La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Il Carabiniere e la ragazza che rifiutava il suo amore

Torino, 25 aprile 1951. La ricorrenza viene festeggiata e sono “Ricordate le glorie della lotta partigiana”, come titola Stampa Sera nella sua seconda pagina. Nella nostra città non si registrano incidenti, mentre nella notte precedente, a Milano e a Roma, vi sono state esplosioni di bombe nelle sedi dell’A.N.P.I. È nella sera di quel giorno che si verifica una tragedia, nel quartiere torinese di Pozzo Strada.

Al civico 265 di corso Francia, all’angolo di via Pozzo Strada, si trova la bottiglieria della signora Cambiano vedova Savio che la gestisce con la figlia Giovanna, di vent’anni.

Un assiduo frequentatore del locale è il Carabiniere Ettore Tagliavini, di 29 anni, follemente innamorato della bella, ma algida Giovanna.

Tagliavini, nativo di un paesino della provincia di Parma, ha prestato servizio presso la caserma di Borgo San Paolo; da due mesi è stato trasferito alla sezione di Borgo Po, ma ha continuato a presentarsi nella bottiglieria ogni due giorni.

Il rapporto tra il militare e la ragazza - forse succube della madre - viene ricostruito dalle cronache giornalistiche coeve con linguaggio colorito, ma forse poco aderente alla reale psicologia dei protagonisti.

Il Carabiniere avrebbe fatto alla ragazza una corte «timida, rozza e goffa», mostrando un «comportamento tra l’infuocato e il patetico, tra il minaccioso e il supplichevole: senza, naturalmente, ottenere nulla». E ancora «più volte aveva cercato, con ardenti frasi, di conquistarne l’affetto o, per lo meno, di strapparle qualche parola di simpatia».

A questo corteggiamento come rispondeva la ragazza? «Giovanna - una ragazza seria, molto affezionata alla madre - lo aveva sempre tenuto a distanza, con un contegno severo e fermo».

Nella sera di quel 25 aprile, Tagliavini, dopo il servizio d’ordine alla partita di calcio, in borghese, raggiunge la bottiglieria alle 20:30.

A quell’ora il locale è vuoto, madre e figlia fanno cena in cucina. All’apertura della porta, la signora Savio manda Giovanna a vedere chi sia il cliente. La ragazza torna dopo un istante e le dice tremando: «Mamma, c’è di nuovo quel Carabiniere antipatico». La madre la esorta ad essere calma e giudiziosa e così Giovanna ritorna al banco vicino alla macchina del caffè.

Tagliavini siede a un tavolino, tira fuori di tasca un giornale che si mette a leggere tenendolo spiegato, in modo da nascondere i suoi movimenti. Quando la ragazza gli si avvicina per chiedergli cosa desideri, lui abbassa il giornale, impugna la sua pistola, spara un colpo che raggiunge Giovanna all’altezza del cuore. La ragazza cade sul pavimento. Lui la colpisce con altri cinque colpi, poi fugge.

Intanto il Maresciallo della caserma di Borgo San Paolo, già superiore del Carabiniere, è diretto alla bottiglieria. Sente gli spari e scorge il fuggitivo. Senza riconoscerlo, lo insegue, ma, per la pioggia e l’oscurità, lo perde di vista.

Intanto Giovanna è caricata su un’auto e trasportata all’Ospedale Maria Vittoria. Muore durante il tragitto: tutte e sei le pallottole le hanno perforato i polmoni e il cuore.

Giungono nella bottiglieria Polizia e Carabinieri, mentre fuori, si raduna una folla. Si organizza una vasta battuta alla ricerca dell’omicida. Tagliavini ha ancora la sua pistola d’ordinanza con due colpi e non si esclude che possa suicidarsi.

Alle 8:00 del giorno seguente alcuni poliziotti trovano Tagliavini seduto sui gradini del Commissariato Borgo Dora. Dichiara: «Vengo a costituirmi. Sono il Carabiniere che ha ucciso una ragazza...».

Si bloccano le ricerche e Tagliavini è portato in Questura. In tasca ha ancora la pistola, con un colpo in canna, un caricatore completo e una manciata di proiettili. Narra che, dopo il delitto, ha raggiunto il Cimitero Monumentale, dove ha cercato invano di entrare mentre la pioggia cadeva sempre più fitta. Si è rifugiato sotto la tettoia di un marmista per trascorrere la notte. Era sua intenzione uccidersi, ma non ha trovato la forza. Al mattino si è costituito.  

