La competizione nel genere umano non sempre privilegia il più idoneo

Il curioso caso di Erwin Rommel a Caporetto

La necessità di “competere”, imposta da situazioni contingenti o disperate, è probabilmente una inconscia caratteristica antropologica dell’Homo sapiens.

Lo dimostrano le infinite occasioni in cui questa necessità ha obbligato gli uomini a confrontarsi per raggiungere posizioni di potere, di primato o di privilegio.

D’altra parte, se non fosse emersa questa realtà selettiva, forse non sarebbe iniziata la storia dell’organizzazione delle società umane, cioè la storia antica e moderna che conosciamo. In fondo la “competizione” tra singoli individui o tra organizzazioni complesse, fino ai moderni stati nazionali, non sfugge alla stessa logica e finalità.

Tuttavia, il meccanismo spietato della “competizione” riserva soluzioni in cui non sempre viene privilegiato l’individuo “migliore”. Infatti, in questa giostra d’astuzia e di abilità nel cogliere le opportunità determinati, sovente può trionfare il meno dotato per le caratteristiche ideali, culturali o morali, bensì colui che, in particolari circostanze, riesce ad apparire il più meritevole per la capacità di sfruttare le occasioni più appariscenti, anche se queste si possono confermare discutibili nella loro sostanziale portata.

Esiste in ogni caso il rovescio compensativo della medaglia: al “migliore effettivo”, ma relegato dalle circostanze in secondo piano, può sempre essere riservata, nel corso della sua esistenza, la meritata rivincita.

Condizione necessaria per questa sfida è che al suddetto, non venga meno la ferrea volontà e la determinazione di lottare, anche se le condizioni apparenti del contesto possono sembrare oggettivamente poco favorevoli.

Un caso umano, che può rientrare in quanto sopra esposto, è quello del giovane tenente Erwin Rommel durante il suo brillante e coraggioso comportamento nello sfondamento del fronte italiano a Caporetto (24 ottobre 1917).

L’episodio “Rommel a Caporetto”, che mette a fuoco una beffarda competizione, ma con il finale di una meritata rivincita, è riportato da Storia Illustrata N. 266 del gennaio 1980 - pag. 6 - A. Mondadori Editore e che merita una attenta lettura e riflessione.

“… All’inizio dell’offensiva austro-tedesca dell’ottobre 1917, che sfociò nella battaglia di Caporetto, la 14a Armata del generale Von Below fronteggiava la nostra 2aArmata col compito di sfondare la principale linea di difesa italiana a sud dell’Isonzo, la chiave di volta era costituita dai monti Matajur e Cucco, dalla cresta del Kolowrat e dalla quota di Tolmino.

In questo settore operava il III corpo Bavarese composto appunto dalle province bavaresi della Slesia e della Svevia (patria di Rommel). Punte di diamante di questo corpo scelto erano le cosiddette Abteilung, reparti speciali che potremmo, impropriamente, definire «alpini arditi»; erano infatti truppe di fanteria da montagna con equipaggiamenti speciali e addestrate ad assolvere compiti speciali, quali agguati, colpi di mano, ecc. Come in tutti i reparti speciali, la rivalità e lo spirito di emulazione erano molto accesi, specie tra gli ufficiali.

Uno di questi reparti Abteillung era comandato dal tenente Erwin Rommel, nato nel 1891 a Württemberg e morto suicida a Ulm nel 1944, dopo l’attentato a Hitler, mentre un altro di tali reparti era comandato dal sottotenente Ferdinand Schoerner (nato nel 1892 a Monaco).

Il superiore diretto dei due ufficiali era il maggiore Teodor Sproesser, soldato di primissimo ordine, uomo sereno e molto equilibrato.

Prima dell’inizio della grande offensiva i reparti di Sproesser ebbero il compito di aprire una breccia tra le agguerrite postazioni italiane che dominavano dall’alto e sbarravano, con le postazioni di mitragliatrici, le direttrici di attacco tra Tolmino e Caporetto.

Durante la notte Rommel effettuò nel settore assegnatogli una ricognizione lungo le difese avversarie e, individuato un varco, vi fece trafilare all’alba la sua Abteillung, consentendo poi alle unità di fanteria di irrompere nella breccia.

