L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Elio Ambrogio: Fatti, Fattoidi e Racconti

La crisi ucraina ancora fra narrazione e realtà

C’è la guerra, e poi c’è il discorso sulla guerra. Sono due cose diverse? Sicuramente sì, anche se profondamente connesse, come ovvio. La prima è un’arida e spietata sequenza di fatti, il secondo è diventato un genere letterario che i mezzi di comunicazione hanno reso predominante sino ad occupare quasi interamente il nostro orizzonte degli eventi, molto spesso immaginario.

Il fatto è che la comunicazione globale si è impadronita di questi fatti e li ha trasformati in uno schermo televisivo dove i padroni del discorso proiettano quel che vogliono usando tutte le tecniche -dalle più rozze alle più sofisticate- per imporre il frame, la cornice, desiderata e basata sulla semplice logica aggressore/aggredito che è la più gradita e la più assimilabile da parte di un’opinione pubblica senza troppi strumenti critici.

Considerazioni colte e semi-colte, più o meno articolate, più o meno suggestive, più o meno agghindate di citazioni e riferimenti a fatti più o meno verosimili, quelli che il grande Gillo Dorfles chiamava “fattoidi”, sospesi fra esistenza e non-esistenza, fra il mondo delle cose e il regno della rappresentazione.

Prendiamo i parallelismi spericolati di questi ultimi giorni fra fascismo, nazismo, Liberazione, lotta partigiana. La nostra secolare abilità retorica e sofistica ha immediatamente accostato la guerra ucraina a tutto l’immaginario resistenziale che, annualmente, viene costruito intorno al 25 aprile per veicolare l’idea che la Resistenza sia il vero grande fondamento della nostra Repubblica, o almeno della Prima Repubblica dal momento che quella seguente sembra costruita su ben altri presupposti.

Che poi Sergio Mattarella abbia sentito il dovere di dire che i fatti ucraini gli hanno fatto venire in mente Bella Ciao, una canzone che nessun partigiano ha mai cantato essendo stata costruita e diffusa solo negli anni cinquanta, la dice lunga sulla qualità delle esternazioni presidenziali, o quantomeno sulla statura intellettuale dei ghost writers quirinalizi.

D’altra parte, basta seguire -con doloroso spirito masochistico- uno dei tanti dibattiti che infestano le mattinate, i pomeriggi e le serate dei palinsesti televisivi per rendersi conto di come la guerra ucraina ormai non abiti più nella realtà ma solo nelle intenzioni e nelle visioni dei giornalisti e di una schiera di commentatori geopolitici in perenne divergenza fra di loro e con la logica: il mondo come volontà e rappresentazione, verrebbe da dire con licenza di un grande pensatore tedesco.

L’ambiente televisivo è un immenso brodo di coltura dove fino a ieri si riproducevano freneticamente i virologi, e dove oggi si riproducono geopolitici vari, generali in pensione, direttori di istituti di ricerca strategica, politici che dalla zootecnia salentina sono passati ad occuparsi di equilibri mondiali.

Anche qui, come nell’era pandemica, si è assistito ad una infodemia galoppante che alla fine ha minato l’attendibilità di ogni opinione. Se la chiacchiera virologico-sanitaria aveva però talvolta un fondamento scientifico riconducibile a studi e statistiche, quella geostrategica è invece tutta ideologica, soggettiva, labile, immaginifica, a seconda della provenienza del commentatore o del sedicente studioso.

Basta vedere i venti di indignazione sollevati contro Alessandro Orsini o contro Michele Santoro, antica e venerabile icona della sinistra, per capire come la materia bellica e politica in questione sia altamente opinabile e, soprattutto, molto sensibile alla spinta della propaganda ufficiale ben radicata nella logica aggressore/aggredito di cui dicevamo all’inizio, una logica (o pseudo-logica) che a sua volta porta in sé una dose considerevole di aggressività ideologica, una sorta di vero e proprio “putinismo culturale”.