In Questura, Tagliavini rimane solo per mezz’ora, poi i Carabinieri lo portano alla caserma Podgora (1), dove rilascia questa confessione: «Ho premeditato il delitto perché avevo già deciso la mattina del 25 aprile: se Giovanna non vorrà corrispondere al mio amore l’ammazzerò». Alle 14:30 giunge alle Carceri Nuove.

Il Comando generale dei Carabinieri ordina un’inchiesta rigorosa: Tagliavini, ha combattuto come Alpino nella Seconda Guerra Mondiale, è stato prigioniero e, al ritorno, ha fatto domanda di ammissione nei Carabinieri. Dopo il corso, è stato inviato alla caserma di Pozzo Strada per essere poi trasferito - per il carattere poco socievole coi commilitoni - alla sezione di Borgo Po.

Sottoposto a perizia psichiatrica, è giudicato in pieno possesso delle capacità di intendere e volere. Tagliavini ha ammesso la premeditazione del suo gesto, poi al giudice istruttore dichiara che il suo è stato un delitto d’impeto: è giunto alla bottiglieria armato di pistola e con 29 proiettili per non abbandonare l’arma in dotazione nella camera che affittava al di fuori della caserma. Il giudice istruttore gli attribuisce l’aggravante della premeditazione.

Il processo è celebrato in Corte d’Assise il 5 dicembre dello stesso anno.

Assiste un pubblico numeroso, forse animato da curiosità morbosa. In aula, Tagliavini pare aver perso la parola. Il Presidente cerca più volte, invano, di indurlo a dare la sua versione del tragico fatto. Si devono leggere le sue precedenti dichiarazioni che lui conferma o respinge con «» o «no» appena percettibili. Attribuisce l’uccisione a una follia improvvisa.

La prima dei pochi testimoni è la madre della vittima. «Era l’unica creatura rimastami dopo la morte di mio marito - esclama piangendo -. Aveva quattro anni quando suo padre morì e da allora io ho sempre lavorato giorno e notte per lei. Lui, quel mostro, me l’ha uccisa!».

Alcuni clienti della bottiglieria e un’intima amica di Giovanna concordano nel descriverla come una ragazza seria, che non coltivava relazioni sentimentali, che non incoraggiava mai nessuno.

Il Pubblico Ministero insiste sull’evidente premeditazione del delitto, ma non trascura il lato umano della tragedia: chiede che, con la concessione delle attenuanti generiche, la Corte riduca la pena a 22 anni di reclusione (per l’omicidio premeditato il Codice prevede l’ergastolo).

Tagliavini ha un coscienzioso difensore d’ufficio, che parla per circa due ore, chiede che vengano accolte due delle sue tesi: la non premeditazione e la concessione della seminfermità mentale. Secondo il difensore, la passione di Tagliavini per la ragazza fa ritenere che le sue capacità di intendere e di volere fossero diminuite.

La Corte accoglie in parte le richieste del difensore: nega la premeditazione e condanna l’imputato a 18 anni e al risarcimento della parte lesa (500 mila lire).

Il contegno dell’imputato è giudicato dalle cronache «enigmatico» e «impenetrabile», non batte ciglio anche quando la madre di Giovanna commuove pubblico e giurati. Soltanto alla lettura della sentenza impallidisce leggermente, ma si riprende e il suo volto ritorna inespressivo.

Le cronache si concludono con la notizia che il suo difensore ha presentato ricorso in appello, ma non siamo riusciti a trovare ulteriori notizie e non sappiamo se la pena sia stata ridotta o confermata.

Per inquadrare in termini moderni il caso di Ettore Tagliavini ricorriamo alle indicazioni della Sezione Atti persecutori del Reparto Analisi Criminologiche dei Carabinieri (2), che - a stretti, pragmatici fini di polizia - inquadrano gli stalker in cinque tipologie: il “risentito”; il “corteggiatore incompetente”; il “respinto”; il “predatore” e il “bisognoso d’affetto” - categoria nella quale pare rientrare Ettore Tagliavini  - che è desideroso di convertire in relazione sentimentale un ordinario rapporto della quotidianità e insiste e fa pressione, nella convinzione che prima o poi l’oggetto delle sue attenzioni si convincerà. Tagliavini ha dato prova di una particolare esasperazione, visto che nel giro di pochi mesi è passato dal corteggiamento all’uccisione della sua vittima.

 

Note

(1) La Caserma Podgora era collocata, in via Accademia Albertina 13 angolo via Giolitti, nel Convento di Santa Croce che oggi ospita il Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi.

(2) Fonte Wikipedia, voce “stalking”.

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Articolo pubblicato il 14/05/2022