Amedeo di Savoia Duca di Aosta nella storia d’Italia
Amedeo di Savoia, Duca di Savoia e di Aosta, e la Duchessa Silvia

di Aldo A. Mola

Memoria del Principe Amedeo di Savoia

Sabato 4 giugno 2022 il Principe Amedeo di Savoia, Duca di Savoia e di Aosta, è stato ricordato nella Basilica di Superga ove riposa tra gli Avi e i Re di Sardegna. Il feretro vi giunse un mese dopo i funerali, celebrati il 4 giugno 2021 nella fiorentina Basilica di San Miniato al Monte alla presenza del successore, Principe Aimone di Savoia, Duca di Savoia e di Aosta, che ne ha ereditato e assunto rango e titoli.

 

Qual è la “lezione” del Duca?

La morte improvvisa del Principe Amedeo di Savoia il 1° giugno 2021 ha riportato al centro dell’attenzione alcune questioni di interesse ampio e meritevole di riflessione: i legami di parentela tra i Savoia e le altre Case europee; la successione dinastica al proprio interno e il suo nesso con la storia generale d’Italia, prima e dopo la Costituzione della Repubblica in vigore dal 1° gennaio 1948.

Per comprendere i molteplici aspetti di ciascuno di questi temi è utile ripercorrere rapidamente il profilo del Principe Amedeo. Egli fu un patriota italiano di formazione e cultura universale, per destino e per scelta. Nacque da Irene di Grecia il 27 settembre 1943 a Villa Cisterna, presso Firenze, poco dopo un pesante bombardamento “alleato”. Il padre, Aimone di Savoia (1900-1948, designato re Croazia nel 1941: ne ha scritto Giulio Vignoli), era forzatamente lontano. Esercitava il comando militare ricoperto per la riscossa dell’Italia dopo l’armistizio del 3/29 settembre 1943. Da tre settimane il governo presieduto dal Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, nominato al posto di Benito Mussolini il 25 luglio precedente su iniziativa personale di Vittorio Emanuele III (al quale si deve la fine del “regime”), si era trasferito da Roma a Brindisi con il re, la regina Elena, il principe ereditario Umberto di Piemonte, alcuni ministri e i vertici militari delle Forze Armate. Per gli anglo-americani, che operavano a nome delle Nazioni Unite in guerra contro la Germania e i suoi alleati, Vittorio Emanuele III rappresentava la continuità dello Stato. L’Italia era il Re, con i suoi ambasciatori, generali, alti funzionari; e con il fitto reticolo di trattati, accordi, convenzioni, frutto di secoli di storia, da “aggiornare” nel quadro politico-militare della guerra in corso. Londra, Washington e l’Unione sovietica avevano quale unico referente il Regno d’Italia, non i partiti appena affioranti né le loro dispute. Il re era il garante dell’applicazione della “resa senza condizioni”. Per quanto dura, questa aveva riconosciuto la Corona quale interlocutore dei vincitori. Da lì, pur tra enormi difficoltà, era iniziata la riorganizzazione dell’Italia, impresa gigantesca incardinata sui Corpi dello Stato: le Forze Armate, i diplomatici, i funzionari legati al giuramento di fedeltà al Re e ai suoi legittimi successori, ovvero all’Italia nata dal Risorgimento.

 

Regalità di un Patriota

Appena nato, Amedeo divenne una preda. Per prudenza (come si legge in Cifra Reale di Danila Satta e Amedeo di Savoia, ed. La Compagnia del libro), la madre ne fece subito rilevare le impronte digitali. Costituita la Repubblica sociale italiana (il cui governo, dopo un passaggio alla mussoliniana Rocca delle Caminate, tenne la sua prima riunione nella sede dell’Ambasciata tedesca a Roma, in modo che fosse chiaro chi davvero ne reggeva le briglie), Mussolini non osò nulla nei suoi confronti. Il neonato Aimone era il nipote di Amedeo di Savoia, III duca di Aosta, viceré di Etiopia, morto prigioniero degli inglesi: un mito per tutti gli italiani legati nel culto della Patria.

Però il vendicativo Adolf Hitler, che considerava l’Italia uno stato vassallo, non essendo riuscito a impadronirsi della Famiglia Reale, lo teneva sotto osservazione. Il 26 luglio 1944 Heinrich Himmler ordinò la sua traduzione con la madre da Firenze a Hirschegg, presso Gratz, in Austria, ove erano stipati centinaia di uomini politici e militari deportati da vari Paesi e tedeschi invisi al regime nazionalsocialista. I nazisti volevano solo tenerlo ostaggio tra i molti o farne un’alternativa al Re e al principe ereditario?

Dopo il crollo della Germania e varie vicissitudini, il 7 luglio 1945 la Principessa rientrò in Italia con il piccolo Amedeo e si stabilì a Fiesole con il Consorte, Aimone, IV duca d’Aosta, ingiustamente rimosso per livore “politico” dal ruolo che gli competeva.

