Un’analogia che impone una riflessione
Recentemente Rai Storia ha riproposto il filmato storico “Maria Antonietta – La storia vera” dove i prodromi della Rivoluzione francese emergono chiaramente e assumono il ruolo di guida di questo grande sconvolgimento politico, sociale e istituzionale.
In sintesi, la rivolta violenta e sanguinaria delle classi popolari e della nascente borghesia contro l’assolutismo monarchico e contro i privilegi dell’aristocrazia travolgerà inesorabilmente “l’ancien regime”. Travolgerà anche l’istituzione politico-amministrativa del governo del tempo, il Parlamento di Parigi, la regia burocrazia, ecc.).
La situazione politica attuale del nostro Paese, sconvolto dalla crisi economica, da quella energetica, da un’inflazione devastante inarrestabile, sta precipitando in una fase pericolosa per la tenuta sociale e per la possibile ripresa del comparto produttivo, che attualmente si dimostra fortemente disorientato per la prospettiva di un ulteriore possibile collasso.
Tutto questo è in parte aggravato dalla guerra in atto in Ucraina, ma i mali strutturali del Paese e mai risolti, risalgono oggettivamente in tempi non recenti.
Ora davanti a questa situazione dai contorni tragici, possiamo tentare una “analogia” con la realtà storica del periodo prerivoluzionario francese?
I parallelismi dell’attualità con eventi storici di epoche passate sono sempre viziati da forzature o da valutazioni arbitrarie, ma non possiamo però ignorare la presenza dei “fattori scatenanti” che, puntualmente e con forza equivalente, si ripropongono con la valenza di autentici catalizzatori della storia.
Oggi nel nostro Paese, oltre il 50% dei cittadini rifiuta di votare in quanto non si sente rappresentato da una “casta politicante” che reputa indegna, opportunistica, nemica del bene comune. Sottovoce, ma poi non troppo, addirittura la considera “delinquenziale” e corpo totalmente estraneo agli interessi della gente comune e del Paese.
Se dovesse peggiorare ulteriormente la situazione economica, queste “valutazioni negative” della maggioranza silenziosa si potrebbero trasformare in un sentimento ancora più viscerale verso la “casta degli insopportabili privilegiati”, sordi a tutto pur di mantenere la poltrona dispensatrice di benefici assurdi e non più tollerabili.
Da tenere presente che questo attaccamento alla “poltrona” ha una spiegazione antropologico-animalesca riportabile all’istinto di “sopravvivenza”, tenendo conto che, nella stragrande maggioranza, questi “peones del parlamento” sono figure senza arte né parte.
Infatti, per la stragrande maggioranza di costoro, nel caso in cui fossero esclusi da questi privilegi, si prospetterebbe esclusivamente il “reddito di cittadinanza”, ammesso che il bilancio dello Stato lo possa ancora consentire.
In prospettiva la sopravvivenza dell’attuale sistema partitocratico è condizionata dalla tenuta dell’economia nazionale e indirettamente dall’evoluzione di quella internazionale, tenendo conto che, se la disaffezione, o per meglio dire la repulsione fisiologica dei cittadini, dovesse ancora aumentare, sarebbe addirittura impossibile prevedere a quale collasso istituzionale si andrebbe incontro.
Di certo la stragrande maggioranza degli attuali “parlamentari” non sarà riconfermata, per la legge sulla riduzione dei parlamentari, ma potrebbe sempre migrare a occupare quello che resta del sottogoverno nazionale, regionale, comunale, sempre di più lottizzato e ultimo indecente “refugium peccatorum”.
Tuttavia, anche questa ipotesi subordinata, nel caso prendesse corpo, non farebbe altro che aumentare l’avversione verso questa “categoria” spudorata, ormai considerata definitivamente inaffidabile e da punire.
Al tempo della Rivoluzione Francese, la classe “dominante e padrona” (aristocratici e il loro entourage burocratico) salì in grandissimo numero i gradini della ghigliottina per saldare i conti nei confronti di una “storia” che cambiava irreversibilmente corso.
Ora questa cruenta e sbrigativa soluzione è stata superata, ma non è stato annullato il disprezzo che la gente comune, quella che fatica ad arrivare alla metà del mese e che continua a perdere tutti i giorni il posto di lavoro, riserva all’incoerenza della “casta politicante e partitocratica”.
Quando la moralità e l’etica della classe dirigente, che è stata votata da una minoranza del Paese, si dimostra incapace e irresponsabile, non può che sprofondare nel ridicolo.
Pertanto, pretendere che l’opinione pubblica possa continuare a sopportare questa situazione senza speranza, questa ipotesi diventa poco credibile, mentre lo scenario delle soluzioni pericolose e imprevedibili resta sempre dietro l’angolo.
Al disastro attuale, che è sotto gli occhi di tutti, purtroppo sembra prospettarsi un salto nel buio che prefigura un ulteriore disastro annunciato, confermando amaramente che non c’è mai un limite al peggio.
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Articolo pubblicato il 17/07/2022