I Veterani d'Oriente

Gli ultimi soldati della Crimea (di Alessandro Mella)

Non bisogna tener conto solo dei dati immediati, della situazione, ed appagarsi di piccole combinazioni provvisorie, ma guardare lungi per l’avvenire. Come guardava all’avvenire chi, per fare l’Italia in Italia, incominciava dal mandare il Piemonte in Crimea.

(P. Levi – 1914)

 

Probabilmente i primi a cui Camillo Cavour parlò dell’ipotesi di far partecipare il Regno di Sardegna alla guerra in Crimea restarono esterrefatti e forse pensarono che il prodigioso statista avesse perso il senno. Eppure, il grande politico piemontese non era mai stato così lucido e così lungimirante.

Egli voleva non tanto vincere quella guerra ma vincere la pace rendendo il Piemonte protagonista della geopolitica del suo tempo. Farlo uscire dall’isolamento imposto dai fatti, dal suo status di piccolo paese poco considerato, porlo nella condizione di poter sedere ai tavoli diplomatici con lo stesso, o quasi, peso delle grandi e storiche potenze.

Cavour, infatti, aveva compreso come quella fosse l’unica via per porre la “questione italiana” all’attenzione dei “grandi” del tempo aggirando il veto perpetuamente imposto dall’Austria che aveva tutto l’interesse ad impedire che la sua posizione nell’alta Italia venisse messa in discussione.

Occorreva, tra l’altro, non solo mandare migliaia di uomini dall’altra parte dell’Europa continentale e quasi ai confini con l’Asia, ma era necessario rendersi utili se non decisivi, portare a casa una grande vittoria che rendesse i soldati sardo-piemontesi determinanti od almeno degni della massima considerazione dei loro alleati.

Inizialmente, tuttavia, non furono i russi a far drammatica strage dei nostri valorosi ma le epidemie i cui bollettini si fecero via via sempre più gravi. Almeno fino al vittorioso scontro della Cernaia che diede ai soldati italiani l’occasione per dimostrare tutto il loro valore e la loro abnegazione incontrando il felice favore della popolazione in patria e dei loro commilitoni stranieri:

I Piemontesi in Crimea. Nel dare un addio ai nostri soldati scrivemmo così (N. 20): Voi non siete nuovi a queste prove di guerra, ma pensate che oggi le armi dello straniero vi staranno di costa. A voi l’emulazione, in altri l’invidia. Noi grideremo di qui: Cosi si battono gli italiani! - E un dispaccio di La-Marmora, in data del 16, diceva: Saprete per telegrafo se i Piemontesi eran degni di battersi a Carico dei Francesi ed Inglesi. Essi sono stati bravi. - Noi avevamo ben preveduto; e il prode generale non disse né più né meno di quel che dovea. Con quelle parole egli cancellava affatto una pagina dolorosa e non meritata dalla Storia Militare del Piemonte.

Essi sono stati bravi! - Questa lode fu confermata dallo stesso generale francese, il quale confessò che i Piemontesi eransi battuti assai valorosamente. Così il vero merito ha saputo distruggere l’invidia. Ma quale sarà il guiderdone di tanto eroismo e di tanto sangue che spargesi da italiani per una causa che non risguarda l’Italia? - Noi non possiamo ancor dirlo, ma sarà sempre vero che chi ci ammira amici, dovrà da ora innanzi temerci come nemici. Non conoscendo ancora i particolari della impresa tentata dai Russi, e mancata, il giorno 16 sulla Cernaia, ci ridurremo a parlarne con maggior conoscenza nel numero venturo. (1)

Che l’impresa fosse stata al limite del leggendario non è discutibile e perfino i giornali del Lombardo-Veneto, malvolentieri per evidenti ragioni di parte, furono costretti a riconoscere che i soldati sardo-piemontesi, ovviamente assai invisi alle autorità locali austriache, si erano portati benissimo:

Torino. La stessa Gazzetta di Verona, nel suo foglio del 20, parlando del fatto d'armi della Cernaia, quantunque lo dica co' denti stretti obbligata dalla forza della verità, scrive dei nostri valorosi soldati: “I Piemontesi si batterono come è solito battersi quell’armata, DA PRODI”. (2)

Il resto, ovviamente, è storia.

Cavour si recò al Congresso di Parigi del 1856 ove riuscì, seppur faticosamente e con scarsi sviluppi immediati, a porre comunque all’attenzione di tutti il tema caro al suo cuore ed a cui dedicò i successivi, purtroppo pochi, anni della sua vita. Nelle campagne risorgimentali che seguirono furono innumerevoli i reduci della “Spedizione in Oriente” che, con al petto la medaglia commemorativa della Crimea, sarda od inglese, tornarono a farsi onore. Quella campagna militare fu veramente la premessa per il compimento del sogno unitario italiano e restò fortemente impressa nella memoria collettiva. Solo pochi anni fa lo scrivente, dopo aver accompagnato un collega giunto in visita dalla Sicilia in visita a Superga, si fermò a pranzo in una datata Società di Mutuo Soccorso pochi tornanti sotto alla basilica. Al muro, in una teca, la bandiera dell’antico sodalizio su cui una mano dimenticata aveva appuntato proprio una rara medaglia della guerra in Crimea.

