Peter Brook ci lascia con un messaggio di libertà

Il commosso ricordo di Alessandra Gasparini e di sua figlia

Peter Brook ci ha lasciato - all’età di 97 anni - sabato 2 luglio, a Parigi, la sua città da tanto tempo. La cordialità, la semplicità nei modi, l’umorismo sottile, la gentilezza, lo hanno sempre caratterizzato. Grandissimo maestro del teatro contemporaneo, allievo di Grotowski, aveva sposato l’attrice inglese Natasha Parry, interprete del suo “Giorni felici” di Beckett, morta nel 2015. Lavorava da anni con la sua assistente artistica storica Marie-Hélène Estienne.

Nato nei pressi della capitale inglese, frequenta l’Università a Londra e in seguito la Royal Shakespeare Company. Dirigerà grandissimi attori inglesi, da John Gielgud ad Helen Mirren. Numerose le regie shakespeariane, come anche dei massimi esponenti della drammaturgia contemporanea. Nel 1974 si trasferisce a Parigi. Trova un luogo già di per sé davvero magico, in un quartiere popolare, con un gran numero di immigrati: è un teatro circolare dell’Ottocento, ricalca la forma del “Globus” shakespeariano, la parete che fa da fondale è spoglia e decadente, l’atmosfera è quella di un luogo destinato al rito. Si chiama “Théâtre des Bouffes du Nord”.

Il teatro è infatti per Peter Brook un rito semplice e magico al tempo stesso. Poiché la magia, che trova nutrimento nella perfezione armoniosa di un semplice gesto, costituisce l’essenza del momento teatrale. Peter Brook ha viaggiato e portato il suo teatro in altri continenti. Raccontava che, giunto in un villaggio africano, stese un piccolo tappeto a terra e l’attore che era con lui ci salì sopra e iniziò a osservare. I passanti si fermarono, stava accadendo qualcosa che avrebbe interrotto il consueto svolgersi del tempo. L’attore iniziò a compiere piccoli gesti, che assomigliavano a quelli quotidiani ma che acquistavano un significato più alto, dando inizio ad una “sacra rappresentazione” della vita. Così i passanti si fermavano a contemplare frammenti della loro vita. La comunicazione era attivata, anche se si vestivano abiti differenti, si parlavano lingue altre.

Peter Brook amava e frequentava spesso l’Italia. Personalmente ebbi l’occasione di averlo seduto accanto in un tendone installato in periferia di Correggio, in provincia di Reggio Emilia, durante la prima in Italia di un suo spettacolo. Un amico ci disse: “Entrerà a spettacolo iniziato e si siederà qui” indicando il posto alla mia sinistra, l’unico rimasto vuoto. Provai una profonda emozione, poiché il teatro è la mia vita e questo lo devo principalmente a lui. Così entrò di soppiatto e rimase concentrato sull’attrice, credo di origine africana, che recitava un lungo monologo. Solo pochi si accorsero della sua presenza. Seguii la rappresentazione assieme a lui, che uscì poco prima della fine. Lo immaginai soddisfatto ma discreto, senza il desiderio di raccogliere direttamente gli applausi, come sempre fragorosi.

Il Mahabharata

Nella storia mia e di tanti rimarrà incomparabile la sua trasposizione teatrale (1985), seguita da quella cinematografica (1989) dell’antichissimo poema epico indiano “Mahabharata”. Per quattro anni questo spettacolo, che durava nove ore, girò il mondo. La versione cinematografica e televisiva lo ridurrà a circa sei ore. La scelta di rappresentare il più famoso poema indiano penso derivi dalla consonanza che Brook sentiva per il messaggio profondamente induista che lascia agli uomini, indicandoci la strada per trasformare la vita umana, intrisa di dolore, in un’azione liberatoria di emancipazione e di affermazione della bellezza. Questa bellezza, armonia, è il gesto vitale, attorno a cui, giorno dopo giorno, Peter Brook costruisce il suo fare teatro.