Come gli altri membri di Casa Savoia, il duca Aimone lasciò l’Italia di concerto con Umberto II, che all’indomani del discusso referendum istituzionale del 2-3 giugno 1946 e dell’arbitrario conferimento dell’esercizio dei poteri di capo dello Stato al democristiano Alcide De Gasperi, il 13 giugno partì per il Portogallo protestando contro il “gesto rivoluzionario”. In realtà fu un vero e proprio colpo di Stato, poiché l’esito della votazione non era ancora definitivo. I risultati del referendum, infatti, vennero comunicati solo il 18 giugno nel corso della seconda adunanza della Corte Suprema di Cassazione, preceduta dalla paradossale udienza nella quale dodici giudici su diciotto stabilirono che per “votante” deve intendersi non già chi vota, bensì chi esprime un voto valido: un colpo di stato contro la lingua italiana.

Il Duca Aimone di Aosta si trasferì in Argentina. Vi morì due anni dopo. Quando le sinistre monarcofaghe lamentarono che il principino suo figlio rimaneva in Italia, come la nonna, Elena di Orléans, vedova di Emanuele Filiberto, mai mossasi dalla Reggia napoletana di Capodimonte, Alcide De Gasperi osservò sommessamente che l’Italia non poteva averne paura. Forse un poco arrossì per quanto egli stesso e il suo partito avevano fatto ai danni della Casa che aveva fondato l’Italia. 

La XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione in vigore dal 1° gennaio 1948 vietò il rientro e il soggiorno in Italia agli ex re di Casa Savoia, alle loro consorti e ai discendenti maschi. A quel modo, la Costituente avallò la legge salica (successione di maschio in maschio), vigente da nove secoli in Casa Savoia, ma, ignorando le regie patenti di Vittorio Amedeo III (13 settembre 1782), confuse “discendente” con “erede al trono”. Il primo è un figlio (che può essere diseredato), l’altro è chi “automaticamente” succede al sovrano in forza delle regole interne alla Casa: norme immodificabili, proprio come la legge salica.

Aimone di Aosta era pronipote di Amedeo, primo Duca di Aosta. Figlio di Vittorio Emanuele II e di Adelaide d’Asburgo e fratello minore di Umberto I, re d’Italia dal 1878 al 1900, poco più che ventenne Amedeo di Savoia sulla fine del 1870 assunse la corona di Spagna su designazione delle Cortes di Madrid. Il suo regno non nacque sotto i migliori auspici. Il valoroso generale Prim y Pratz, suo principale fautore, vittima di un attentato, morì in circostanze tuttora misteriose. “Don Amadeo Primero” depose la corona dopo vari attentati alla sua vita (una volta mentre era in compagnia della consorte, la principessa Maria Vittoria della Cisterna) e rientrò nella linea di successione al trono d’Italia, mentre la Spagna precipitava nel caos della prima delle due sue disastrose repubbliche, chiusa con il ritorno di un Borbone: Alfonso XII.

Il primogenito di Amedeo, l’aitante Emanuele Filiberto, fu comandante invitto della III Armata durante la Grande Guerra ed è sepolto con centomila compagni d’arme a Redipuglia. Fantasie e pettegolezzi ricamarono intorno alla sua contrapposizione al cugino e coetaneo Vittorio Emanuele III. In realtà, asceso al trono perché suo padre, Umberto I, era stato assassinato a Monza nel 1900, il Re considerò sempre lui e i suoi fratelli (Vittorio Emanuele, conte di Torino, Luigi Amedeo, duca degli Abruzzi, e Umberto, conte di Salemi) riserva preziosa della Casa. Durante la Grande Guerra, all’indomani della ritirata dall’Isonzo al Piave (24 ottobre-8 novembre 1917) il Re non conferì a Emanuele Filiberto il comando supremo in successione a Luigi Cadorna proprio perché, in caso di ulteriore sconfitta e di sua eventuale abdicazione (sul modello di Carlo Alberto dopo Novara: 23 marzo 1849), il cugino avrebbe dovuto assumere la Reggenza e vegliare su Umberto di Piemonte (1904-1983), che solo nel 1922 raggiunse l’età per assumere la corona.

Altrettanto fantasiosa è l’insinuazione che nell’ottobre 1922 il Duca di Aosta abbia tramato con i quadrumviri del partito fascista in vista della rimozione di Vittorio Emanuele III, il re del 24 maggio e di Peschiera. Per i vertici delle Forze Armate e i partiti costituzionali l’Italia non era un paese “balcanico”: si fondava sullo Statuto, che dal 1848 aveva minutamente previsto e regolamentato quanto necessario.

Patriota per destino, Amedeo d’Aosta lo fu anche per propria scelta, quale cittadino dello Stato d’Italia. “Governato” dall’Ammiraglio Giulio Cerrina Feroni, studente al Collegio delle Querce di Firenze, allievo del Collegio Navale Morosini a Venezia e dell’Accademia Navale di Livorno (il cui motto è “Onore e Patria”, come ricorda nelle Memorie l’Ammiraglio Antonino Cocco, indimenticabile presidente dell’Istituto nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon), ufficiale di complemento nella Marina Militare in missione nel Mediterraneo e nell’Atlantico, il Principe si laureò in scienze politiche all’Università di Firenze.

