
L’anticementificazione impone la ricerca di un’urbanistica ecosostenibile (prima parte)
“Noi dobbiamo inventare un nuovo modo di costruire, una città nuova, agile, immenso cantiere in tumulto, mobile e dinamico, dove la casa moderna diventa simile a una gigantesca macchina in movimento” (Antonio Sant’Elia).
Il riscaldamento globale ci ha portato a dover ripensare il nostro invadente modo di costruire. È un’impellenza che non può aspettare altro tempo. Reminiscenze di architettura mi hanno riportato alla ricerca di pionieri ipotetici, ma non solo, da Antonio Sant’Elia, quindi a Paolo Soleri, il più lungimirante precursore del novecento.
Sant’Elia è stato un architetto Comense venuto alla luce nel 1888, esponente del futurismo e magnifico disegnatore, è stato uno dei migliori urbanisti metaforici che la storia abbia consegnato ai posteri. Focoso interventista, nel 1916, nel corso di un assalto alla baionetta, Antonio Sant’Elia si prese una pallottola in testa interrompendo la sua esperienza di vita e di futuro urbanista nei pressi di Monfalcone, e per il divenire dell’architettura forse fu un peccato.
Tuttavia, prima dell’ultima battaglia, Sant’Elia lasciò ai posteri una fitta documentazione grafica sulla città futurista che a quel tempo era molto in divenire. Se Sant’Elia fosse tornato vivo dalla Grande Guerra, forse l’Italia ne avrebbe ricavato uno stile avveniristico che sarebbe giunto fino a noi, offrendo a sprazzi un altro, futuristico volto.
Dell’idea di Antonio Sant’Elia vi sono molti documenti storici, ma non è per raccontare delle sue strade e dei suoi palazzi come fosse una galleria artistica che si è riesumato il nome dell’artista, quanto piuttosto per la sua visione plastica dell’architettura, della città e del tempo in divenire.
Pochissimi progetti di Sant’Elia sono stati realizzati, ma la sua visione anteguerra di un modernismo eclettico, con al centro l’idea di una casa e di una città transitori e flessibili, è continuo oggetto di studio e riflessione per i movimenti urbanistici moderni.
Un’urbanistica che si adatti alle nuove necessità e rimedi agli errori di un recente passato, sarebbe indispensabile ai nostri sbagliati tempi. Qualcosa si sta muovendo, ma secondo schemi contrastanti che verranno approfonditi in un’odierna seconda parte.
Oggi l’impellenza di vecchie e nuove città ha numerosi appellativi: verde pubblico, cementificazione, traffico urbano, inquinamento… Fotogrammi di un mondo “come sarebbe stato”, già individuate da Antonio Sant’Elia, quanto di Theo van Doesburg e Piet Mondrian, fondatori del neoplasticismo (1917), con i quali Sant’Elia aveva dialogato tramite via epistolare su riviste dell’epoca (De Stijl). Stessa corrispondenza intrecciata con Le Corbusier, il maestro tra i più grandi architetti del Movimento Moderno erede del Bauhaus, dove il concetto di: “ciò che è razionale è anche bello”, comprime in un’unica frase tutti i migliori miraggi consentiti dalla nuova pietra liquida e modellabile: il cemento… armato. L’origine del male partorita in tempi non sospetti.
Cemento armato, vetro e acciaio sono stati i protagonisti del novecento plasmando profili e dimensioni delle città. Oggi sono nell’occhio delle alterazioni termiche, eppure, i Maestri della nuova architettura verticale, avevano capito la necessità di adeguare la superficie alberata a quella dei nuovi insediamenti (Central Park, 1873, ispirato dalla Hyde park di Londra).
Un sagace consiglio sfuggito di mano alle speculazioni edilizie del dopoguerra che hanno trasformato le città costiere in centri lineari senza continuità (Los Angeles) e le metropoli in megalopoli sempre più estese e verticali (New York icona storica) e in tempi moderni, intere aree del pianeta e città Stato (Emirati Arabi, Singapore, Hong Kong, Shanghai, ecc), diventate voragini energetiche.
Oggi, soffocata dalla cementificazione, l’architettura delle “regioni urbane” chiede di essere ripensata, sia nell’enorme sviluppo in altezza del centro città, sia nelle smisurate baraccopoli degli hinterland dove, guardando con occhio futuristico al tempo che verrà, senza uno studio preventivo, sorgeranno sempre più malsani e casuali baraccamenti dai tetti di lamiera, privi di servizi, speranza e appartenenza.
Dall’Australia al Sudafrica, ad alcuni centri studi europei, le proposte per una città ecocompatibile sono molto avanti. Progettare un’area urbana capace di far fronte ai paradossi concentrati nei centri urbanizzati, però, non è un’impresa facile, ed è diversificata da diversi tipi di approccio progettuale, dalla restituzione di superficie del verde della Terra, allo studio di materiali “rinnovabili” ricavati dal regno vegetale o del luogo adiacente. (alcuni test su espansi vegetali, risalgono agli anni 80. Politecnico di TO. Risultati sorprendenti).
Il capostipite della città sostenibile è stato l’architetto torinese Paolo Soleri (1919-2013), inesauribile fautore della città per l'uomo. Paolo Soleri, dopo la guerra si è trasferito negli Stati Uniti, frequentando i più famosi architetti dell’epoca e sviluppando un movimento contrario all’irresponsabile successo del cemento armato e dell’acciaio, fondando “l’arcologia” (architettura & ecologia). Un modo di costruire legato a un sobrio impiego dei materiali, con una minima necessità di energia necessaria a soddisfare i bisogni della vita.
Per indicare una strada alternativa all’accelerazione urbanistica della seconda rivoluzione industriale, nel 1970 Soleri fondò Arcosanti, una città pilota per 5000 abitanti costruita secondo i canoni dell’arcologia e inserita nel deserto dell’Arizona, dove l'architetto si trasferirà con la famiglia fino alla fine della sua vita, dividendosi tra la sua scuola di progettazione Cosanti, altre opere ecologiche, ambiziosi progetti e prestigiosi riconoscimenti in giro per il mondo.
La sua visione dell’architettura è andata oltre le teorie, proponendo città e modelli di vita ispirati alle culture del passato, ecosistemi creati dall’uomo per poi accoglierlo in un mistico equilibrio con i ritmi della natura. Visioni straordinarie di cui rammento geniali progetti di città boschive disposte su più livelli. Si poteva fare, ma il consumismo, fatua felicità che degenera le relazioni tra uomo e natura, ha avuto la meglio, ed è un peccato. Non saremmo qua.
"È soltanto logico che l'impoverimento della nostra anima e dell'anima della società coincidano con l'impoverimento dell'ambiente naturale.Uno è la causa è il riflesso dell'altro" (Paolo Soleri)
Prossima parte: la neo architettura ecosostenibile e la città robotica gestita dall’intelligenza artificiale (da Tokio a Toronto).
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Articolo pubblicato il 15/07/2022