Le Giornate FAI al Palazzo del Rettorato di Torino

Breve viaggio nella storia dell’Università

Il Palazzo del Rettorato di Torino è la sede centrale dell'Università degli Studi: è situato nel centro storico della città ed è stato progettato nel 1712 da Michelangelo Garove (1648 – 1713), il più affermato architetto sulla piazza di Torino nell'ultimo decennio del Seicento; si trova in via Po 17, nell’Isolato di Sant’Elena.

L’edificio sorge per volontà di Vittorio Amedeo II (1666 – 1732), qui ubicato per essere un punto strategico del Ducato di Savoia (che diventerà Regno di Sicilia nel 1713, Regno di Sardegna dal 1720). Il disegno prevedeva due cortili, uno di appartenenza e uno di servizio. La prima pietra viene posata nel 1713, Filippo Juvarra (1678 – 1736) subentra nel 1714 dopo la morte di Garove, l’inaugurazione è del 1720.

In questo contesto sarebbe stato un perfetto complemento un progetto non realizzato di Bernardo Antonio Vittone, che prevedeva l’inserimento di una nuova torre per l’Osservatorio (1740).

Prima del 1720 l’Università torinese era allocata in alcuni modesti locali all’angolo fra via Dora Grossa (Garibaldi) e via dello Studio (san Francesco d’Assisi), nei pressi di quello che oggi è ancora chiamato Vicolo dei Librai, più che una via uno stretto corridoio che si apre oltre un portone.

Il Palazzo inizialmente conteneva la Galleria delle Curiosità, gli studi di anatomia, scienze naturali, fisica e matematica. Per ricostruire questo ambiente dobbiamo pensare a un tempo in cui gli studi e materie umanistiche e scientifiche non erano ancora rigidamente classificati e divisi come oggi, fino alla attuale parcellizzazione delle conoscenze e delle specializzazioni. L’intellettuale era un umanista a tutto tondo e la sua sfera di interessi spaziava sugli svariati aspetti dello scibile umano del tempo. Nel campo della ricerca, ad esempio, è soltanto nel Settecento che l’alchimia e la chimica prendono strade diverse, fermo restando il grande interesse dimostrato da Isaac Newton per la ricerca alchemica. Qualche decennio più tardi la pubblicazione della prima “Enciclopedia” di Diderot e D’Alembert rappresenterà il primo sistematico tentativo di sintetizzare tutta la cultura e il sapere dell’epoca in un testo.

L’ingresso al Rettorato era doppio: da via Po 17 entravano studenti e professori, il portone su via della Zecca (oggi via Verdi 8) era riservato ai personaggi autorevoli, per questo era privo di gradini. Ai lati del cortile si aprono gli scenografici scaloni di accesso al piano nobile, sul quale si articolano molti ambienti, fra i quali la Biblioteca e l'Aula Magna.

Risale al 1878 la creazione della Galleria degli Uomini Illustri, che si sviluppa nei due porticati del piano terra e al piano superiore. Vi si può trovare un intero mausoleo, sarebbe impossibile citare tutti i personaggi che vi sono ricordati.

La statua della Minerva racchiude un piccolo mistero, in quanto le vicende legate all’opera sono molto articolate e non del tutto certe. Essa viene commissionata a Vincenzo Vela (1820 – 1891) dal re del Portogallo Pedro V di Braganza, per essere collocata davanti all’Accademia delle Belle Arti di Lisbona. Lo scultore Vincenzo Vela non viene retribuito per il lavoro svolto ("la Minerva fatta di commissione per il Portogallo e che, per mancato pagamento, rimase a Torino"): questo sembra imputabile alla morte prematura del re portoghese nel 1861, a soli 24 anni. La statua rimane allo scultore, viene chiusa in una cassa all’Accademia Albertina - dove il Vela insegna Scultura - e qui rimane per quasi 20 anni. Dopo lunghe peripezie e aver scampato i bombardamenti, nel 1993 viene restaurata e dal 2003 è in comodato all’Università.

La statua di Alessandro Riberi (1794 – 1861) ricorda la gloria di un uomo proveniente da Stroppo, in Val Maira, che diventa medico di Carlo Alberto e fonda l’Accademia Medica di Torino.

Una lapide commemora il passaggio torinese di Erasmo da Rotterdam (1466 o 1469 – 1536), che frequentò la precedente sede sopra accennata.

Il busto di Arturo Graf (1848 - 1913) è una dedica al professore che qui teneva le sue Sabatine, lezioni gratuite aperte a tutti: erano i seminari del sabato, alle 15, aperti al pubblico, imperniati sul contraddittorio fra uno studente che esponeva il suo lavoro e il pubblico, con lo stesso Graf come moderatore.

Al piano superiore una lapide con busto commemora il conte Luigi Cibrario (1802 – 1870), insigne storico della città di Torino.

