge, ovvero con l’esistenza di una prescrizione medica, che non esiste, e nella possibilità di avere una reale informazione su quello che ci viene inoculato, sul suo reale obiettivo e i suoi reali pericoli. Il mio sciopero della fame ha costretto il medico, al momento dell’anamnesi, a valutarne i pericoli e a decidere per il differimento”. Non una soluzione, ma uno strumento di lotta.

“Andrò avanti fino a che ce ne sarà bisogno, fino al momento in cui questo digiuno non avrà creato le condizioni per cui la disobbedienza e la non violenza si affermino come lo strumento che può salvare sia i perseguitati da questo regime, sia i persecutori, liberando questi ultimi dall’odioso ruolo di carnefici che li imprigiona”.

 

In segno di solidarietà e vicinanza spirituale a tutti i cittadini italiani dai 12 anni in su che in questo momento stanno subendo le discriminazioni sociali inaccettabili e obblighi altrettanti inaccettabili comunico che inizierò un digiuno di 48 ore ogni settimana ad oltranza seguendo l’esempio del poeta Carlo Cuppini, Paola Olivieri, Sergio Porta, Donatella Campai, Licia Coppo, Antonella Marsilia, Luca Cellini, Luigi Magli, Alberto Cantoni e altri amici uniti in questi giorni a questa nobile forma di pacifica protesta non violenta. Gandhi scrisse: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Nel 1932, il 20 settembre, nella prigione di Yeravda, Gandhi decise di digiunare per protesta per la prima volta contro il provvedimento del governo MacDonald e l’istituzione di elettorati divisi. Da allora il suo grande esempio continua a illuminarci. Ivan Crico                                                                                                         

 

La fame è una cosa seria. Milioni di uomini, donne e bambini nel mondo non sanno come sfuggire ai suoi morsi. Gli italiani la fame l’hanno nel Dna, nei secoli di sfruttamento e miseria che ci hanno condotto a questo equivoco benessere. Le nostre maschere regionali come Arlecchino e Pulcinella sognano polli e spaghetti, lo Zanni della commedia dell’arte è sempre affamato. Per arrivare a una scelta così rigorosa e impegnativa come lo sciopero della fame occorre essere persone estremamente serie e consapevoli, bisogna anche informarsi storicamente di quelli che, come estremo atto di rivolta, hanno scelto questo gesto radicale di protesta, a cominciare dal Mahatma Gandhi. Cosa significa intraprendere uno sciopero della fame oggi? Bisogna considerare innanzitutto a cosa i provvedimenti del green pass vogliano ridurre le persone che hanno scelto di non aderire alla campagna vaccinale: siccome non è loro permesso di entrare in luoghi dove si svolgono attività sociali e culturali, questi individui disobbedienti sono relegati al semplice ruolo di consumatori, ad avventori di grandi centri commerciali dove sono esposte le più svariate merci, fra cui tonnellate del più svariato cibo. La scelta dello sciopero della fame è un atto forte di rifiuto di questa distorsione individuale, di questo essere ricondotti alla mera funzione di acquirenti. Ne “La febbre dell’oro”, in una capanna isolata per giorni dalla tormenta di neve, il compagno di Charlot inizia ad avere le allucinazioni e a considerare l’omino spaventatissimo sotto specie di pollo arrosto. Ecco l’allucinazione governativa, ci vuole vedere tout court come semplici divoratori di gallinacei e infine, adeguandoci alla massa, come veri e propri polli d’allevamento. Invece il digiuno ha la capacità di disincantarci dall’allucinazione, di renderci più lucidi e di acuire le nostre doti di sensibilità e di attenzione verso il disagio altrui. È sempre stato così.

La scelta di Carlo Cuppini e degli altri ha però un significato ancora più forte di contestazione. Con questo sciopero non si ha l’intenzione di mostrare un gesto eroico personale, ma di indicare come essenziale il passaggio del testimone etico, in una staffetta che voglia raccontare quanto sia importante in questo momento la responsabilità collettiva della protesta.

“Allora, stasera ci ritroviamo per l’aperitivo?”

“No, ci ritroviamo tutti insieme domattina per iniziare il nostro sciopero della fame.” Paolo Gera

                                                                                                                                                                           

Il nutrimento del corpo è un atto dovuto: parte dall’accudimento materno per poi segnare l’inizio dell’autonomia di ciascuno, della presa di responsabilità nei confronti delle nostre vite. Il bimbo piccolo gioca col cibo e se ne nutre. Divenuti ragazzi e poi adulti il rifiuto del cibo o “l’ingozzarsi” di cibo per poi vomitarlo sono segnali di forte disagio individuale, familiare, sociale. Denunciano mancanze spirituali importanti.

Il cibo è dunque alimento per il corpo ma anche per l’anima. Il corpo e l’anima lo richiedono e, quando è possibile, lo scelgono. Oppure lo rifiutano.