L’ultimo spettacolo: Tempest Project

“Tempest Project” di Peter Brook e Marie-Hélène Estienne, ha debuttato in Italia al Teatro Cucinelli di Solomeo nel novembre 2021 ed è stato rappresentato nel febbraio di quest’anno al Teatro Goldoni di Venezia. Uniche due tappe nel nostro paese. Il legame tra Peter Brook e Shakespeare è indissolubile, la distanza tra una sua produzione shakespeariana e l’altra è stata al massimo di un quinquennio nel corso di tutta la sua esperienza artistica. A volte riprende un’opera già studiata e adattata per il gusto di ripercorrerla e scoprire in essa nuovi punti di luce, come di oscurità. Teatro in divenire, dove il testo viene scomposto in episodi e ognuno di essi viene costruito attraverso un’intensa attività laboratoriale, con attori provenienti da diversi paesi del mondo.

Breve intervista a Margherita Gera

Margherita vive e lavora a Parigi, e così ha avuto il privilegio di assistere a questo spettacolo proprio al Théâtre des Bouffes du Nord, dove è rimasto in scena dal 21 al 30 aprile.

Come inizia?

Non inizia, in realtà, e non finisce. Gli attori ti aspettano in scena. Sono Prospero, il duca di Milano in esilio su un’isola misteriosa a causa dell’inganno di suo fratello Antonio che gli vuole sottrarre il potere. E Miranda, la figlia di Prospero, adolescente. Prospero ha la pelle nera, ha sperimentato la corruzione degli uomini e la sottomissione forzata. Miranda è biondissima, la sua pelle è bianchissima, quasi eterea. Lei è nata sull’isola e non conosce nient’altro che ciò che appartiene all’isola. Gli attori scelgono il momento in cui iniziare a parlare, a luci ancora accese.

E la scenografia?

Come sempre Peter Brook utilizza elementi minimali, che nel corso della vicenda assumeranno diverse forme e funzioni: alcune panchine ai lati, un tappeto, alcuni tronchi d’albero, un sottile bastone chiaro (diventerà la bacchetta magica di Prospero), un drappo.

Gli attori?

Come sai Peter Brook lavora con attori provenienti da diversi paesi. In questo caso, due ragazzi italiani interpretano i ruoli di Trinculo e Stefano, i due rozzi servitori ubriaconi che il mostro dell’isola, Calibano, crede siano creature divine, tanto che è disposto ad adorarli e a unirsi a loro nella ribellione a Prospero. Sono i due gemelli Fabio e Luca Maniglio. Scelta simbolica divertente, si fatica a capire quale dei due stia agendo in quel dato momento. Sylvain Levitte è al tempo stesso l’orribile Calibano e il bel Ferdinando, che s’innamorerà di Miranda, ricambiato. L’affascinante Prospero, diventato re dell’isola e dotato di arte magica, che gli permette di far muovere gli altri quasi come burattini, è l’attore e scrittore Ery Nzaramba. L’efebica giovane Miranda è interpretata da Paula Luna. Ariel, il servo di Prospero, uno spirito dell’aria, è l’anziana e bella attrice Marilù Marini, franco-argentina. Ognuno di loro connota in modo fisico potente lo spazio in cui agisce.

Cosa ti ha colpita?

Che le risate e le commozioni si alternassero senza sosta nel pubblico. Che con così pochi e minimi elementi scenici si potessero creare situazioni coreografiche armoniose. Uno spettacolo danzante, danzato.

Come finisce?

Bellissimo, indimenticabile finale. Prospero ha saputo riappacificare gli animi, sanare i contrasti, ha benedetto l’amore di Ferdinando e Miranda. È giunto il suo momento di rinunciare all’arte magica. La luce è accesa, lui, come all’inizio, osserva silenzioso il pubblico, che silenzioso lo osserva. Chiedendosi se lo spettacolo sia terminato, ma non insistendo per farlo terminare. Lo spettacolo infatti non è mai iniziato, c’è sempre stato e non finirà mai.

Qual è l’ultima frase pronunciata da Prospero?

L’ultima parola che Shakespeare ci ha lasciato (“La tempesta” è la sua ultima opera) è pronunciata da Prospero e Peter Brook ha voluto donarcela, come monito e in suo eterno ricordo: la parola “LIBERO”. Prospero ha liberato l’isola dalla corruzione del mondo, dalla bruttezza, dalla violenza. Ha liberato dalla schiavitù Ariel, che può ora volare dove desidera. Ha celebrato l’amicizia e l’amore. Prospero è ora libero e libera anche noi.

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Articolo pubblicato il 07/07/2022