La strage dimenticata, 12 aprile 1928

Una bomba senza colpevoli alla Fiera di Milano

Una pagina oscura che solitamente non compare nei libri di storia è la strage del 12 aprile 1928 alla Fiera di Milano.

Ci sono molti paralleli con la bomba di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, perché anche in questo caso si sono battute molte piste, ma mai quella giusta.

Quel 12 aprile, giorno della inaugurazione della VIII Fiera Campionaria, alle 9.50 un boato scuote piazzale Giulio Cesare (dove oggi nulla ricorda quello scempio, per questo si può definire il fatto la strage dimenticata).

Alla base di un lampione, davanti al numero civico 18, scoppia un ordigno che investe la folla, poco prima dell'arrivo del Re. L'esplosivo era nascosto nella base di ghisa di un lampione, questa collocazione ne moltiplica la forza distruttiva.

Muoiono subito 16 persone, 4 nei giorni successivi, altre 4 nei mesi a venire e di queste ultime non verrà mai data notizia.

Ecco la testimonianza di un superstite, presente in piazza al momento dello scoppio:

“… d’un tratto mi sentii portato contro quelli più vicini a me. Il mio udito fu lacerato da un colpo: un boato fragoroso, simile ad una cannonata. Quindi i miei occhi vennero abbagliati da una vampata alta tre o quattro metri, seguita da un fumo denso e nerastro. Tra le ultime immagini che i miei occhi ricordano è quella di un giovane che stava appoggiato con il gomito sinistro al basamento del pilone. Lo vidi lanciato a qualche metro, e rompersi tutto, come inondato di sangue…vidi ancora come una eruzione di lapilli dalla bocca di un cratere. Erano le schegge di ghisa del basamento lanciate a tutta forza violentemente in tutte le direzioni. La folla sembrò scindersi. Uomini, bambini, donne e soldati cadevano come falcidiati da una raffica di mitraglia. Urla di dolore, grida di invocazione e di soccorso. Aiuto! Aiuto! Erano le esclamazioni che maggiormente echeggiavano. Schegge da ogni parte, membra staccate dai corpi. Io caddi a terra e questa fu la mia salvezza” (La Stampa, 13 aprile 1928).

La vittima predestinata sembra essere Vittorio Emanuele III in visita alla Fiera, questa ipotesi sposterà le indagini sugli anarchici.

In quello stesso 1928 si evidenzia il primo scontro tra monarchia e regime: il Gran Consiglio del Fascismo otterrà di poter entrare nella delicata questione della successione al trono. Potrebbe essere quello lo scopo di una strage “interna”, un segnale da parte della frangia più estrema del Partito Nazionale Fascista?

Inoltre, l'attentato è preceduto da due episodi inquietanti.

Nei giorni precedenti vengono scoperte due bombe inesplose sui binari.

Il giorno prima, la Questura di Milano riceve una lettera anonima che preannuncia l'attentato.

Quante somiglianze con la strategia della tensione degli Anni Sessanta e Settanta del Novecento!

O con un'opera di Pirandello, perché in piazzale Giulio Cesare nulla è quel che sembra!

E il giorno dopo...

Un grave incidente si verifica il giorno dopo l'attentato nella caserma di via Mario Pagano, sede della MVSN (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale)

A quanto si legge in un comunicato dell’Agenzia “Stefani” del 13 aprile e sul Corriere del 14 al momento della distribuzione delle armi all’interno della caserma milanese di via Mario Pagano, un milite, mentre si allaccia il cinturone, tiene stretto tra le ginocchia un moschetto ’91. Dall’arma parte un colpo, che raggiunge la camicia nera al ventre e che “prende d’infilata un gruppo di militi”. Risultato: due morti e tre feriti.

Un proiettile “magico”, che riesce a colpire cinque uomini uno dopo l’altro?

Incidente improbabile, dunque.

Resta da capire se l’evento, che ha visto accorrere in via Pagano anche Arnaldo Mussolini, fratello del Duce, sia collegato alla strage del giorno precedente oppure a tensioni tra varie fazioni presenti all’interno della Legione “Carroccio” della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale.

E le bare di due militi della “Carroccio” saranno allineate nel Duomo insieme a quelle delle vittime della strage. Ufficialmente si dice che le due camicie nere erano incaricate della protezione del Re e che, morte in servizio per un “incidente”, le loro esequie dovessero essere svolte insieme a quelle delle vittime dell’eccidio.

I dubbi coinvolgono l’interno del regime, come dimostra la perquisizione effettuata quello stesso 12 aprile da agenti della questura di Milano nella sede del circolo “Oberdan”, sede dei fascisti di orientamento repubblicano, collegati al “federale” di Milano, il ras fascista Mario Giampaoli.

Perché sia stata eseguita la perquisizione alla “Oberdan” non si è mai capito, come non si è mai saputo se sia mai stato trovato qualcosa di utile alle indagini.

