"Mi dimetto per servire la Repubblica", 30 anni fa l'addio di Cossiga al Quirinale

Il 25 aprile 1992 l'annuncio e i motivi delle dimissioni prima di fine mandato. I ricordi ed i commenti degli esponenti di ieri e di oggi

Trent’anni or sono, Francesco Cossiga, l’ultimo presidente della repubblica dotato non solo di un’intelligenza politica fuori del comune, ma di una vision ahimè profetica sul destino che, come Paese ci attendeva, si dimise dalla suprema magistratura del Paese, con quasi tre mesi d’anticipo per facilitare, l’arduo compito al suo successore.

Ricordiamo il personaggio e ripercorriamo gli eventi, ad iniziare dal suo discorso di commiato davanti alle TV, seguito dai  commenti di alcuni esponenti politici di allora.

“Ho preso la decisione di dimettermi da Presidente della Repubblica, spero che tutti lo consideriate un gesto onesto, di servizio alla Repubblica". Sono le 18.38 del 25 aprile del 1992 e Francesco Cossiga, rivolgendosi a "cittadine e cittadini di questo meraviglioso Paese", con un discorso televisivo a rete unificate che durerà complessivamente 45 minuti, annuncia la scelta di lasciare il Quirinale, in anticipo rispetto alla scadenza naturale fissata per il successivo 3 luglio.

E’ il momento culminante di due anni che hanno visto il Capo dello Stato uscire dal riserbo che aveva caratterizzato i primi cinque del mandato e rendersi protagonista di una serie di esternazioni, per spingere la classe politica ad attuare riforme radicali non più rinviabili, dopo i cambiamenti epocali verificatisi alla fine degli anni Ottanta, a partire dalla caduta del Muro di Berlino.

“Talvolta ho gridato -ricorda Cossiga nel suo messaggio agli italiani- ma se ho gridato è perché soltanto temevo di non farmi sentire".

Non a caso ben presto si parlerà di picconate e di picconatore per descrivere gli interventi del Presidente della Repubblica, proprio per i toni forti, nella forma e nella sostanza, che in certi casi diventano accorati, tanta è la volontà di far capire che nuovi assetti politico-istituzionali debbono sostituire quelli che per oltre 40 anni si sono fondati sugli equilibri prodottisi dopo la fine della seconda guerra mondiale.

“Superata una serie di ostacoli, interni ed internazionali, che avevano fortemente caratterizzato e condizionato, nei decenni trascorsi, il funzionamento del sistema italiano, si è giunti ad una fase della nostra vicenda -aveva scritto ad esempio Cossiga nel messaggio sulle riforme istituzionali inviato alle Camere il 26 giugno del 1991- che al Capo dello Stato appare particolarmente propizia per coagulare intorno alla questione delle riforme un vasto e costruttivo consenso, un vero e proprio nuovo patto nazionale che permetta di raccogliere, attraverso una profonda trasformazione del modo di fare politica del nostro Paese, la richiesta di cambiamento che sale dalla società civile".

Una domanda, ribadirà il Presidente nel discorso del 25 aprile del 1992, confermata dai risultati delle elezioni svoltesi il 4 e il 5 aprile di quello stesso anno: Democrazia cristiana e Partito comunista, "simbolo di un tipo di società politica, sono stati fortemente penalizzati con il voto e con questo voto credo si sia voluto aprire uno spazio al rinnovamento del nostro sistema politico.

Le elezioni hanno posto una forte domanda di governo, di cambiamento e di riforme. Da qui un'analisi spietata sulla situazione del Paese, con "gravi ed importanti problemi da affrontare e da risolvere: i nostri appuntamenti con l’Europa, perché Maastricht non è soltanto il nome di una bella cittadina dei Paesi Bassi, non è solo il nome di un Trattato, Maastricht non è qualcosa che noi abbiamo raggiunto, un risultato che noi abbiamo conseguito, è un obiettivo che dobbiamo guadagnare e che non è facile guadagnare, non un esame superato, un esame solo rimandato e che ci sarà fatto secondo prove sicure e prove difficili".

