Il Covid 19 in Corea del Nord

Rischi e pericoli per un regime che non ha creduto nella scienza (di Alessandro Mella)

I numeri ed i dati di queste settimane, e delle ultime ondate, hanno confermato in occidente un’evidenza ormai innegabile. La minor virulenza delle varianti omicron, la diffusa immunità da infezione contratta ma soprattutto i prodigi dei vaccini mrna hanno contribuito a frenare incredibilmente la violenza del covid ed a ridurne sensibilmente gli effetti sulle persone e sulle strutture ospedaliere. Un miracolo dovuto alla scienza, alla razionalità, al buon senso di medici e persone.

Una soluzione che ha permesso ai paesi europei ed agli Stati Uniti di porre fine alla stagione drammatica dei lockdown con i quali si sono prodotti danni terribili non solo all’economia ma anche alla salute ed alla vita sociale delle persone. Una scelta oggi ingiustificabile ed imperdonabile che, ovviamente, non sarebbe tollerata dalla popolazione al punto che perfino nella Cina, illiberale e poco democratica, la gente sottoposta alla chiusura totale sta iniziando a reagire. La strategia del “covid zero”, infatti, si è dimostrata utopica oltre che fallimentare e delirante. E non a caso essa è inseguita, vanamente, solo più da dittature e regimi tutt’altro che democratici.

Anche il regime socialista della Corea del Nord ha tentato, per due anni, di isolarsi per impedire l’arrivo del covid nel proprio territorio vantandosi per mesi di esserci riuscito pur gravando ulteriormente sulla popolazione civile già provata da una diffusa povertà procurata dalle cattive politiche del regime stesso e dalle sanzioni economiche imposte a causa del programma nucleare nordcoreano.

L’isolazionismo scelto da Pyongyang non solo non ha premiato ma ha, anzi, aggravato la carestia ed il malessere sociale che gravano da tempo sul paese. A lato di questa scelta il governo nordcoreano ha mostrato, fin da subito, nervosismo verso i vaccini. Nessuna campagna vaccinale è stata avviata in Corea del Nord, nemmeno con quelli a concezione tradizionale prodotti in Russia ed in Cina, partner graditi alla dittatura dei Kim.

L’illusione di poter proteggere un paese, in costante deperimento, dal covid solo chiudendosi a riccio s’è infranta qualche giorno fa quando un focolaio, crescente di ora in ora, è stato scoperto dalle autorità socialiste nordcoreane. Le poche notizie che il regime ha lasciato filtrare lasciano immaginare migliaia e migliaia di contagi ed una prima serie di vittime, le quali sarebbero già diverse decine e certamente più di quanto si pensi.

Quel che seriamente preoccupa è il fatto che il covid ha raggiunto un paese privo di immunità da vaccinazione di massa e soprattutto, se vero quanto millantato dalla tirannia di Pyongyang in questi mesi, sia di quella da precedente infezione e contatto con il virus.

Kim Jong Un ed il politburo del Partito dei Lavoratori nordcoreano hanno ordinato un lockdown teoricamente totale ma è chiaro che questo servirà a poco se non a nulla. L’impatto del virus su una popolazione indifesa dal punto di vista della capacità reattiva del sistema immunitario, nonché notoriamente denutrita a causa di una lunga carestia alimentare, rischia di farsi drammatico e forse peggiore di quello subito dalle nazioni europee nell’infausta primavera del 2020.

La capacità di contagiare delle varianti omicron è, infatti, incredibile dal punto di vista della sua capacità di diffondersi ma non c’è certezza che sugli individui fragili e non vaccinati essa non agisca con la stessa minore forza distruttiva sperimentata nell’occidente abbondantemente vaccinato.

Difficile, per ora, fare previsioni sull’impatto che il covid avrà sull’antica tirannia dinastica dei Kim ma certo il rischio che, oltre a seminare dolore e lutti, il virus possa indebolire come non mai il regime non va trascurato.

Senza dimenticare che non conosciamo con certezza nemmeno la situazione carceraria del paese e quella dei probabili campi di concentramento nei quali l’infezione potrebbe dilagare incontrollabile. A ciò si aggiunge un sistema sanitario fragilissimo con ospedali privi di risorse e disponibilità di farmaci ridotta al minimo come lo stesso dittatore ha constato durante un sopraluogo propagandistico in una farmacia.

Di sicuro Kim Jong Un non sta passando ore serene e meno che mai i suoi gregari, alcuni dei quali forse avranno già pagato caro l’inevitabile e facilmente prevedibile fallimento del covid “mai in casa”.

Ora la dittatura socialista deve correre ai ripari, ridurre al minimo i danni che saranno comunque pesantissimi sia sul piano sanitario ed umano che su quello politico e d’immagine, ed agire. Non a caso il “caro leader” avrebbe fortemente criticato la gestione del governo, il suo, ed ordinato l’intervento dell’esercito. L’unica struttura pubblica numericamente importante e ricca di risorse.

Ma come agire? Accettando tardivamente l’invio di vaccini dalle potenze occidentali o dalla Corea del Sud? Permettendo il transito di team sanitari stranieri in patria per offrire assistenza? Tutte ipotesi possibili ma improbabili poiché segnerebbero comunque una sconfitta terribile per il regime.

Mentre l’occidente torna a vivere, sognare, guardarsi sorridere e sperare, a Pyongyang è iniziata una fase critica i cui risvolti sono imprevedibili ma che la scienza dovrà monitorare e seguire con interesse ed attenzione.

La cecità, la mediocrità, di chi ha respinto il miracolo dei vaccini verrà pagata caramente da una popolazione inerme ed incapace di reazione. Ed il mondo che farà?

Frattanto Kim Jong Un si è presentato in pubblico, per la prima volta, con una mascherina quasi come un segno di resa ad una drammatica realtà che rischia di travolgere la tirannia che ha ereditato da suo padre e da suo nonno.

Alessandro Mella

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Articolo pubblicato il 17/05/2022