Il poeta Carlo Cuppini, e altre/altri insieme a lui, decidono in questo periodo di negare cibo al corpo per evidenziare, suggellare in un gesto, la negazione di cibo che nutra le anime da parte dei nostri governanti. Dal momento che a molti esseri umani di qualunque età vengono negati e rinnegati diritti fondamentali. Non solo al lavoro, quindi alla sussistenza, all’uso dei mezzi di trasporto pubblico, alla formazione, allo sport, alla cultura, alla socialità, ma all’allegria, alla contentezza che deriva dalla condivisione di idee ed esperienze, al senso di benessere, all’integrazione, alla realizzazione personale, alla felicità. Sino al punto di indurre i cittadini ad atteggiamenti di ostilità gli uni verso gli altri e di far sentire a molti bambini, ragazzini, adulti un così profondo senso di confusione mentale ed esclusione sociale da arrivare a scegliere di rinunciare alla vita.

In una sua poesia Cuppini afferma che il mondo è uscito dai cardini, bisogna riportarlo sui binari, perché possa riprendere il giro. Il poeta si unisce a tutti quelli che in tanti modi differenti si stanno dando da fare, con pieno spirito di comunanza e solidarietà. Cerca inoltre visibilità perché la stampa straniera, molto meno asservita al potere della nostra, informi gli altri popoli, che si stanno pian piano liberando dall’incubo dell’era vaccinale (almeno temporaneamente!), del marcio che infesta il nostro paese. C’è del marcio in Italia. La poesia, non a caso s’intitola “Amleto”. Alessandra Gasparini

 

Corpi sottratti al loro tempo a strati

sussurro dentro la tua bocca ti amo.

I demoni ci osservano da dietro la vetrata

la morte ci sovrasta carica di sale.

 

Fingiamo di non farci caso.

I bambini avvolti nella coperta del sogno

il respiro involato si eleva a barricata.

 

Ci svegliamo e una voce dice - scegliete

la vita. Ne morirete.

Rinsaldate il legame. (Carlo Cuppini)

 

 

La decisione ponderata di smettere di alimentare il proprio corpo è allo stesso tempo sottrazione e addizione. Sottrazione perché la negazione del cibo è un fattore determinante che compromette le funzioni vitali capovolgendo la natura dell’esistere e addizione perché ciò che manca al corpo fisico diventa un nuovo fertile territorio per la sfera spirituale di chi attua lo sciopero della fame. Uno spazio senza confini dove il dolore condiviso è pasta madre, nido di foglie risollevate per le prove di volo della luce. Luca Bresciani

 

È un gesto altissimo che non identifico nello "sciopero della fame" ma nel digiuno. In Occidente siamo abituati a ben altra fame: fame del superfluo indotta da falsi bisogni. Il digiuno è, in primo luogo, acquisire piena consapevolezza del di più, del troppo, per poi assumersi il compito della privazione. In questo caso, ha una significanza civile, sociale, quasi a esprimere, attraverso il corpo che smagrisce sotto gli occhi di tutti, che l'uomo può essere piegato al minimo sostentamento, ma non può essere privato della propria libertà e dei propri diritti. Anna Leone

 

In questa fase della storia umana il Potere delle élite economiche e politiche a livello planetario tenta la carta della dominazione globale attraverso l'assoggettamento delle interiorità in virtù di un ricatto che si esercita in primis sui corpi, fatti oggetto della violenza pseudosanitaria di un siero sperimentale che modifica il DNA degli umani. La ribellione all'abolizione proterva del diritto alla libertà di autodeterminazione della propria salute trova nello sciopero della fame una forma nobilissima di incarnazione, e con estrema coerenza si contrappone al Potere sul terreno stesso che esso ha scelto per disgregare le anime. Onore e ammirazione per i Poeti e i Professori che scelgono la messa in rischio del proprio corpo come arma pacifica di liberazione per sé e per tutti. Angelo Tonelli

 

Lo sciopero della fame del poeta Carlo Cuppini, seguito poi da colleghi quali Ivan Crico - uno dei membri fondatori dei Poeti contro il Green Pass insieme a Paolo Gera, Luca Bresciani, Mario Marchisio ed io - riempie d’ammirazione il giovane studente universitario che sono, così come l’analogo gesto del prof. Davide Tutino. I giovani sono di certo stati tra i più oppressi dalla pandemia, poiché impediti in quella mobilità che è formativa, ché permette interazioni fondanti: è questa privazione che li ha spinti in massa alla “servitù volontaria” nell’ora della chiamata alla vaccinazione del Governo Draghi; al di là della libera scelta che ognuno può prendere su questa, quanto è stato fatto ai giovani rimane ancor più sadico (e programmatico?) di quanto fatto ai lavoratori, poiché il bicchier d’acqua che è stato fatto desiderare all’assetato nel deserto equivaleva alla rinuncia di fatto del pensiero critico. Gli esempi di protesta non violenta hanno sempre saputo instaurare dibattiti in ambito morale, così mi auguro per questi poeti: prima dinnanzi ai vari verseggiatori italiani ormai maturi, che troppo spesso si sono astenuti dal pronunciarsi sulla questione a noi così cara, e poi ai più giovani facitori di versi perché pretendano indietro quel pensiero critico sottrattogli e perché non si adeguino né adottino mai l’ipocrisia dominante. Paolo Pera

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 27/02/2022