Ed ecco le sue parole, nella “Storia di Torino”, sulla rifondazione del nostro Ateneo: “Come Emanuele Filiberto, Vittorio Amedeo II a tutti i rami di governo applicò o preparò utili riforme, compiute poi da Carlo Emanuele III, suo figliuolo e successore. L’università degli studi, la cui fama era molto scaduta, e che era allogata in case cattive ed oscure avanti S. Rocco, pose in più degna sede, nella via di Po; e, ciò che più conta, di professori elettissimi la rifornì, chiamati dalle altre province d’Italia e dalla Francia. Fu riaperta l’11 di novembre del 1720”.

Un’altra lapide elenca i nomi del personale espulso dall’Università in seguito alle leggi razziali (ben 58 persone!).

L’Archivio Storico è uno scrigno di tesori culturali.

All’ingresso una locandina per la manifestazione delle Caterinette del 1947. Il 25 novembre ricorreva la festa dedicata alle Caterinette, preceduta da un gran veglione: questo era il nome che veniva dato alle sarte e modiste torinesi. E la nostra città, fino all'inizio della Seconda guerra mondiale, era la capitale della moda italiana. Il nome era arrivato dalla Francia, dove le apprendiste sarte avevano scelto come patrona santa Caterina di Alessandria, che si festeggia il 25 novembre. Per la sua giovane età, Caterina diventa anche patrona delle bambine e delle ragazze. Un tempo, in Francia, alla sua festa le bambine aspettavano di ricevere i suoi regali mentre le ragazze, all'uscita dalla messa, avevano il diritto di scegliersi un cavaliere e invitarlo a pranzare insieme. Oggi la festa delle caterinette a Torino è praticamente dimenticata (l’ultima si è svolta il 25 novembre 1971), a causa della progressiva chiusura delle sartorie. Non riusciamo nemmeno più a immaginare che all’inizio del Novecento a Torino le sartine rappresentassero un universo di trentamila persone, un quinto dell'intera forza lavoro femminile, dispiegata in un migliaio di atelier, laboratori, boutique di prestigio e modeste botteghe a cui si aggiungevano i lavori svolti a domicilio.

Sempre in Archivio, si può scoprire la laurea di Carlo Promis (1808 – 1873, poliedrico studioso, sostenitore dell’Eclettismo, ovvero la tendenza a ispirarsi a fonti diverse accogliendo da ciascuna gli elementi ritenuti migliori, teorizzata per primo da Johann Johacim Winckelmann); la descrizione del palazzo in cui ci troviamo in un antico volumetto divulgativo; verbali di esami e lauree.

Sappiamo che nel palazzo vi era una cappella per le funzioni religiose, con un cappellano e un direttore spirituale a disposizione di studenti e professori; si pagava un ceraio per il mantenimento delle candele liturgiche e devozionali. Un documento che riassume la vendita degli arredi nel 1879 ci fa dedurre che a quella data la cappella non esistesse più, ma non abbiamo altre notizie in merito.

Un tempo la conformazione dell’edificio era assai diversa, perché vi trovavano posto negozi e botteghe di artigiani.

La visita prevede l’accesso anche alla Biblioteca Storica Arturo Graf, che contiene circa 280.000 volumi in otto sale. Alcune bacheche espongono opere particolari o di grande valore: il volume più antico, del 1492; due libri di Filippo Tommaso Marinetti, figli di quel tempo avventuroso e di scoperta (Guida alla cucina futurista e Uccidiamo il chiaro di luna!). Ogni testo qui contenuto ha una doppia catalogazione: per numero di attribuzione e per il fondo di provenienza.

L’Aula Magna, oggi adibita a lezioni ed eventi pubblici, è stata in passato il Teatro Anatomico (era il luogo adibito alle dimostrazioni anatomiche pubbliche, effettuate tramite dissezione di cadaveri. Era costituito da un tavolo centrale, sul quale avveniva la dissezione, circondato da gradini disposti in modo circolare, ellittico o ottagonale e provvisti di parapetto dai quali gli studenti potevano osservare il procedere della dimostrazione del docente). Anche di questo ambiente, come della cappella, non ci è rimasto niente.

All’interno della Sala del Rettore si conserva un quadro del pittore napoletano Battistello Caracciolo (1578 – 1635), in stile caravaggesco. Conosciamo poco di quest’opera, ad accrescere il suo mistero una frase in latino celata dalla cornice, scoperta in un restauro, che recita: “chi vuol venire porti con sé la croce”. Dopo l’ultimo restauro, questa splendida tela, che gioca in modo efficace con i chiaroscuri della luce e dell’ombra, era stata in mostra ai Musei Reali – Galleria Sabauda dal 28 marzo al 25 giugno 2019.

Si esce arricchiti da questa visita, accompagnata da volontari Fai e dai giovani apprendisti ciceroni del liceo statale “Regina Margherita”: siamo loro grati per aver fatto respirare per un’ora l’aria della cultura che qui si muoveva, a due passi dai palazzi del potere e dalle segreterie sabaude, e aver fatto incontrare le figure di tanti eminenti personaggi della cultura torinese in una breve cavalcata attraverso i secoli.

Bibliografia

Luigi Cibrario – Storia di Torino – 2 voll. – Alessandro Fontana - 1846.

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Articolo pubblicato il 29/03/2022