Lettera al direttore - La guerra in Ucraina pone riflessioni anche a noi cuneesi

Analisi emerse da un angolo d’Italia ove si produce e si lavora. Il dibattito ovviamente è aperto e contiamo sulla libera partecipazione dei nostri lettori.

Abbiamo pubblicato diversi articoli sulla guerra in Ucraina, trattando l’aspetto geopolitico, militare, unitamente all’evidenza delle ripercussioni sulle nostre popolazioni, discendenti dalle decisioni intraprese da Europa ed Italia, così pure sulle effettive conseguenze nei confronti della Russia.

Nel documentarci abbiamo scelto la via della riflessione, che segue la ricerca di fonti attendibili. Non ci siamo accodati ad interpretazioni emotive e fotocopia che si leggono sugli organi di stampa a grande tiratura.

Con tali considerazioni, pubblichiamo la lettera pervenutaci da un affezionato lettore, Paolo Chiarenza, perché non si erge a giudice, ma pone considerazioni e riflessioni di carattere generale e si fa portatore di interrogativi specifici sulle conseguenze delle decisioni governative sul destino delle esportazioni e le attività industriali in provincia di Cuneo.

Analisi emerse da un angolo d’Italia ove si produce e si lavora.

Il dibattito ovviamente è aperto e contiamo sulla libera partecipazione dei nostri lettori.

 

Egregio Direttore,

 

riflettere sulla insensata guerra Russia-Ucraina, significa approfondire alcuni aspetti per potere avanzare idee concrete in vista di una pace necessaria che va ricercata e reclamata  a prescindere dalle ragioni dei contendenti.

 

In questi giorni di guerra abbiamo ascoltato trasmissioni TV fino alla nausea, letto giornali di informazione a sazietà. La gente normale che abbiamo ascoltato vuole la pace assolutamente, teme le conseguenze delle sanzioni e l’impoverimento, ha paura di perdere ancora di più posti di lavoro. Ma è da sprovveduti pensare che le azioni di pace le avanzi spontaneamente l’aggressore, la parte più forte e cinica.

 

Ci si illude di combattere l’autocrate Putin, ritenendo che  la nazione russa sia invece una cosa diversa. Per storia, identità, cultura, da Pietro il grande in poi la politica della Russia è fortemente nazionalista e quindi espansionista. Altri, al posto di Putin, interpreterebbero più o meno questa inclinazione di sempre.

 

Non dice niente il fatto che malgrado gli stermini, i gulag, le repressioni operate dal comunismo, all’appello di Stalin nella seconda Guerra mondiale contro la Germania, in nome della “Grande guerra patriottica” della Santa Madre Russia morirono combattendo oltre 26 milioni di russi?

 

Un’altra riflessione. L’Italia e l’Europa si accaniscono con virulenza contro la Russia, con il pieno favore degli U.S.A., giustamente in nome dell’Occidente, dell’Unione Europea, dell’Alleanza Atlantica. Il risultato paradossale è che ad intervenire per trattative di pace sono la Cina e la Turchia, Stati autocratici. Meno male che sono intervenuti decisamente anche il Papa e Israele. I paesi europei e gli americani non hanno canali di dialogo.

 

Su un altro punto viene da riflettere. All’inizio il conflitto era individuato nello scontro fra la volontà di sicurezza della Russia e l’indipendenza e la libertà dell’Ucraina,  ora stiamo nuovamente scivolando verso la pericolosa contrapposizione ideologica democrazie liberali-regimi autocratici. Non deve essere così.

 

La tranciatura dei rapporti è diventata così netta, che perfino l’arte e lo sport, emblemi di umanità e solidarietà, ne sono coinvolti furiosamente. E pensare che nei tempi duri della “guerra fredda” furono proprio le gare sportive di ping pong a favorire l’incontro di Reagan con Mao.

 

Non ci si rende conto della nostra presunzione di matrice occidentale che la democrazia liberale, per noi sistema migliore di tutte le forme di governo, non è esportabile in altre realtà politiche, religiose e culturali.

 

Ma la vediamo la situazione geopolitica dell’Asia, del Medio Oriente, dell’Africa, del Centro e Sud America con i loro regimi? Pragmaticamente dobbiamo avviarci verso un mondo multipolare e coesistere, arginandoci e condizionandoci a vicenda.

 

Comunque, nell’Italia ufficiale è un rincorrersi a richiedere sanzioni sempre maggiori contro la Russia e a dare la caccia ai beni degli oligarchi di Putin, i quali certo non ne soffrono le conseguenze come i loro dipendenti italiani che perdono il posto di lavoro.

 

Aggiungiamo che quest’ultimo provvedimento fa  ricordare le conseguenze economiche delle leggi razziali del 1938: furono sequestrati circa 18.000 beni di ogni genere intestati a oltre 7.000 ebrei.

 

Riteniamo che anche dalla provincia di Cuneo deve prorompere verso le nostre autorità di governo un richiamo a mobilitarsi per iniziative di pace rivolte ad entrambi i contendenti. E’ nell’interesse della produzione e del lavoro in tutta Italia.

 

Il Cuneese – al di là di tutto il  possibile sostegno all’Ucraina – non può rassegnarsi a subire ingenti danni dalle sanzioni, che non possono essere sopportati a lungo. Allarmi quotidiani salgono dal territorio, segnalazioni preoccupanti si evidenziano nel comparto agroalimentare, nel commercio, nella meccanica, nell’esportazione di vini, mentre si riducono i rifornimenti e aumentano i costi delle materie prime e dell’energia.

 

Nessuno vuole disertare dalle scelte nazionali che ci impegnano, ma non vogliamo sentirci dire a mo’ di consolazione dal vertice dell’Europa, la Van der Leyden, che “le sanzioni devastano l’economia russa”, oppure dagli analisti dei grandi giornali nostrani che “la Russia è prossima al default”.

 

A Cuneo come in tutta Italia c’è forte attesa per una pace accettabile, che evidentemente sarà frutto realistico di compromessi e concessioni.

 

Abbiamo invece l’impressione che a Roma tutti rimangano allineati e coperti, ben disponibili a parteggiare come dei tifosi e anche forti ad inveire, rassegnati e impotenti a causa della nostra indole ad accodarsi di fronte ad eventi disposti da altri.

 

Ringraziamo per l’ospitalità”.

 

Paolo Chiarenza

Cuneo

 

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Articolo pubblicato il 30/03/2022