Oggi la parte della ragione, che nel recente passato era impersonata da personaggio del livello di Cacciari e  Agamben, viene sostenuta, fra gli altri, da storici come Cardini e D’Orsi che, tanto diversi nella formazione culturale, sono però accomunati da un uguale alto profilo scientifico ed accademico e soprattutto da un vero e articolato discorso razionale, che però dispiace al conformismo imperante.

Ma c’è anche chi si spinge più in là rieditando un grande classico dell’interpretazione storica: il paragone con Hitler e il nazismo.

Uno strumento sempre utile e di facile uso, data l’universalità archetipica della figura in questione caratterizzata da follia, megalomania, ferocia. Peccato che accostare Hitler e il nazismo a Putin e alla Russia di oggi sia solo un espediente molto elementare che, fra le molte altre cose, non tiene conto di un dettaglio fondamentale: il nuovo scenario mondiale e soprattutto la deterrenza nucleare, che di fatto rende impossibile, o comunque difficilissime, scelte politico-militari che nel secolo scorso erano invece praticabili.

Così come appare forzata l’opinione, che circola insistentemente, secondo cui Putin inseguirebbe l’obiettivo di ricostituire una Grande Russia inglobando i territori un tempo appartenenti all’Unione Sovietica, o comunque russofoni, opinione costruita apposta per alimentare il terrore fra gli stati confinanti e indurli a buttarsi fra le braccia della NATO, come sembra già probabile per Svezia e Finlandia.

Una tecnica psicologica che però mostra la corda, basata com’è su intenzioni russe per nulla provate e documentate e sulla rappresentazione caricaturale di un Putin megalomane e “hitlerizzato”, o perlomeno napoleonico, che è l’esatto contrario di un capo di stato che è certamente duro, intransigente, autoritario ma sicuramente non squilibrato o anche solo poco lucido, a differenza di certi leaders occidentali.

Se si vuol porre fine al conflitto bastano poche cose molto realistiche e fuori dalla melassa retorica e moralistica in cui la politica occidentale e i suoi mezzi di comunicazione (non di informazione, si badi) hanno annegato il dibattito.

Innanzitutto prendere atto che l’Ucraina non può vincere la guerra militarmente, nonostante il fiume di armamenti che l’occidente vi sta riversando. Armare quella nazione, e dunque le sue oscure milizie parallele e nazificate, è un atto criminale sia verso le popolazioni filorusse, che prima o poi ne subiranno il fuoco spietato, sia verso ogni possibile volontà e scelta di pacificazione, e dunque anche verso l’umanità (cioè noi) che da quella mancata pacificazione rischia addirittura l’estinzione.

Il signor Draghi e i suoi referenti internazionali vogliono veramente farci morire per Kiev?

Seconda necessità: impedire assolutamente ogni estensione della NATO a Est, ai confini della Russia, ed esigere dal governo ucraino l’impegno assoluto a non aderirvi. La politica di accerchiamento militare della Russia non è né giusta né sbagliata, è semplicemente pericolosissima e deve finire; contestualmente, vanno rinegoziate e ridefinite con l’accordo di tutte le parti in causa le nuove aree di influenza nel rispetto delle legittime esigenze russe di sicurezza.

E i territori ucraini occupati? Questo è il punto più doloroso e scabroso ed è inutile girarci attorno: i territori filorussi dovranno diventare indipendenti, o fortemente autonomi, in vista di una loro possibile e libera scelta di adesione alla Federazione Russa. L’alternativa è una soltanto: l’occupazione permanente e la successiva annessione forzata.

Tutto il resto costituisce la letteratura comunicativa di cui si diceva all’inizio. Buona per le anime belle dell’Occidente, per i loro giornali, per le loro televisioni e per la sconfinata ipocrisia dei loro governanti.

Elio Ambrogio - Vice Direttore

 

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 01/05/2022