Di quel conflitto, già lontano nel tempo, si tornò a parlare con curiosità negli anni ’30 del Novecento quando i reduci sopravvissuti iniziarono a lasciare, purtroppo, la vita terrena attirando l’attenzione dei giornali del tempo. Ne ricorderemo qualcuno grazie agli appunti lasciatici dalla memorialistica d’allora.

Luigi Gaetano Parracchini era nato a Castelletto Ticino, vicino a Novara, ed aveva combattuto come bersagliere agli ordini del leggendario generale Lamarmora per poi, tornato da quel conflitto, servire ancora nella guerra dei franco-piemontesi contro l’Austria nel 1859.

Morì, ormai avanti con gli anni, nella primavera del 1930.

Sardo fu, invece, Antonio Alibertini, nativo della Maddalena e combattente nella Marina Sarda.

Giovane marinaio, pieno di ardore, oltre che in Crimea combatté anche in tutte e tre le guerre d’indipendenza (1848-1849, 1859 e 1866). (3)

Nel 1925 ricevette, motu proprio per volontà del Re Vittorio Emanuele III, le insegne di cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro che portò orgogliosamente vicino a quelle cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia ed accanto alle medaglie delle campagne nelle quali aveva combattuto. (4)

Ligure era invece Gerolamo Torre, nato Bussana vicino ad Imperia nel 1833.

Esercitò a lungo la professione di medico condotto presso Poggio di San Remo risultando ancora pienamente in attività, pur ottantenne, negli anni ‘30. Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia, decorato dal municipio per l’impegno prestato nella lotta alle epidemie, egli indossava orgogliosamente anche la medaglia della campagna di Crimea. (5)

Leggendaria fu la figura di Enrico Angeleri, nato nel Principato di Monaco nel 1834. Un soldato di formidabile valore che proprio alla battaglia della Cernaia si meritò la medaglia inglese della campagna in Oriente. A Palestro, invece, fu ferito e promosso ufficiale per merito di guerra.

Combatté, poi, ad Ancona nel 1860 quando l’esercito regio fu inviato a sbarrare la strada a Garibaldi diretto verso Roma. E qui fu nuovamente ferito in combattimento. Non pago, fu in linea anche nella guerra contro l’Austria del 1866 e prese parte alla campagna del 1870 per la liberazione di Roma.

Oltre alle medaglie commemorative, alla Crimea inglese, ed a due medaglie al valore, ebbe anche le insegne di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia. (6)

Della sua epica figura ci fu tramandata un’interessante analisi in una pubblicazione d’epoca:

Enrico Angeleri, oggi colonnello dei Bersaglieri nella riserva e da 30 anni domiciliato in Bologna, fece la campagna della Crimea e fu decorato della medaglia al valore militare francese. Nel 1869, ferito in un braccio a Palestro essendo furiere, fu promosso sottotenente per merito di guerra: alla fine di quell’anno, promosso tenente, fu mandato a comandare una delle quattro compagnie di un battaglione bersaglieri dell'esercito della Lega dell’Italia centrale: battaglione formatosi a Vignola con volontari, molti dei quali trentini, divenuto poi 23° battaglione bersaglieri dell’esercito italiano, comandato dal maggiore Massimiliano Menotti.

Con quel battaglione l'Angeleri fu all'assalto di Monte Pelago, contro il quale i volontari si slanciarono con pazza temerità, si che il maggiore fu costretto a far suonare la ritirata per non vederli sacrificati. Il tenente Angeleri fu l'ultimo a ritirarsi e la sua intrepidezza fece tanto colpo sui volontari che, sollevatolo di peso, lo riportarono in trionfo fin sotto monte Pulito, già nelle mani de' nostri, gridando: «Viva il tenente Angeleri». Poco dopo anche Monte Pelago fu preso d'assalto e per quel fatto l'Angeleri fu nominato cavaliere dell’ordine militare di Savoia. Combatté anche per la repressione del brigantaggio negli anni 1862, '63 e '64, ed ha fatto le campagne del '66 e del '70 prima di chiedere ed ottenere un meritato riposo. (7)

La memoria della guerra di Crimea, e dei suoi combattenti ed eroi, sopravvive oggi in molti libri e pubblicazioni e nei monumenti come quello che, oggidì, sorge a Torino. Consegnato ai posteri proprio perché non dimentichino che per fare l’Italia, in effetti, si iniziò ad andare a lottare molto lontano.

Un debito che tutti noi abbiamo verso i caduti e gli scomparsi veterani di quegli anni gloriosi seppur difficili.

Soldati che si coprirono di gloria facendo proprie le parole con cui il generale Rodolfo Gabrielli di Montevecchio li incitò proprio alla Cernaia: “Un soldato piemontese non indietreggia mai! Avanti!”.

Alessandro Mella

NOTE

1) La Specola delle Alpi, 58, Anno II, 22 agosto 1855, p. 1.

2) La Gazzetta delle Alpi, 197, Anno V, 23 agosto 1855, p. 2.

3) La Domenica del Corriere, 14, Anno XXXII, 6 aprile 1930, p. 14.

4) Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, 242, Anno LXVI, 17 ottobre 1925, p. 4182.

5) Domenica del Corriere, 22, Anno XXXII, 1° giugno 1930, p. 4.

6) https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/2024 (Consultato il 2 aprile 2022).

7) I bolognesi nelle guerre nazionali, Olita Nicola Zanichelli, Bologna, 1906, p. 285.

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Articolo pubblicato il 27/06/2022