Evoluzione di un contagio

Dalla epidemia alla endemia, passando per la pandemia

Il 31 dicembre 2019, le autorità sanitarie della Repubblica popolare cinese danno notizia della presenza di un focolaio di polmoniti atipiche nella città di Wuhan - provincia dell’Hubei. (Pare, però, che due o tre mesi prima ci fosse già stato più di qualche caso di sindrome respiratoria acuta grave, attribuibile ad un nuovo virus della grande famiglia dei coronavirus, scoperto nel 2019, inizialmente denominato 2019-nCoV e quindi SARS-CoV-2).

Il 30 gennaio 2020 Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), dichiara che questo focolaio è una “emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale”; infatti, stando al Regolamento sanitario internazionale del 2005 (International Health Regulations - IHR), si caratterizza come “evento straordinario, che può costituire una minaccia sanitaria per altri Stati membri attraverso la diffusione di una malattia e richiedere potenzialmente una risposta coordinata a livello internazionale”. 

L’11 febbraio 2020 l’OMS annuncia che la malattia respiratoria causata da questo nuovo coronavirus è stata chiamata COVID-19 (Corona Virus Disease-19).

L’11 marzo 2020, dopo aver valutato il livello di gravità e la diffusione intercontinentale della infezione, Ghebreyesus dichiara che l’epidemia di COVID-19 può essere considerata una pandemia.

Epidemia è termine che indica la diffusione di una malattia in una specifica area geografica, con un elevato numero di malati. Pandemia è termine che indica la diffusione di una malattia in tutto il globo, con buona parte della sua popolazione che si ammala in modo rapido.

SARS-CoV-2 non era più, purtroppo, un virus localizzato solo nell’area geografica della provincia cinese di Hubei, quando Ghebreyesus lo affermò, dicendo tra l’altro che “pandemia non è una parola da usare con leggerezza o disattenzione”.

Col senno di poi, gli si rimprovera di aver dichiarato la pandemia in ritardo; ma non è questo il solo errore dell’OMS, cui si imputa soprattutto la grave mancanza di adeguato controllo sulle ricerche dell’importante laboratorio scientifico di Wuhan, dal quale potrebbe/dovrebbe essere partita la diffusione di quel coronavirus letale.

Col resto del mondo, abbiamo combattuto una dura battaglia contro il suo contagio micidiale, ma in Italia siamo ormai prossimi alla “immunità di gregge”. Il numero dei vaccinati supera infatti il 90%, cosa che limita la circolazione del virus e in qualche modo protegge indirettamente anche gli individui non vaccinati. Per questo, alcuni virologi spingono ormai verso decisioni pratiche sulle cose da fare per uscire dalla gestione emergenziale; ma altri sostengono che bisogna comunque basarsi sulle evidenze scientifiche, perché non possiamo ancora trattare Covid-19 come una comune influenza.

In queste settimane, "grazie all'elevato numero di soggetti immunizzati con il vaccino anti-Covid o con l'infezione naturale e alla circolazione di un virus ad alta trasmissibilità ma a bassa virulenza, stiamo andando verso una situazione maggiormente favorevole", dicono gli esperti della Società italiana di malattie infettive e tropicali (SIMIT). Farebbe quindi bene il Governo a portare avanti provvedimenti di graduale riduzione delle misure di contenimento che, se pur necessarie, sono state oggetto di critiche virali mosse spesso senza molta ragione.

Ma covid-19 è malattia innescata da un coronavirus a trasmissione respiratoria, produttivo di varianti, che possono ancora emergere e che dovrebbero essere caratterizzate però da bassa virulenza, pur se con alta trasmissibilità, e questo fa ritenere, secondo la SIMIT, che dovremmo "prepararci al passaggio dalla pandemia all'endemia”.

Endemia è termine che indica la costante presenza di una malattia infettiva nella popolazione di una determinata zona geografica.

Il virus, dunque, continuerà a circolare da noi, ma tenderà a stabilizzarsi con possibili andamenti stagionali, come è per le influenze e i raffreddori; altre persone, pertanto, potrebbero ancora ammalarsi di covid, talvolta in modo anche grave, e mettere così a rischio la salute propria e il funzionamento degli ospedali.

Il Servizio Sanitario Nazionale dovrebbe quindi farsi carico del costo non indifferente della somministrazione di certi antivirali e degli altri farmaci di più recente produzione, quali gli anticorpi monoclonali, dimostratisi efficaci nella fase iniziale della malattia.

Speranza, ministro che sta disegnando una nuova sanità, ci lasci dunque sperare perché questa speranza ci avvicina alla luce in fondo al tunnel nel quale stiamo viaggiando da oltre due anni.

Si vales, vàleo.

(Foto: Adriano Porino, per gentile concessione)

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Articolo pubblicato il 03/03/2022