Mattarella ha sciolto le Camere: “Scelta inevitabile” Elezioni il 25 settembre

Nessuna prospettiva per una nuova maggioranza”. Il governo resta in carica per gli affari correnti.

La giornata politica di ieri è stata il conseguente prosieguo delle conclusioni di Draghi dopo il voto di mercoledì sera al Senato.

Il presidente del Consiglio si era recato alla Camera per un intervento lampo ed ha preso la parola solo per chiedere che venga sospesa la seduta, in quanto doveva recarsi al Quirinale per “comunicare le sue determinazioni”. Il premier era stato accolto dai deputati con un lungo applauso. Draghi ha confermato le dimissioni non avendo ottenuto  i voti di Lega, M5S e Forza Italia.

Mario Draghi, ha “reiterato” le sue dimissioni.  Mattarella, dopo aver sentito i Presidenti dei due rami del Parlamento, ai sensi dell'articolo 88 della Costituzione, ha firmato il decreto di scioglimento del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, che è stato controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Il decreto discioglimento è stato consegnato ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati dal Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, Ugo Zampetti che annuncia che Il governo rimane in carica per gli affari correnti”,

Le elezioni si terranno il 25 settembre, per cui, pur nella ristrettezza dei tempi, è partita la tanto agognata ed attesa campagna elettorale. Il centro sinistra rimane spiazzato dal blocco del “campo largo”, dopo la crisi di governo causata dai grillini, ma Letta, almeno a parole si dimostra sicuro, puntando ad unire tutti i draghiani.

Le cose si complicano un pochino nel centro destra.

La senescenza ha causato un brutto scherzo a Berlusconi. Ha forse volutamente abbandonato il suo riferimento all’elettorato moderato, ai valori liberali, al riferimento al Popolarismo europeo, all’atlantismo e si è appiattito all’impostazione di Salvini, prontamente riconciliatosi con Giorgia Meloni, per cercare la rivincita della rinata coalizione, tutta orientata su tematiche sovraniste, già ampiamente sostenute nel corso del primo governo Conte.

Esulta Giorgia Meloni, tacciono  al momento i Governatori leghisti espressione del nord est produttivo, come pure il ministro Giorgetti che sino ad inizio settimana appariva tra i più attivi pontieri tra Salvini e Draghi.

Il disagio palese coinvolge esponenti storici di Forza Italia.  Per il ministro degli Affari regionali Maria Stella Gelmini, che lascia Forza Italia: “Non sono preoccupata per quello che farò in futuro, sono preoccupata per il Paese e per questa deriva populista e sovranista del centrodestra, che mi sembra più una destra-centro”.

Le fa eco Mara Carfagna ministro per il Sud e la Coesione territoriale: “Per questioni di stile non esprimo giudizi su come Forza Italia ha gestito questa crisi, assumendo una decisione che non ho condiviso, che sono convinta vada contro l’interesse del Paese e di cui non ho mai avuto l’opportunità di discutere in una sede di partito. Sono grata al presidente Berlusconi per le opportunità che mi ha offerto e la fiducia che mi ha testimoniato in questi anni, ma quanto accaduto ieri rappresenta una frattura con il mondo di valori nei quali ho sempre creduto che mi impone di prendere le distanze e di avviare una seria riflessione politica”

Abbandona Forza Italia anche il ministro della Pubblica Amministrazione, seguito a ruota dal senatore Andrea Cangini. “Non sono io che lascio, ma è Forza Italia, o meglio quel che ne è rimasto, che ha lasciato se stessa e ha rinnegato la sua storia". Lo scrive in una nota Renato Brunetta, annunciando il suo addio a Forza Italia dopo lo strappo di Maria Stella Gelmini. "Non votando la fiducia a Draghi, il mio partito ha deviato dai valori fondanti della sua cultura: l'europeismo, l'atlantismo, il liberalismo, l'economia sociale di mercato, l'equità, i cardini della storia gloriosa del Ppe, a cui mi onoro di essere iscritto, integralmente recepiti nell'agenda Draghi e nel pragmatismo visionario del Pnrr'', ha aggiunto.

Le voci di una scissione del drappello dei “draghiani” di Forza Italia si fanno insistenti: fra gli indiziati per una rottura, ci sono quei deputati che domenica, dopo l’intervista di Gelmini  in cui chiedeva alla maggioranza (e al suo partito) di non porre condizioni al premier, sono usciti pubblicamente per esprimere sostegno alla ministra: Roberto Caon, Giusy Versace, Annalisa Baroni, Erica Mazzetti, Claudia Porchietto e altri.

Intanto anche il M5s è sempre più lacerato.

