Federico Faggin: un italiano da Nobel - seconda parte

La vita e le esperienze personali di un grande scienziato che fa onore all'Italia

In questa seconda e ultima parte parleremo della differenza sostanziale tra le due forme di intelligenza, umana e artificiale.

La domanda fondamentale che si pone Federico Faggin riguarda la possibilità, o meno, di costruire un computer consapevole.

Lo scienziato iniziò a studiare biologia e neuroscienze, rendendosi ben presto conto che entrambe descrivevano l’attività del cervello come una semplice attività elettrochimica.

La percezione che ebbe Foggin fu quella che il riconoscimento cosciente di una qualsiasi esperienza sensoriale, avvenisse attraverso le sensazioni e i sentimenti, qualità, come egli stesso afferma, molto diverse dall’attività elettrochimica.

Un suo méntore, lo psicologo Gary Lynch, rispose al quesito postogli sulla coscienza, dicendo che si trattava di un qualcosa che avviene nel cervello e che un giorno forse comprenderemo…

Questo era ed è ancora il parere della maggior parte di neurologi, biologi, psicologi, neuro scienziati… una spiegazione completamente materialista che non soddisfa lo studioso vicentino.

Inoltre ammesso che la coscienza possa essere un epifenomeno che “emerge” dalla complessità della struttura cerebrale, come si realizza questa manifestazione? Se questo epifenomeno fosse reale non ci sarebbe nessun motivo perché la coscienza non potesse apparire anche nella complessa struttura di un computer.

Foggin si pone questo quesito ed inizia a pensare ad un computer in grado di manifestare la coscienza. Dal suo lungo lavoro emerse, lentamente, la presenza di un insormontabile ostacolo: la completa mancanza di comprensione della natura delle sensazioni e dei sentimenti.

Lo scienziato descrive, a titolo d’esempio, come sia possibile riconoscere una rosa dal suo odore.

“Una rosa emette particolari molecole con specifiche strutture tridimensionali. Queste possono entrare come una chiave nella serratura di certe molecole recettoriali incorporate nelle membrane delle cellule olfattive situate nell’epitelio nasale. Quando ciò avviene, la cellula che contiene il recettore così attivato produce un segnale elettrico. I segnali prodotti dalle cellule olfattive costituiscono i segnali d’ingresso delle reti neurali della corteccia olfattiva, che producono segnali d’uscita corrispondenti al nome dell’oggetto identificato: rosa, in questo caso.”

Foggin prosegue chiarendo che anche una macchina particolarmente sofisticata può riconoscere una rosa dal suo odore, tuttavia il riconoscimento sarà sempre ed esclusivamente di natura elettrica, legato al tipo di sensori utilizzati. Nell’essere vivente, oltre al riconoscimento biochimico, si svilupperà la sensazione di profumo, a livello di coscienza che darà al profumo un valore molto diverso da quello del semplice riconoscimento fisico.

In altre parole la macchina che riconosce la rosa riconosce meccanicamente soltanto la configurazione dei segnali elettrici generati dai sensori delle molecole odorifere emesse dalla rosa.

 

Oltre ci chiarisce il suo pensiero:

 

Il profumo o l’odore che sentiamo è qualcosa in più dei segnali elettrici prodotti dalle reti neurali.”

“…Il profumo è un’esperienza, una sensazione che rende l’informazione portata dai segnali elettrici cosciente: sappiamo che il profumo esiste perché lo sentiamo nella nostra coscienza…”

La questione fondamentale sulla differenza tra la percezione del profumo tra una macchina e l’uomo è che entrambi riescono a riconoscere l’odore della rosa e a riconoscerne la varietà, ma solamente l’uomo vive ”l’esperienza del profumo.”

Nel testo “SILICIO” si susseguono esempi e analisi dettagliate delle varie differenze sui significati di apprendimento legati a macchine e uomini, con complesse teorie che ne declinano le varie sfumature.

Quello che ci colpisce è un fatto assolutamente inaspettato: se Faggin, da scienziato che ha dimostrato ampiamente di avere delle enormi capacità analitiche e creative, inizia un percorso controcorrente, andandosi a cercare delle “grane” con spiegazioni diversamente canoniche, che sembrano in completa controtendenza con la visione materialistica dei suoi colleghi… un motivo dovrà pur esserci.

Con grandissima onestà intellettuale Faggin, dopo poco meno di 200 pagine ci svela il mistero, con un capitolo intitolato “Il risveglio”.

Scopriamo così che una profonda crisi esistenziale, giunta all’apice della sua vita professionale, rischia di minare il suo benessere profondo. Il Nostro ha tutto: ha raggiunto risultati straordinari nel mondo del lavoro, ha una famiglia perfetta, una grande disponibilità economica… eppure sente nel profondo che la vera Realizzazione non è ancora giunta.

Un malessere dell’anima sembra indicargli che ciò che ha ottenuto in quarant’anni di vita non gli aveva portato né gioia né serenità. La sua visione prettamente materialistica non riusciva a soddisfarlo nel profondo. Come egli stesso ci racconta: “Se anche Dio esistesse, pensavo, era troppo distante e disinteressato alle nostre vicende per avere un qualche impatto sulla vita umana. E come lui si disinteressava a me anch’io potevo disinteressarmi a lui…”

L’illuminazione sulla “Via di Damasco” giunse anche per lui, giunse una notte nel dicembre del 1990 mentre era in vacanza con la famiglia.

Quando tornai a letto, mentre aspettavo in silenzio di addormentarmi, sentii emanare dal mio petto una potente carica di energia-amore mai provata prima.

Questo sentimento era chiaramente amore, ma un amore così intenso e così incredibilmente appagante che superava qualsiasi mia idea ed esperienza sulla natura dell’amore. Lo percepivo come un ampio fascio di luce bianca, scintillante, viva e beatifica che prorompeva dal mio cuore con intensa forza…

… Improvvisamente quella luce esplose, e riempì l’intera stanza per poi espandersi ad abbracciare l’intero universo con lo stesso bianco splendore. Allora seppi senza ombra di dubbio che questa era la sostanza di cui tutto ciò che esiste è fatto. Era ciò che aveva creato l’Universo partendo da se stessa. Con enorme sorpresa riconobbi che quella luce ero io…”.

Ci fermiamo qui, rimandando il Lettore che volesse conoscere altri dettagli di questa esperienza indubbiamente “mistica”, alla lettura del testo originale.

Un ultima considerazione che esprime la sua nuova concezione di coscienza:

Faggin suggerisce che la coscienza che pervade l’Universo e che si esprime attraverso la materia inanimata e animata di cui è composto, fosse presente prima della cosiddetta Creazione. Dal momento che come egli afferma, la coscienza non è un prodotto o un epifenomeno dell’intelligenza biochimica, quindi non è prodotta dal cervello o dalle reti neurali… significa che doveva essere presente prima dell’origine dell’Universo.

Lasciamo il lettore con questi suggerimenti, forse queste provocazioni, confidando nella serietà e originalità dell’Uomo che le ha formulate. Un uomo che non deve certo dimostrare nulla e che propone una interpretazione nuova e diversamente canonica (considerando il modo di pensare materialista della maggior parte degli scienziati), forse in anticipo sui tempi ma che probabilmente farà parlare molto di sé in futuro.

 

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Articolo pubblicato il 15/03/2022