“L’ultima rivoluzione. La Chiesa della resistenza e il crollo del comunismo” di George Weigel

La rivoluzione spirituale che ha sconfitto la menzogna comunista nel 1989 - Parte II

Il II capitolo (Chiamare il bene e il male con il loro nome. Smascherata la menzogna comunista) è dedicato alla rivoluzione di velluto della Cecoslovacchia e al dissidente più celebre Havel, che è stato eletto presidente. Interessante l’episodio riportato dell’erbivendolo, e del suo cartello in mezzo alle cipolle, “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”, un segnale che trasmetteva acquiescenza, un piccolo e concreto atto di resa al sistema comunista.

Secondo Havel il sistema comunista era un “castello di menzogne”: un mondo di apparenze spacciate per realtà”. Nel sistema comunista bisogna fingere su tutto, la cultura della menzogna era impiantata per metastasi con effetti devastanti, su cinque livelli: personale, relazionale, giuridico, storico e linguistico. Havel aveva capito che il sistema totalitario e la sua cultura della menzogna si basava su una diffusa complicità, oltre che dal terribile potere della polizia segreta e dall’intero apparato di sicurezza interna, “era sostenuto, da una massa disposta ad accettare per realtà le apparenze e a sottoscrivere ‘le regole del gioco’”.

Sostanzialmente gente, “piegati al ruolo di complici, i più erano divenuti essi stessi giocatori, poichè consentivano ‘la continuazione del gioco’, ‘lo svolgimento stesso del gioco’”. Era la realtà, ecco perchè secondo Weigel, la rivoluzione avrebbe dovuto cominciare non dalla politica ma dalla cultura, vale a dire dalla riconquista della coscienza e della dignità personali. “Senza una preliminare rivoluzione dello spirito non sarebbe mai potuta avvenire un’efficace rivoluzione politica nel sistema imperialistico di Jalta”.

Per fare questo, bisognava uscire da quell'atmosfera di cultura della menzogna, e soprattutto “vivere nella verità”, come affermava Havel, di “chiamare il bene e il male col loro nome”, come ammoniva Giovanni Paolo II. Serviva secondo Weigel un “quinta colonna di cittadini ‘stanchi di essere stanchi’, capaci di rivoltarsi contro le manipolazioni e di raddrizzare la schiena per ‘vivere più dignitosamente’ [...]”. L’unica risposta alla cultura della menzogna era una risposta prepolitica: era vivere nella verità, lasciar circolare ‘la speciale forza radioattiva della parola veritiera’”.

Pertanto sottolinea Weigel, gli eventi del 1989, sono stati possibili da una “prerivoluzione”, “opera di una “quinta colonna” di spiriti indipendenti, uomini e donne che avevano interiorizzato ed erano pronti a seguire, subendone tutte le conseguenze, i quattro principi in grado di contrastare e smascherare la cultura della menzogna: verità, responsabilità, solidarietà, non violenza”. Messi insieme questi quattro principi cardine, portavano alla ricostruzione di una politica consona alla tradizione classica dell’Occidente.

Due libri che hanno avuto tanta influenza nella dissidenza sono “Il potere dei senza potere” di Havel e “Lettere dal carcere di Danzica” di Michnik.

Nel IV capitolo (La “differenza Wojtyla”) il giornalista americano si occupa del principale protagonista della rivoluzione dello spirito che portò al 1989.

Il 22 ottobre 1978, nel corso della cerimonia dell’incoronazione, Giovanni Paolo II ripetè tre volte l'invito alla responsabilità e al coraggio: “Non abbiate paura!”, “Aprite le porte a Cristo Redentore!”, non sono invocazioni istituzionali. Il papa polacco crede fermamente che la morte di Dio sia la morte dell’uomo. Per questo l’incitamento evangelico di Giovanni Paolo II ha smosso la politica della fine del ventesimo secolo e in particolare quella delle nazioni nella cultura comunista della bugia.

Karol Wojtyla “conosceva bene la trama della menzogna e la disumanità da essa generata allorchè fu eletto alla cattedra di Pietro, sapeva che il sistema andava attaccato alle radici - ai principi basiliari, da smontare con una chiara domanda: ‘Quale umanesimo?”. Attraverso l’arma del vero umanesimo, ha permesso al futuro pontefice di sfidare il marxismo-leninismo.

Con Giovanni Paolo II, cambia l’indirizzo strategico dell’Ostpolitik della Santa Sede. L’elezione del primo papa slavo diede “un duro colpo al vanto comunista di aver edificato un ‘nuovo uomo socialista’, e certamente Karol Wojtyla, non lo era. “L’esultanza popolare per l’approdo alla cattedra di Pietro di questo simbolo polacco di contraddizione non poteva che essere frustrante per gli uomini a cui spettava il compito di mantenere in piedi la facciata ideologica della cultura della bugia”. Wojtyla sapeva quale era il punto più vulnerabile del sistema comunista. Il regime durava grazie alla paura e all’acquiescenza. La gente ancora non era pronta a dire “no” alla paure e quindi al sistema.

L’Ostpolitik vaticana cambiò perchè il papa ha innestato alcuni tratti della missione pastorale di arcivescovo di Cracovia. Fondamentale secondo Weigel è la provenienza, la lunga residenza a Cracovia di Wojtyla. Un'antica città, simbolo della storia polacca, con la sua cattedrale, la sua piazza, il castello, i suoi palazzi, la sua collina di Wawel, con i suoi famosi monumenti.

Wojtyla aveva imparato l’esperienza come affrontare il comunismo e non solo a contrastare “le varie forme di repressione, ma anche a sfidarlo moralmente, culturalmente e storicamente facendo leva sui principi di un più genuino umanesimo”.