Il 6 luglio Giuseppe Conte aveva presentato al premier un documento in 9 punti con alcune rivendicazioni (dal superbonus, al salario minimo, al reddito di cittadinanza) considerate essenziali per l’appoggio grillino al governo. E si sono creati due schieramenti. Da un lato i governisti (50 tra Camera e Senato) guidati da Davide Crippa, capogruppo alla Camera che intendevano appoggiare Draghi, e dall’altra i falchi duri e puri che spingevano per un’uscita dall’esecutivo.

Alla fine il Movimento è restato compatto, non votando la fiducia ma non uscendo dall’aula per evitare di far mancare il numero legale. Il redde rationem però è solo rinviato. L’epilogo del governo Draghi sarà anche il bivio per molti grillini che da tempo non condividono la linea di Giuseppe Conte. E segnerà la fine del campo largo con il Pd

Il leader della Lega, Matteo Salvini, pensa già a un futuro governo di centrodestra. Parla di programma, a partire dal fisco, e di nuovi decreti sicurezza. Assicura che la coalizione si presenterà unita alle prossime elezioni, anche se “non c’è tempo da perdere”. E punta sui cavalli di battaglia della sicurezza, appunto, dell’autonomia e del controllo dell’immigrazione.

Si riaccende il dibattito sulla leadership del centrodestra, con Giorgia Meloni che scalpita, forte dei sondaggi che vedono il suo partito veleggiare oltre il 20%. La presidente di FdI assicura: “Francamente, non ci aspettavamo di arrivare al voto il prossimo 25 settembre. La dipartita di questo governo è stata rocambolesca e per certi versi inaspettata, però siamo e saremo pronti. Mi pare che siano maggiormente in difficoltà altri che in questa veloce campagna elettorale dovranno tentare di trovare un modo per reinventarsi. È un problema che sicuramente non ha FdI”.

Chi ha orecchi per intendere, intenda. E non solo. Meloni auspica un vertice di coalizione “quanto prima” non “per fare foto ma per darsi delle regole”. Non a casa di Silvio Berlusconi, però, ma “in sedi istituzionali” con tanto di ordine del giorno, in modo tale che gli incontri siano effettivamente “operativi” e non solo “occasioni conviviali”.

La leader di FdI non discute la regola che chi prenderà un voto in più esprimerà il nome per Palazzo Chigi, ma lancia un appello agli altri leader per l'”indisponibilità ad alleanze variabili”.

Dal canto suo, Salvini è quasi spavaldo sull’esito delle elezioni, che arriveranno giusto una settimana dopo il bagno di folla nel ‘sacro pratone’ di Pontida. Tanto che, ancor prima che il capo dello Stato Sergio Mattarella annunci ufficialmente lo scioglimento delle Camere, dalla Lega filtra che il leader stia pensando ai temi chiave del nuovo esecutivo.

Gli obiettivi? “Approvare pace fiscale, taglio delle tasse e flat tax, riforma delle pensioni e nuovi decreti sicurezza”, filtra dopo la riunione con i ministri e i sottosegretari del suo partito, che arriva prima di un incontro con gli europarlamentari del Carroccio.

Non finisce qui. Il leader leghista torna a esprimere “grande rammarico”, perché “la follia dei 5Stelle e le provocazioni del Pd hanno portato alle dimissioni di Draghi”. Quindi, in serata, assicura che “per noi il lavoro non si interrompe a prescindere dalle crisi”.

E, se il silenzio di Massimiliano Fedriga e Luca Zaia dopo la caduta del governo fa rumore, il ‘Capitano’ fa sapere che le emergenze economiche, quasi a volerli tranquillizzare, sono sul tavolo degli incontri di queste ore. Quindi, rilancia sull’autonomia, che considera “un tema centrale” in ottica programma di coalizione e propone agli alleati “una riforma delle pensioni con quota 41 e la pace fiscale”. Le urne si apriranno tra poco più di due mesi. E la sfida tra Lega e FdI è appena iniziata. 

Seguiranno nei prossimi giorni dichiarazioni, prese di posizione, organigrammi e soprattutto tornerà fiorente il mercato delle candidature, tenendo conto della riduzione dei seggi parlamentari.

Dai primi contatti con cittadini che ci scrivono ed incontrano, sta consolidandosi, oltre alla disaffezione dalla politica, la frattura tra i disegni dei leader e l’elettorato di riferimento. Sono già in programma vertici di leader e capi bastone equamente distribuiti, me dall’alto della loro supponenza, i politici non badano all’umore dell’elettorato ed avremo modi di approfondire e dimostrare cosa valuta il Paese reale. Quello che vota!

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 22/07/2022