Fu una azione brillante e audace, ma Rommel ne trasse una grande delusione perché il merito andò al suo rivale Schoerner che nell’occasione si guadagnò la decorazione Blaues Kreuzes Pour le Merite (croce Azzurra al Merito), che era la più alta onorificenza tedesca concessa nella Prima Guerra Mondiale. (L’iscrizione in francese era un vezzo degli alti strati sociali della Germania, già dai tempi di Federico il Grande). Sembra che al diradarsi della nebbia sulla quota 1114 sia stato visto per primo il sottotenente bavarese Schoerner, anche lui incaricato di cercare un varco nel dispositivo nemico, e non sia stato visto Rommel che già aveva presumibilmente oltrepassato la cresta della quota.

L’oberleutnant Rommel, fortemente ambizioso, non riuscì a ingoiare l’amaro boccone e meditò la rivincita. L’occasione gli si presentò subito dopo conquistando il Matajur e mettendo per primo piede su tale maggiore quota italiana difesa dalla Brigata «Salerno». Fu un’azione memorabile se si pensa che la compagnia di Rommel perse un solo uomo mentre fece molti prigionieri.

Ma anche questa volta l’ambita decorazione andò inspiegabilmente a un altro ufficiale: il tenente Shnieber.

Pieno di amarezza e di rabbia Rommel fece le sue rimostranze al suo comandante di battaglione che gli consigliò di dimenticare l’episodio e di confidare nell’avvenire. E così fece senza demordere dal grande zelo militare che contraddistingueva ogni sua azione: la sua Abteilung era sempre alla testa del battaglione svevo, che era a sua volta la punta di lancia dell’intera 14a Armata.

Il 4 novembre 1917 i reparti tedeschi raggiunsero il Tagliamento e Rommel inseguì caparbiamente il nemico sempre più demoralizzato, facendo ricorso a una sua particolare tattica (consistente in una serrata successione di azioni impreviste e improvvise) che avrebbe più tardi caratterizzato il suo stile di comandante di forze corazzate.

Rommel aveva trovato la sua dimensione, imparando a parare e risolvere situazioni impreviste anche a costo di disubbidire agli ordini dei superiori.

Il 7 novembre il futuro feldmarschall imboccò un’angusta gola attraverso la quale intendeva raggiungere Longarone, fulcro dell’intero sistema difensivo italiano del settore. Si trovò di fronte un fragile ponte sospeso a circa 150 metri di altezza sul Vajont. Superato l’ostacolo attraversò il Piave per occupare Longarone, ove erano concentrati 10.000 italiani.

Le esigue forze di Rommel, prese sotto il fuoco incrociato delle mitragliatrici, furono decimate e costrette a ritirarsi. Rommel, col favore delle tenebre, ripiegò raggiungendo le proprie linee. Avuti dei rinforzi, ritornò alla carica e all’alba riuscì a conquistare il paese e a fare molti prigionieri.

Per questa azione il Kaiser gli concesse finalmente la tanto sospirata onorificenza Pour le Mérite che non mancò di ostentare con incontenibile orgoglio.

Ora la medaglia di Rommel è custodita in un piccolo villaggio della Svevia dentro un armadietto metallico insieme a un bracciale cachi ornato di un ricamo argenteo rappresentante una falena accompagnata da una sola parola «Africa»”.

L’episodio paradigmatico di cui sopra non è certamente un caso unico, bensì la conferma che la “competizione” umana resta un “eufemismo”, un involucro elegante e cinico, che sottintende in realtà comportamenti poco nobili, ispirati dagli istinti primordiali dell’inconscio. Non deve pertanto scandalizzare se prendiamo atto che sovente i rapporti umani possono degradare ad una lotta feroce, senza esclusione di colpi e di freni morali.

In fondo la vera natura animale di Homo sapiens resta ancora superficialmente influenzata dall’etica e dalla morale che, nel suo lento processo storico evolutivo ha elaborato, senza che a questi valori corrispondesse una reale condivisione e testimonianza.

Una discrasia terribile questa, che purtroppo continuerà a ipotecare la storia futura del genere umano.

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Articolo pubblicato il 04/07/2022