Storia dell’Araldica militare

Seconda parte, di Dario Bego

Fonte: RISM Rivista Italiana di Sanità Militare – Periodico di Storia, Cultura e Scienza, n. 95 (Gennaio/Marzo 2022).

Leggi qui la prima parte

Naturalmente anche i reparti militari si adeguano a queste nuove regole e, abbandonati gli stendardi che prima identificavano i combattenti al soldo del singolo signore feudale, con l’avvento degli stati preunitari si aggiornano anche i loro simboli distintivi con l’arma del sovrano regnante o coi territori appannaggio dei comandanti dei singoli reggimenti.   

In Piemonte è soprattutto con la riforma dell’esercito attuata da Vittorio Amedeo III che si assiste a questo fenomeno: “...durante tutto il secolo ci fu una generale tendenza all’ampliamento dell’esercito che nel 1774 era passato a 32 reggimenti di fanteria, ma la cavalleria continuava ad essere formata da 2 reggimenti, mentre i dragoni erano saliti a 5 reggimenti...” (fonte Wikipedia).

Ogni reparto era dotato di una bandiera d’ordinanza (o “colonnella”) che oltre alle armi del sovrano (la tradizionale aquila dell’antico stemma sabaudo), portava ora “in cuore” non più le insegne dei comandanti ma quelle specificatamente stabilite per i singoli reggimenti, spesso accompagnate da altre figure quali cannoni, fucileria e “fiamme” che si dipartivano dagli angoli.

Occorrerà attendere l’avvento del Regno d’Italia per l’adozione del Tricolore caricato dello stemma sabaudo unificato per tutte le milizie.

Nel frattempo, intanto anche il fascismo condiziona non poco l’araldica militare, per lo più accollando agli scudi, sempre sormontati dalla corona regia, elementi di richiamo al regime.

Tuttavia solo con l’emanazione del Regolamento per la Consulta Araldica del Regno, approvato con R.D. 7 giugno 1943, n. 652, si giunge ad una vera e propria regolamentazione dell’araldica pubblica e privata, arrivando perfino a stabilire gli ornamenti degli stemmi degli Ufficiali Generali e degli Ammiragli: “...Ad oggi gli Ufficiali generali di terra possono accollare al loro scudo le bandiere nazionali, decussandole in numero di quattro se Generali d’armata o designati d’armata, di due se Generali comandanti di Corpi d’armata.

Gli Ufficiali generali di mare possono accollare il loro scudo a quattro ancore se Ammiragli d’armata o designati d’armata; a due ancore se Ammiragli di squadra.

Gli Ufficiali generali dell’aeronautica possono accollare il loro scudo a quattro voli d’aquila se Generali d’armata aerea o designati d’armata aerea; a due voli d’aquile, se Generali di squadra aerea...”; ovviamente qualunque nuova concessione così come il riconoscimento di stemmi precedentemente in uso da parte di famiglie nobili o di distinta cittadinanza, enti morali, città, comuni e province così come marchi ed insegne dovranno essere sottoposti all’approvazione della Consulta e indirizzate al Re ed Imperatore e al Duce del Fascismo.

Con l’armistizio di Cassibile, lo scioglimento del Regio Esercito e tutto ciò che ne consegue, la materia viene abbandonata.

La stessa R.S.I. nell’esigenza immediata di distinguere le proprie Forze Armate si limiterà a piccole modifiche, perlopiù eliminando la corona regia dai fregi e sostituendo sulle mostrine le vecchie stellette con dei piccoli gladi o distintivi mutuati direttamente dalle forze armate tedesche.

La Sanità, così come il Servizio Veterinario e la stessa Croce Rossa non si sottraggono a questi adeguamenti uniformologici.

Occorrerà attendere la nuova forma istituzionale dello Stato per rimettere ordine emanando nuove e aggiornate normative in materia...

Dario Bego

(Fine della seconda parte - Continua).

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Articolo pubblicato il 07/07/2022