Cossiga elenca poi la necessità di "evitare il disastro della finanza pubblica, la tutela del risparmio, anche nelle forme del debito pubblico che sono la ricchezza, certo anche delle banche, ma sono soprattutto la ricchezza dei poveri, dei piccoli, di voi che avete fiducia nello Stato e poco sapete di azioni e di obbligazioni. Il rilancio della produzione interna e sui mercati internazionali, difendere l’occupazione, promuoverla, il risanamento dei servizi pubblici, la guerra dura ma intransigente alla criminalità organizzata, con la vittoria definitiva, perché il diritto sconfigga la mala società".

Questioni che rendono "necessario e urgente risolvere la crisi di governo, chiamare i partiti alla loro responsabilità, promuovere la formazione di un Governo che impegni il Parlamento sulle cose serie".

Esigenze che si scontrano, denuncia Cossiga, con "chiare resistenze a cambiare, tentazioni forti di conservazione, incertezze gravi nelle forze politiche, incognite sulla probabilità di formare in Parlamento maggioranze vere, omogenee, responsabili, soprattutto se le se ricerchi con i vecchi sistemi: con le armate Brancaleone si possono anche eleggere oneste persone, persone capaci, persone per bene, ma non si governa il Paese e soprattutto non si può cambiare".

Ma c'è soprattutto una contingenza istituzionale che preoccupa il Capo dello Stato: "per promuovere la formazione di un Governo nuovo e forte -spiega- occorre un Presidente forte, occorre un Presidente forte politicamente e forte istituzionalmente. Ed allora io non è che abbia il diritto, ho il dovere di pormi davanti a voi, e pongo alla mia coscienza, se voglio essere fedele al giuramento che ho prestato sette anni fa, un interrogativo: posso essere io questo Presidente? “

“Il mio mandato, prosegue Cossiga, scade il 3 luglio, dal 3 giugno il presidente della Camera può convocare il Parlamento in seduta comune per l’elezione del mio successore, dal 3 giugno o almeno dal giorno in cui il presidente della Camera convocherà il Parlamento, un elementare dovere di correttezza mi imporrebbe di astenermi da ogni attività di rilievo politico e istituzionale".

Quindi, sottolinea Cossiga, "io non sono un Presidente forte" e "ho un dovere, quello di permettere che venga qui un Presidente forte, che sia almeno forte perché eletto dal nuovo Parlamento. E quindi la mia scelta dovrebbe essere quella per le mie dimissioni anticipate e per permettere al nuovo Parlamento di dare al Paese un Presidente che forte per la sua elezione e per l’ampiezza temporale e di contenuti del suo mandato, possa affrontare questa grave crisi politica e istituzionale e promuovere la formazione di quel Governo che voi con il vostro voto avete voluto" “Allora -l'annuncio di Cossiga- ho preso la decisione di dimettermi da Presidente della Repubblica. C’è chi approverà il mio gesto, c’è chi questo gesto non approverà. Spero che tutti lo consideriate un gesto onesto, di servizio alla Repubblica".

L'addio al Quirinale, "per assicurare un ordinato trapasso di poteri" avverrà formalmente il 28 aprile successivo con la firma dell''atto di dimissioni". Commosso fino alle lacrime e costretto a bere per stemperare la tensione, il Capo dello Stato quando si rivolge ai giovani, ai quali "voglio dire di amare la Patria, di onorare la Nazione, di servire la Repubblica, di credere nella libertà e di credere nel nostro Paese". Quindi un ultimo accorato appello: "questo è un Paese che non sarà una grande potenza politica, che non sarà una grande potenza militare, forse questa è una benedizione di Dio, ma che è un Paese di grande cultura, di grande storia, è un Paese di immense energie morali, civili, religiose e materiali".

Si tratta di saperle mettere assieme e si tratta di fondare delle istituzioni che facciano sì che lo sforzo di ognuno vada a vantaggio di tutti. Che Dio protegga l’Italia, viva l’Italia, viva la Repubblica".

Il trentennale del gesto di Cossiga, riletto con i mutamenti e le problematiche  insorte negli ultimi trent’anni, hanno rinverdito i ricordi e le domande ancora prive di risposta, da parte di osservatori maggiormente accorti.