Da Papa mise a frutto subito le varie tecniche di confronto con i comunisti che aveva maturato in un arco di trent’anni. Il nuovo pontefice era un provetto regista, seppe orientare in modo nuovo i temi e la dinamica della Ostpolitik vaticana. Il suo insegnamento indirizzato a tutti gli uomini e donne di buona volontà, il tema dei diritti umani e quello della libertà religiosa, da questo momento sono presenti al tavolo di qualsiasi trattativa.

Il papa ha sempre agito non da politico che tratta con altri politici, ma da defensor hominis, autorizzato a parlare a favore di ogni singolo uomo e dell’intera umanità. Era presente sempre la difesa dell’uomo, piuttosto che la difesa istituzionale della Chiesa. Il pontefice opera su tre fronti cruciali: l’etica, la cultura e la storia, ha promosso un’antropologia che sottolinea la natura della persona umana e ha ricordato a tutti gli europei la loro comune cultura, radicata nella civiltà cristiana.

Erano quattro i convincimenti personali che aveva sempre presente il papa polacco: Il primo era Jalta, dove si era consumata una catastrofe morale. “Li la sua patria aveva perso per la seconda volta il secondo conflitto mondiale: tradita nel 1939 dal patto Ribbentropp-Molotov, la Polonia aveva perso di nuovo a Jalta, allorchè l’Occidente aveva consegnato il paese alle amorevoli cure di Stalin”. La seconda guerra mondiale che avrebbe dovuto restituire la libertà e restaurare il diritto delle genti, aveva detto il papa nel 1991, si era conclusa “senza aver conseguito questi fini”.

“Jalta, dunque per Weigel, era il punto focale della visione geopolitica di Giovanni Paolo II”. Pertanto era chiaro che “Giovanni Paolo II riteneva che la Chiesa avesse l’obbligo di contestare la legittimità morale del sistema imperialistico di Jalta: non frontalmente sul piano politico, come avrebbe fatto Pio XI e come aveva tentato di fare Pio XII, ma con una crociata evangelica - guidata da lui stesso - in favore dei fondamentali diritti umani”. Questa sfida al sistema di Jalta doveva avere un carattere non violento, come ha sempre sostenuto. Anche perchè come insegnava Adam Micnik, “chi inizia prendendo d’assalto le Bastiglie, finisce con costruirne a sua volta”.

Il secondo convincimento è che Wojtyla aveva una mentalità “europea”, non accettava la divisione artificiosa, tra Europa occidentale ed Europa orientale. I polacchi non si sono mai considerati “europei orientali”, ma soltanto europei e basta. Wojtyla, uomo di cultura riteneva innaturale, la divisione dell’Europa in due blocchi. Paragona spesso il vecchio continente a un “corpo che respira con due polmoni”. Giovanni Paolo II è un europeo polacco, figlio della tradizione polacca, anche se non è un nazionalista gretto. Wojtyla pontefice aveva un vasto arsenale di armi morali da brandire dinanzi a una popolazione.

Durante il suo pellegrinaggio del giugno 1979, di fronte alla Madonna Nera, egli parlò e fu inteso a quattro livelli: religioso, morale, storico-culturale e nazionale. Anche se alcuni giornalisti occidentali videro il papa come una sorta di benigno Khomeinismo. Inoltre Weigel sottolinea l’aspetto della fede millenaristica del pontefice, l'uso" dei grandi anniversari quali strumento di rinnovamento personale e sociale, come si evidenzia della sua partecipazione alla Grande Novena (durata nove anni, non nove giorni) indetta dal cardinale Wyszynski. Anche a Roma il pontefice prepara l’avvento del terzo millennio cristiano, un segno dei tempi che la Chiesa non può ignorare.

Tutti questi temi - Jalta, Europa, Polonia, devozione popolare, imminenza del nuovo millennio, hanno contribuito ad elaborare l’Ostpolitik della Santa Sede.

Con Giovanni Paolo II la diplomazia vaticana non avrebbe più considerato un dato immutabile lo status quo dell’Europa centro-orientale, in quanto era una situazione intrinsecamente ingiusta.

Una riforma del mondo comunista non poteva muovere dall’alto ma dal basso, “solo una società civile rivivificata sarebbe stata in grado di animare una tenace resistenza pacifica e di far crollare infine le mura dell’oppressione - senza violenze di massa e senza una conflagrazione globale”.

Pertanto Wojtyla consapevole che il suo compito primario fosse quello di “confermare i fratelli nella fede”, e questa missione comporta una difesa dei diritti umani fondamentali, specie la libertà religiosa, il nuovo pontefice intravide anche la possibilità di influenzare la politica delle nazioni.

Il V capitolo (Polonia, la scintilla della rivoluzione) lo studioso americano fa una sintesi della storia della Polonia, della Chiesa polacca e della sua resistenza al regime, i governi comunisti fedeli esecutori degli ordini di Mosca. La figura autorevole di questi anni è il primate polacco, il cardinale Wyszynski e poi non mancano i riferimenti ai movimenti di resistenza dei dissidenti polacchi, fino alla nascita del sindacato Solidarnosc di Lech Walesa.

Il VI capitolo (Cecoslovacchia. Una Chiesa rinata nella resistenza) qui il protagonista è il drammaturgo Vaclav Havel e tutti gli altri protagonisti a cominciare di Vaclav Benda di “Charta 77”, dissidenti e resistenti pacificamente al regime comunista. Alla fine del testo Weigel ringrazia tutti quelli (un profluvio di nomi più o meno illustri) che hanno contribuito alla preparazione del volume.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 10/05/2022