Dopo il cambio della forma dello Stato rappresentò ripetutamente l’esule Umberto II in cerimonie e manifestazioni che coniugavano nostalgia della Tradizione monarchica e culto dell’Italia unita. Viaggiatore instancabile, raffinato studioso di botanica (in specie di piante esotiche, in particolare delle “succulente”), raggiunse prestigio internazionale e per nomina governativa fu presidente del comitato di gestione della Riserva naturale dell’isola di Vivara.

Come si è veduto anche in occasione delle sue esequie a Firenze, della sua sepoltura a Superga un anno addietro e della rievocazione memoriale del 4 giugno 2022, egli divenne ed è punto di riferimento non solo di monarchici ma dei cultori dell’unità nazionale, al di fuori e al di sopra delle fazioni, all’insegna del motto “Italia innanzi tutto” ripetuto da Vittorio Emanuele III e da Umberto II.

Casa Savoia e l’Italia: unite nella e dalla Storia

Nel corso dei secoli la Casa di Savoia ha contratto legami matrimoniali con tutte le Case regnanti d’Europa: un percorso che divenne ancora più articolato e mirato quando il Duca di Savoia fu insignito del titolo di Vicario del Sacro Romano Impero in Italia. L’intreccio risultò fondamentale nell’età delle guerre franco-ispane per l’egemonia sull’Italia. Il Ducato di Savoia rimase l’unico Stato indipendente, mentre gli altri erano direttamente o indirettamente dipendenti dagli Asburgo o dai Borbone. I sovrani sabaudi si unirono sia agli Asburgo di Spagna, quando sul dominio di Madrid non tramontava mai il sole, sia del ramo d’Austria, che conservò il titolo imperiale; sia con i Borbone di Francia. Ne nacque una geometria variabile, più volte narrata negli aspetti meno politicamente rilevanti e quindi meritevole di nuovi approfondimenti in una visione più alta della storia. Con l’ascesa di Vittorio Amedeo II al trono di Sicilia nel 1713 (poi commutato con quello di Sardegna) e l’incoronazione di Carlo Alberto di Savoia-Carignano nel 1831 (dopo l’estinzione dell’ultimo suo discendente diretto del ramo precedente), la Casa si mosse in linea con i nuovi scenari di un’Europa che in un secolo creò imperi coloniali immensi negli spazi afro-asiatici e nell’Oceania. Ancora “imparentati” con gli Asburgo, i Borbone, i Braganza e i Saxe-Coburgo-Gotha, con le nozze di Carlo Gerolamo Bonaparte e Clotilde, figlia di Vittorio Emanuele II, i Savoia sancirono il legame anche con i “discendenti” di Napoleone I. La strategia matrimoniale continuò con le nozze di Vittorio Emanuele III e di Umberto II: sponsali anche con principesse e principi di confessione ortodossa o riformata (la Regina Elena di Montenegro, il principe Filippo d’Assia, lo zar dei Bulgari...). Bene si comprende dunque che Vittorio Emanuele III fece il possibile per scongiurare l’assurdità approvata dalle Camere nel dicembre 1938 con le leggi per la “difesa della stirpe”, unite a una campagna d’opinione incardinata sul mito di una “razza italiana” priva di qualsiasi base scientifica, culturale, costumale e storiografica. Proprio la sua Casa dimostrava l’opposto; ma già lo aveva detto Vittorio Emanuele II, che nel primo discorso da Re si rivolse ai “popoli d’Italia”. Altrettanto hanno mostrato nel tempo i componenti della Casa di Savoia Aosta.

Il passaggio del rango di Capo della Real Casa dal principe Amedeo a suo figlio Aimone conduce a riflettere sul fatto che le leggi domestiche dei Savoia, come di tutte le altre dinastie reali, sono interne e non soggette a interferenze né da parte di poteri terzi (per esempio governi stranieri o di chi pro tempore esercita le funzioni sovrane in Italia), né da parte di chi, pur appartenendo alla famiglia, non ha ruoli dinastici di governo nella e sulla Casa.

Va infine ricordato che il legame tra la Casa di Savoia e la storia d’Italia non si riduce alla recente posticcia cartellonistica che promuove la visita a luoghi sabaudi come fossero nati per germinazione spontanea o tartufi scoperti casualmente dai “Beni Culturali”. La storia è Memoria. È consapevolezza dei tempi lunghi, della collocazione del Paese nelle sempre mutevoli relazioni tra le grandi potenze, nel cui novero l’Italia figurò di pieno diritto nell’età vittorioemanuelina (1900-1946). Motivo in più per accogliere l’esortazione a conoscere la storia vera, al tempo suo lanciata da Ugo Foscolo, il “veneziano” nativo di Zante, contro la tentazione dell’oblio e la sua deformazione per interessi di parte.

Aldo A. Mola

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Articolo pubblicato il 05/06/2022