Per Gianfranco Rotondi, presidente di 'Verde è Popolare' “Francesco Cossiga fu il solo leader consapevole dell'imminente epilogo della prima repubblica. Aveva delle intuizioni, e delle informazioni. Ma soprattutto capiva che i nuovi equilibri internazionali imponevano alla Dc di evolvere in un moderno partito liberal-democratico sul modello del Ppe. Forse sognava di poter guidare lui quella transizione, e le picconate servivano a costruire un ponte tra il ruolo presidenziale e il successivo, più dirompente, ruolo politico. Per alcuni aspetti il suo disegno fu realizzato da Berlusconi, per altri aspetti quella transizione - trent'anni dopo - non si è ancora compiuta".

L’ex ministro e parlamentare socialista Rino Formica, ricorda il 25 aprile del 1992, quando Francesco Cossiga annunciò le dimissioni da Presidente della Repubblica, "criticai il suo mutamento di orientamento, perchè aveva sempre affermato, fino appunto al giorno improvviso delle sue dimissioni, che avrebbe ceduto il mandato al momento della sua scadenza a luglio, che non avrebbe mai anticipato le sue dimissioni. Improvvisamente anticipò le dimissioni: questo è il punto oscuro e mai chiarito, di che cosa mosse il Presidente della Repubblica a un mutamento di orientamento e questo ancora oggi non è un elemento chiaro".

“La mia proposta –ricorda l’on Formica, era che Cossiga dovesse essere rinnovato nel mandato, perché era l'unico che avrebbe potuto, dalla posizione della Presidenza della Repubblica, accompagnare il mutamento di quadro politico nell'interno di un sistema internazionale che doveva ricercare il suo nuovo e stabile equilibrio, che è il problema ancora di oggi. Questo naturalmente alla luce del suo famoso messaggio del '91 alle Camere sulla condizione generale di salute della democrazia repubblicana all'indomani del crollo del Muro di Berlino e dello schieramento bipolare dell'ordine mondiale".

“Si mossero forze di varia natura sul piano internazionale e sul piano nazionale -denuncia Formica- che vollero una accelerazione della crisi di sistema senza sbocco politico".

"Se fosse rimasto, Cossiga infatti avrebbe spinto i partiti politici e le strutture internazionali a compiere un esame profondo di revisione della propria collocazione e dei propri orientamenti in un mutamento profondo del quadro internazionale, che aveva sicuramente dei riflessi importanti in ogni singolo Paese ma in particolare in Italia che era un Paese di triplice frontiera: Est-Ovest, Nord-Sud e con il Vaticano, che aveva una sua ragione di orientamento di politica internazionale che era di superamento della divisione del mondo in due blocchi, per la sua visione universale".

Per Calogero Mannino   "Cossiga aveva capito che con la nuova legislatura tutti i nodi sarebbero arrivati al pettine e fece una scelta di metodo procedurale, da costituzionalista qual era: prima ancora che il Presidente dia l'incarico per la formazione del Governo ad uno schieramento politico, il Parlamento deve eleggersi un nuovo Presidente della Repubblica".

Tuttavia, ricorda l'ex ministro Dc, in quel momento l'allora Capo dello Stato "è anche profeta di quanto sta per accadere, vorrebbe avvertire chi deve a modificare i propri comportamenti, ma scopre che il Partito comunista, beneficiario delle sue intenzioni, le respinge, fa affidamento sulla magistratura e su un segmento degli apparati".

“Cossiga si metteva da parte, conclude Mannino, perché i Comunisti non accettavano nessuna relazione e interlocuzione politica, perché quando cade il Muro di Berlino Violante, Occhetto e D'Alema fanno affidamento soltanto su una carta: abbiamo i magistrati dalla nostra parte e l'affidamento ai magistrati è anche un affidamento a parte degli apparati, tema che fino ad oggi non è stato esplorato e scoperto, ma certamente la magistratura funziona in quanto funzionano gli apparati".

Cossiga era un Uomo onesto e non ricattabile, ma soprattutto scomodo. Intravedeva pericoli e situazioni che proprio in questi giorni stanno riaffiorando, con le conseguenze immaginabili sull’Italia e sul piano internazionale.

Dopo di Lui abbiamo conosciuto le scelte partigiane di Oscar Luigi Scalfaro in dispregio del voto degli Italiani, il vacuo patriottismo ragionieristico di Carlo Azeglio Ciampi, le pagine oscure che videro protagonista Giorgio Napolitano e la Presidenza appena riconfermata di Sergio Mattarella, sulla quale si pronuncerà la Storia.

 

 

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 25/04/2022