Trasparenza sui dati relativi agli aborti nelle strutture pubbliche

Gli attivisti radicali del capoluogo piemontese chiedono l'istituzione di un'anagrafe pubblica di medici obiettori e non obiettori. Cosa la dice la legge in merito?

Il 26 giugno scorso, all’indomani dello storico pronunciamento della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America sul tema dell’aborto, i Radicali della città metropolitana di Torino hanno fatto un elogio della Legge 194/1978 quella che – per intenderci – legalizza e promuove l’interruzione volontaria di gravidanza (I.V.G.).

Andrea Turi, Coordinatore dell’Associazione Radicale “Adelaide Aglietta” e Silvio Viale, medico chirurgo specializzato in Ginecologia e Ostetricia, dalle colonne de “lospiffero.com” fanno sapere che “periodicamente si parla di aborto ma molto spesso a sproposito. La sentenza della Corte Suprema USA ha scosso tutti e ci ha ricordato che i diritti non sono per sempre. Noi abbiamo la 194 che rappresenta un punto di equilibrio importante. In Italia si parla sempre e solo di obiezione di coscienza ma noi pensiamo che non sia un tema aggredibile a livello individuale ma sta alle regioni organizzare i servizi sulla base delle esigenze per qualità e quantità come per qualunque servizio sanitario e sulla base di numeri aperti ed accessibili”.

Fin qui il pensiero dei due esponenti Radicali potrebbe financo essere condivisibile da chi l’aborto non lo condivide ma ciò che desta più preoccupazione è il passaggio in cui Turi e Viale chiedono che la Regione Piemonte renda noto “per ogni ospedale il numero di obiettori e non obiettori, il numero di I.V.G. ed il numero di nati, in piena trasparenza, cioè con dati aperti e disaggregati”. I due, poi, non contenti, pensano “ad una Anagrafe pubblica di obiettori e non obiettori, per aiutare le donne piemontesi nella scelta consapevole del proprio ginecologo”.

Quest’ultimo punto fa tornare alla mente le liste di proscrizione che tutti i regimi totalitari stilavano per identificare gli appartenenti alla fazione politica avversaria. In questo caso l’anagrafe pubblica di obiettori e non obiettori potrebbe dar vita a discriminazioni da parte delle donne nei confronti di un ginecologo “abortista” piuttosto che di uno “obiettore”.

Può un ente pubblico - come la Regione Piemonte - realizzare delle liste nelle quali vi è scritto in modo palese se un medico chirurgo si avvale dell’obiezione di coscienza oppure no?

Quanto è legittimo che un medico venga valutato dall’utente sulla base delle sue scelte etiche e morali?

Bisogna tener presente, nell’affrontare un tema così delicato, che la IV Sezione Penale della Corte di Cassazione (sentenza numero 18901 del 13 maggio 2021), si è pronunciata dicendo che “il medico può rifiutarsi di causare l’aborto, ma non di prestare assistenza”.

Questo era già ben chiaro visto che l’articolo 9 della Legge 194/1978 dice esplicitamente che “l’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione di gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”.

Il legislatore, quel 22 maggio 1978, scrisse un testo chiarissimo nel quale esonerava gli operatori sanitari – se lo avessero ritenuto contrario alla loro etica – dal praticare qualsiasi procedura utile all’aborto ma, al contempo, obbligava gli stessi a prestare le necessarie attenzioni alle pazienti che fossero state bisognose di cure prima o dopo l’interruzione volontaria di gravidanza.

Sicuramente, per non venir meno ai dettami della 194/1978, è bene che le regioni dotino tutte le strutture di ginecologia ed ostetricia di personale sanitario atto alla pratica dell’aborto.

Tuttavia, in un Paese democratico, è quantomeno deprecabile invocare la stesura di liste nominali in cui il medico viene etichettato come “abortista” o “obiettore” esponendolo di fatto – come abbiamo già detto - ad episodi di discriminazione o sommaria valutazione da parte dell’utenza.

In fondo, ed avviene così in tutti gli ospedali italiani, “l’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo” (Legge 194/1978, articolo 9, comma 5).

Sicuramente, vista l’attualità dell’argomento e l’interesse dimostrato dal lettore, torneremo ad occuparci del tema sperando che tutte le fazioni coinvolte nel pubblico dibattito non confondano le questioni ideologiche con quelle sostanziali del diritto.

Sullo stesso argomento: La Corte Suprema americana dice "Stop all'Aborto"

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Articolo pubblicato il 30/06/2022