La ricerca dei colpevoli risulterà infruttuosa.

Mussolini in persona affida il comando dell’indagine al Console della Milizia Ferroviaria Vezio Lucchini; la scelta sembra dovuta al fatto che nel mese sono appena stati sventati due attentati alle linee ferroviarie sulle quali dovevano transitare treni con a bordo sia il Duce che il Re. In uno dei casi un ferroviere a terra ha notato due uomini mentre stavano deponendo la bomba e che alla vista dell’uomo si sono dati alla fuga.

La Milizia Ferroviaria era una specializzazione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, istituita nel giugno 1923 in seguito allo scioglimento dei nuclei di Polizia Ferroviaria sorti dopo la marcia su Roma, su iniziativa del governo fascista per ricondurre l'ordine e la disciplina nei trasporti dopo il cosiddetto Biennio Rosso.

Lucchini è inviato a Milano il giorno stesso dell'attentato, insieme al Sostituto Procuratore Generale Vincenzo Balzano, del Tribunale Speciale che dal 1926 ha giurisdizione su ogni strage o attentato, senza essere subordinato alla Pubblica Sicurezza.

Uno degli accusati è Romolo Tranquilli. Fermato a Brunate, nel Comasco, gli trovano in tasca un biglietto con una piantina del luogo di un incontro con Luigi Longo, futuro segretario del Pci. Gli investigatori vi vedono il disegno del piazzale della strage. Quando il giovane risulta essere il fratello di un dirigente dell'Internazionale Comunista, Ignazio Silone, il suo fermo è confermato. Romolo tenta di scappare, ma la caccia all'uomo non gli concede scampo. Viene bastonato e in prigione si ammala gravemente. Non verrà curato adeguatamente e muore nel carcere di Procida nel 1932.

Tra i molti altri accusati, vi sono antifascisti legati a Giustizia e Libertà (G.L.).

Vengono arrestati i nomi di spicco della sezione milanese: l'economista Ernesto Rossi, Riccardo Bauer, l'industriale e chimico Umberto Ceva.

G. L. ha in mente di preparare attentati dimostrativi per il 22 ottobre 1930, anniversario della presa del potere del Duce. Nel corso di esperimenti nel Bergamasco, Ceva si accorge della pericolosità delle bombe e riesce, con uno stratagemma, a metterle fuori uso. A fare la spia probabilmente è Carlo Del Re (1901 – 1978), che al servizio dell'OVRA ha svolto un ruolo di infiltrato nelle organizzazioni antifasciste. Alla fine della guerra Del Re vedrà comparire sulla Gazzetta Ufficiale il suo nome tra i 622 collaboratori dell'OVRA (la polizia segreta del fascismo).

Umberto Ceva è interrogato e accusato della strage di Milano e minacciato, se non confessa, di essere fatto passare come una spia della polizia.

L'ispettore Francesco Nudi scrive nella sua relazione che «Il nome di Del Re ci venne fatto durante la istruttoria da uno degli arrestati, il dott. Ceva» e che l'istruttoria è stata «grandemente facilitata dalle confessioni» del giovane chimico.

Perché Umberto Ceva si è suicidato? (egli si toglie la vita nella sua cella del carcere di Regina Coeli nella notte di Natale del 1930)

Per non essere costretto a confessare di aver confezionato le bombe per l'attentato di Milano?

Per non denunciare Carlo Del Re? (in quanto non era sicuro che egli fosse il vero traditore).

Per non dover dichiarare le responsabilità di qualche militante di Giustizia e Libertà?

Prima di morire, scrive alla moglie in una lettera:

“Santa Elena mia, posso dirti le circostanze che mi portano a compiere oggi un atto che da più di un mese ho deciso. Ho aspettato sino ad ora per essere ben certo che nulla mi facesse velo. Non posso dirti, perché equivarrebbe a rendere impossibile che ti consegnino queste mie ultime parole. Ho forse toccato inconsciamente mani impure e quello che ho fatto, non grave in sé, può far sorgere dei dubbi, e per difendermi dovrei accusare, senza un'ombra di prova, solo per un'ombra di prova, solo per poche parole, afferrate qua e là. Sono stato cieco e questo mi ha portato a dover dare a te, a tutti i miei cari adorati, questo dolore terribile. Io perdono con assoluta sincerità di cuore e tu fa lo stesso secondo la mia intenzione. Difendi la mia memoria se le circostanze lo richiederanno. Che i nostri figli portino ben alta la fronte, perché il loro padre muore con la coscienza tranquilla e senza aver macchiato il loro nome”.

E queste sue ultime parole fanno riflettere, aprono altri dubbi nel mistero.

