Già in crisi la crisi d’impresa? Coinvolgere il terzo settore nella gestione del codice in vigore dal 15 luglio.
Luca Baravalle

Le soglie di debito, a partire dalle quali scattano i sistemi di allerta, sono tali da indurre la maggioranza degli imprenditori interessati a non ricorrere alle nuove procedure, sebbene in alcuni casi le stesse siano certamente convenienti per prevenire la cessazione dell'attività. 

Meglio sarebbe stata una revisione incisiva della legge 3 del 2012 (su esdebitazione ed esdebitamento) ampliando la sua efficacia e idoneità a risanare e rilanciare imprese finanziariamente disagiate ma con prospettive di mercato. 

 

Baravalle cosa ne pensa della riforma sulla “crisi d’impresa”?

Benché la riforma della crisi d'impresa cancelli finalmente dal nostro vocabolario legislativo la parola "fallimento", allineando l'Italia alle più mature e moderne democrazie economiche occidentali, e riconoscendo di fatto una possibilità di ripartenza alle aziende interessate, rimane tuttora molto lunga e accidentata la strada verso la piena riabilitazione di chi ha vissuto una fase di difficoltà finanziaria e gestionale magari involontaria e semmai dovuta al sopraggiungere di fattori totalmente esterni e avversi.

 

Parliamo di una riforma che è stata in discussione per oltre tre anni e che, non a caso proprio perché presentava più di un punto interrogativo.

Adesso, in concomitanza con l'esigenza di ricevere i fondi europei del Pnrr, che impongono al nostro Paese il recepimento di numerosi atti normativi prescritti dalla UE, l'entrata in vigore del Codice denominato per la composizione della crisi d'impresa non può più essere rimandata, e scatterà con decorrenza dal 15 luglio, cioè tra una settimana.

 

Pro e contro?

Gli aspetti senz'altro positivi sono la valorizzazione della funzione delle Camere di commercio, a cui compete la nomina degli esperti negoziatori e dei commercialisti, dai quali sono infatti venute, in virtù della propria esperienza a quotidiano contatto con gli andamenti aziendali, delle proposte migliorative, preziose e pertinenti, e che sarebbe stato opportuno prendere in considerazione all'interno delle normative di oramai imminente entrata in vigore. 

 

Le soglie di allerta, che scattano da esposizioni debitorie private o pubbliche del tutto minime (si tratta infatti di importi a partire da 5000 euro) sono tali, ed è un rischio più volte illustrato dagli stessi commercialisti e analisti economici, da portare molte aziende a non ricorrere tempestivamente alle possibilità offerte dal nuovo codice di crisi, per il timore che la conoscenza esterna di una situazione critica possa determinare una condizione di sfiducia diffusa da parte di banche, fornitori e clienti.

 

Questo comportamento, comprensibile commercialmente, rischierebbe quindi di vedere vanificata la finalità per cui la parola "fallimento" è stata abolita dall'ordinamento italiano. 

 

Che ruolo potrebbe avere il Terzo Settore?

Nella speranza e auspicio che i miglioramenti suggeriti potranno essere adottati successivamente, nel corso della vigenza del codice, è importante fin da ora promuovere, soprattutto perché si tratta della prima fase di applicazione, il coinvolgimento di qualificate e accreditate realtà del terzo settore in quella che è la fase in assoluto più sensibile e delicata, ossia l'accoglienza dell'impresa e dell'imprenditore colpito dalle difficoltà gestionali e finanziarie. 

 

Potrebbe in tal senso essere ripresa l'idea di sportelli etici e di veri e propri "consultori d'impresa", magari presso le Regioni o, meglio, le associazioni di categoria, che prendano in carico, inizialmente anche in forma anonima, le aziende, e le accompagnino in un successivo percorso condiviso con le Camere di commercio, i consulenti, gli istituti di credito e gli enti esattoriali per definire in maniera tempestiva e appropriata il piano di risanamento e di rilancio.

 

Un auspicio per il futuro, su questo tema?

In futuro sarebbe auspicabile una maggiore educazione finanziaria, già in età scolastica, che porti all’educazione del risanamento per quanto concerne inciampi che sono fisiologici nella vita di un imprenditore e di un’azienda, in controtendenza con l’atteggiamento per il quale, al primo minimo campanello d’allarme, si diventa automaticamente cattivi debitori, senza più alcuna chance.

 

Su questo tema serve più impegno politico, oggi è ancora troppo carente, perché perdere un’impresa è come abbattere un albero, un danno per l’intero sistema che, anche se risanato con un nuovo albero, impoverisce l’economia per parecchio tempo.

 

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Articolo pubblicato il 11/07/2022