Torino: arte farmaceutica dall’epoca romana ad oggi

Di Luca Guglielmino (Nona Parte)

Ottocento. - Nel Settecento vengono stampate diverse farmacopee, ricettari, trattati di farmacia solitamente in latino ed è solo a metà dell’Ottocento che compaiono testi in lingua nazionale.

La Pharmacopoea Taurinensis del 1736 è interamente il latino ma la Farmacopea sarda del 1853 è scritta in italiano ma con i nomi dei medicinali scritti in italiano, latino e francese.

Come si è visto tra il XVIII e il XIX secolo la chimica diviene determinante influenzando farmaci e terapie.

La nomenclatura alchimistica cede strada a quella chimica e l’opera di Antoine-Laurent de Lavoisier vengono tradotte da Vincenzo Dandolo (1791).

Le scoperte geografiche permettono di far arrivare nuove piante medicinali come strofanto, ipecacuana, eucalipto e cascara.

La Farmacopea sarda se da un lato illustra alcaloidi recentemente scoperti come caffeina, codeina, morfina, digitalina e atropina, dall’altro consiglia ancora la carne di vipera per preparare l’antidoto universale, la teriaca, che per circa duemila anni dominò la scena farmaceutica.

Il problema delle misure è nuovamente affrontato dai Francesi che importano il sistema metrico decimale. Joseph-Louis Lagrange o Giuseppe Luigi Lagrangia di Torino, naturalizzato francese e primo firmatario per l’annessione del Piemonte alla Francia nel 1802, presidente della commissione pesi e misure a Parigi per l’applicazione del sistema metrico decimale che diventa universale, propugna l’adozione di tale sistema che segue le conquiste napoleoniche e si diffonde in tutta Italia, sia nei territori annessi (Piemonte) che nelle Repubbliche satelliti della Francia, Cisalpina (prima Cispadana e Transpadana), Romana e Partenopea.

A Torino le vecchie misure della riforma del 1612 vennero trasposte in metrico decimali dall’abate Antonio Maria Vassalli Eandi, allievo del matematico Giovanbattista Beccaria, anche lui membro della commissione pesi e misure di Parigi e allo scopo scrive il Saggio del sistema metrico della Repubblica Francese col rapporto delle sue misure a quelle del Piemonte e con alcune osservazioni sul medesimo, edito la prima volta nel 1798 a Torino per i tipi di Pane e Barberis poi aggiornato successivamente (1802).

Ma nel 1815 subentra la Restaurazione e tornano in auge le antiche misure e solo nel 1850 con le varie riforme di Carlo Alberto, entrerà nuovamente in vigore il sistema metrico decimale.

È solo immaginabile le acque agitate in cui tutti si dibattevano, dai contadini, che ancora negli anni ’70 del XX secolo usavano misurare e parlare di giornate, brente o brinde, tese ecc., ai farmacisti e agli ufficiali del catasto.

Fino a tutto il XVIII secolo le spezierie dapprima corporative erano organizzate come collegiate con statuto di categoria e l’apertura di nuove spezierie avveniva su concessione dell’autorità e dietro cospicuo pagamento. Con l’arrivo di Napoleone cessa il regime di concessione e vengono comunque confermate le spezierie esistenti. Gli speziali divengono farmacisti e si compie subito una verifica dei diplomi di medici, chirurghi e speziali ora farmacisti. Sparisce la figura del Protomedico ed è sostituita da un collegio di esperti o Consiglio di Sanità che rilascia i diplomi e autorizza le varie attività sanitarie vigilando sull’attività degli addetti.

Fondamentale è la legge del 21 germinale, anno XI (1803) che regola l’insegnamento e la disciplina farmaceutica in Francia e territori annessi o conquistati. Quindi: libertà di aprire farmacie avendo il titolo universitario di farmacista. Questo veniva ottenuto in tre anni di studi superiori alla Scuola di farmacia sita nelle principali città dell’Impero e comunque capoluogo di dipartimento (Torino era capoluogo prima del dipartimento dell’Eridano e poi del Po) più tre anni di pratica farmaceutica.

A Torino insegnavano professori come Costanzo Benedetto Bonvicino (tecnica farmaceutica), Giambattista Balbis (botanica) e Giovanni Antonio Giobert (chimica).

I tipi di esame erano due, o meglio si offrivano due possibilità: la prima era quella di sostenere un esame presso un Giurì apposito e ve ne era uno per ogni dipartimento onde esercitare in loco mentre vi era una seconda opportunità più complessa consistente in un esame di teoria e uno di pratica presso la stessa Scuola onde ottenere l’autorizzazione ad esercitare in tutto l’Impero. Venticinque anni era l’età minima per gestire una farmacia.

Vi erano sanzioni penali, multa da 25 a 600 franchi e in caso di reiterazione di reato diversi giorni di carcere per chi vendeva farmaci in pubblico, nei mercati o su panche.

Vi è un Ordine del 9 fiorile anno XI sulla vendita di piante e fitofarmaci.

Il regolamento sulle scuole di farmacia appare con il Decreto del 25 termidoro anni XI.13 agosto 1803 (Composizione, amministrazione, istruzione, iscrizioni e anche visite degli allievi nelle farmacie, negli erbolai). A Torino sono istituite cattedre di farmacia presso la Facoltà di Medicina e solo nel 1812 viene fondata una scuola autonoma di Farmacia. Il 17 frimaio anno XII viene emanato un ordine concernente l’esercizio della farmacia e la vendita delle piante medicinali che ricalca quello del 9 fiorile anno XI.

Il 9 nevoso anno XII abbiamo l’Ordine per la vendita di sostanze velenose ex artt. 34 e 35 della legge del 21 germinale anno XI.

Tali sostanze dovranno essere tenute sottochiave e vendute solo a coloro che ne hanno titolo; 3.000 franchi di ammenda ai contravventori.

Si doveva tenere un registro vidimato dal commissario di polizia su cui registrare nome e cognome, residenza, professione, natura dei prodotti acquistati, l’uso da farne, data 3.000 franchi di ammenda ai contravventori.

Se l’acquirente fosse stato analfabeta, il registro lo avrebbe compilato il farmacista a patto che conoscesse l’individuo come avente titolo a tali acquisti.

È interessante il prospetto delle sostanze minerali ritenute velenose.

Luca Guglielmino

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Articolo pubblicato il 04/05/2022