L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: La guerra in Ucraina sta già scombussolando il Pnrr. Ma il vero vulnus è l’energia.

L’Italia continuerà a rimanere ostaggio dell’estremismo ambientale?

Con il declassamento del proprio debito sovrano a livello «junk» - «spazzatura» - da parte di Moody's e Fitch, la Russia ha fatto scendere ieri la propria economia di un altro passo verso il baratro. Ancora un gradino, e sotto si spalancherà la bolgia del default. Come nel 1998.

L’Occidente ha risposto con la forza di sanzioni mai viste, corroborate dalla decisione delle imprese private di non far più affari con Mosca. L'elenco si allunga giorno dopo giorno. Così, spengono i motori delle consegne Renault, Mitsubishi, Jaguar, GM, Chevrolet, Ford, Volkswagen.

Mastercard, Visa, PayPal e Apple Pay attuano il blackout dei pagamenti elettronici sul suolo russo; Ikea e H&M tirano giù le saracinesche; Dhl e FedEx volano altrove; Disney e Netflix spengono gli schermi; Generali chiude l'ufficio di rappresentanza a Mosca e abbandona il board della compagnia assicurativa russa Ingosstrakh.

E’ un collasso che, stima Goldman Sachs, sarà composto da una miscela di inflazione galoppante (al 17% entro fine anno), recessione (-7% il Pil), necessitano oltre 121 rubli contro il biglietto Usa e tassi d'interesse, ora al 20%, destinati ad arrampicarsi ancora.

Su un quadro già fosco, con le ombre del default in avvicinamento, una data è già segnata con l'evidenziatore "flou" sulle agende degli investitori: è il 16 marzo, quando Mosca sarà chiamata a versare 107 milioni di interessi su due bond governativi.

Ma nonostante la ricaduta delle sanzioni e le previsioni negative, il conflitto continua. Ci troviamo dinanzi a due Paesi ove quel nazionalismo che ha insanguinato il ‘900, sta producendo effetti nefasti. Sino a quando non interverrà una mediazione autorevolmente riconosciuta, non se ne uscirà. Russia e Ucraina, più cercano di negoziare, più s’incancrenisce la situazione.

Nonostante le candidature spontanee, il parterre, non è dei migliori. Macron ha miseramente fallito. La diplomazia non deve lasciare spazio alla tifoseria urlata, grossolana ed insipiente che molti leader, non solo italiani alimentano senza neppur provare vergogna dei propri limiti e delle conseguenze inevitabili.

Memori dei successi messi in atto, nei trattati di Helsinki, la diplomazia della Santa Sede, universalmente riconosciuta quale una delle più qualificate, quando cadranno i veti degli Stati uniti, potrebbe entrare in campo.

Il conflitto russo-ucraino, stante la situazione, oltre a mietere vittime innocenti, rappresenta un enorme pozzo pronto a inghiottire piani e prospettive delle economie avanzate e non.

Il governo italiano non può ignorare l’impatto che la guerra avrà sugli sforzi di ripresa messi a punto dai Paesi destinatari dei 750 miliardi messi sul piatto da Bruxelles per risollevarsi dalle ceneri della pandemia, nell’ambito del Recovery Fund.

Come ha affermato nei giorni scorsi il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, d’altronde,  tra inflazione alle stelle (al 5,7% in Italia) e incognite sulle forniture di energia, l’attacco del Cremlino rischia di riscrivere il perimetro dei Pnrr nazionali, oltre a ridurne la gittata. Sino a quando non si giunga a una tregua o a una composizione del conflitto, chi pagherà il conto?

Le imprese che non hanno i margini per assorbire gli aumenti dei costi e lo stesso vale per le famiglie. Il punto è che l’aumento dei prezzi, anche e non solo legato allo shock geopolitico in atto, rischia di scombussolare  piani già assodati, oltre a mettere a dura prova le tasche degli italiani.

In prospettiva, potremo anche trovarci nell’impossibilità di sostenere i costi dell’energia e in generale l’aumento dei prezzi.

Dipende molto dal comportamento delle famiglie. Finora i risparmi accumulati in due anni di pandemia stanno aiutando, ma se si comincia a spendere forzatamente meno, ecco che dalla ripresa si passa alla recessione e sarebbe un circuito nefasto se il governo sulla spinta di sindacati e populisti, concedesse aumenti salariali per stare dietro all’inflazione, perché questo altro non farebbe che creare una spirale inflazionistica prezzi-salari e non se ne uscirebbe più.

Così le banche centrali dovrebbero rinviare ogni decisione sull’aumento dei tassi. Non dipende mica da un eccesso di domanda questa inflazione, se si aumentano i tassi adesso è un disastro. Per fortuna la Bce non li ha ancora toccati. Le politiche monetarie dovranno seguire questa situazione, senza mosse avventate.

In primo piano s’impone sempre la questione energetica.

Noi scontiamo la scelta emotiva sul nucleare, di tanti anni fa. Una scelta che ha aperto la strada a una minore crescita e a un aumento dei costi dell’energia, cose che puntualmente si sono verificate. E poi siamo stati ostaggio di un estremismo ambientalista che ha impedito all’Italia di produrre la sua energia. Molto è stato sbagliato sul piano politico, ma gli errori si pagano.

Pur adottando decisioni e provvedimenti celeri e mirati, per attenuare la dipendenza energetica, servono non meno di 4-5 anni e dobbiamo fare i rigassificatori e se possibile potenziare il Tap.

Processi che non dovrebbero cadere con la fine della legislatura, perché non sono le adunate oceaniche che idolatrano qualche bandiera che potrebbero marcare la differenza. Urgono indicazioni precise e scelte energetiche durature e vincenti, a prescindere dal governo e dalla maggioranza che le ha deliberate.

 

Francesco Rossa - Condirettore Responsabile e Direttore Editoriale

 

 

 

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Articolo pubblicato il 06/03/2022