Anche l'ingegnere Giobbe Giopp (Lamon 1902 – Città del Messico 1983), esperto di esplosivi e ordigni a orologeria, è accusato di essere fra i responsabili della strage, a luglio 1928 è confinato a Ponza. Nel luglio 1930, dopo aver ottenuto breve licenza per tornare a Milano a sostenere un esame universitario, fugge in Francia, dove si aggrega all'antifascismo. In merito alla fuga, l'ispettore Guido Leto scrisse che "l'ingegner Giopp, a Milano, travestito da prete eluse la vigilanza degli agenti di scorta e si rese irreperibile". Sussistono molti dubbi sulla veridicità di questa versione, e, in particolare, sul fatto che Giopp avesse potuto realmente eludere la scorta di polizia travestito da prete. La polizia sospettava che la sua mano fosse dietro una serie di attentati avvenuti tra il maggio 1927 e dicembre 1928: al monumento di Napoleone III, alla ferrovia Milano-Rogoredo, alla linea Milano-Bologna, all’Opera cardinal Ferrari e all’Arcivescovado di Milano.

Con questo retroscena, i dubbi sulla sua fuga in Francia (autorizzata?) non fanno che aumentare!

 

Carmelo Camilleri

Polizia in azione è un libro scritto da Carmelo Camilleri (forse l’ispiratore del popolare Commissario Montalbano creato dalla penna di Andrea Camilleri), in cui narra le sue esperienze di commissario.

Il capitolo relativo all'attentato alla Fiera di Milano non fornisce molti particolari sul ruolo del commissario Camilleri, che si trova fra le mani l'indagine sulla prima strage nell'era fascista della storia italiana.

Il commissario Camilleri è un personaggio a tutto tondo, che collabora col Prefetto Mori, si occupa di garantire la sicurezza personale di Mussolini; fascista autentico (formatosi nella caccia ai “sovversivi” in Puglia e Toscana), inquisitore e poi perseguitato: andrebbe raccontato, con un romanzo o con una serie televisiva.

Egli si convince che le responsabilità siano tra i fascisti (in particolare, gli Arditi del già nominato Circolo Oberdan milanese), per questo viene rimosso e condannato a cinque anni di confino, poi amnistiati nel 1932 per il decennale del regime.

Nel 1944 sarà autore dello studio “Il sistema carcerario italiano”, pubblicato da Paolo Carrara Editore.

Epilogo di alcuni personaggi

Carlo Del Re proverà per tutto il dopoguerra, fino alla fine dei suoi giorni, a tentare inutilmente le strade per la sua riabilitazione umana e politica.

Giobbe Giopp finisce la sua vita in Messico.

Il Questore di Milano Giovanni Rizzo conclude la sua carriera in maniera ingloriosa. Diventerà la “balia” di Gabriele d’Annunzio: un confinato che sorveglia un altro confinato, per quanto di lusso.

Dopo quasi un secolo i responsabili materiali dell’orrore di piazzale Giulio Cesare sono ancora nascosti nell’ombra e, a meno di qualche improbabile scoperta d’archivio, vi rimarranno per sempre.

Chi può leggere quanto è stato scritto sulla strage (assai poco, in verità) riporta la netta impressione che nemmeno Mussolini volesse scavare a fondo sull’eccidio, forse perché sospettava chi vi si trovasse dietro o per timore di scoprire la verità.

E che dire degli antifascisti?

Perché nessuno di loro nel dopoguerra ha chiesto la riapertura delle indagini? Perché la magistratura dell’Italia libera nata il 25 aprile 1945 non ha mai tentato di dare giustizia alle vittime?

 

Il “forse” di Umberto Ceva

Quella parola colpisce tutti, il regime e gli antifascisti che si richiamano a Giustizia e Libertà. Rimane il dubbio che qualcuno di loro possa aver avuto una diretta responsabilità nel massacro, in inconfessabili legami con fascisti o addirittura apparati istituzionali, ma ormai la risposta non arriverà più.

Per trovare una labile traccia di questa strage occorre recarsi al cimitero monumentale di Milano. Il “monumento Ravera”, ubicato al limitare settentrionale del rialzato A di Ponente, commemora Benvenuta Natalina Monti (1890-1928), i due piccoli figli, Gian Luigi e Rosina, e il nipote Enrico, deceduti per gli effetti della bomba; artefice del monumento è lo scultore Adolfo Wildt (1868 – 1931). Antonio Ravera, marito di Benvenuta, finanziò la realizzazione del monumento con il sostegno economico della Federazione Fascisti Commercianti, della quale faceva parte.

Due libri, in modo diverso, raccontano questo fatto di sangue: il saggio “Attentato alla fiera” di Carlo Giacchin (Mursia 2009) e il romanzo “L’ombra del campione” di Luca Crovi (Rizzoli).

Due diversi tentativi di non dimenticare una strage feroce, lasciata cadere nell’oblio del tempo.

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Articolo pubblicato il 12/04/2022