Baravalle: "Da uno Stato dei sussidi a uno Stato delle sussidiarietà".

A rischio di default oltre 100.000 imprese.

Lo Stato dei sussidi, nato magari con intenzioni anche buone, ha finito con il diventare uno dei principali e maggiori fattori di iniquità, ingiustizie sociali e livellamento verso il basso, facendo gravare sulle categorie professionali e reddituali intermedie l'ottanta per cento delle uscite del bilancio dello Stato. 

Ne parliamo con l’imprenditore Luca Baravalle.

 

Baravalle, dalla sua esperienza sul campo, può confermare questo fenomeno?

 

Assolutamente. I provvedimenti messi in atto in questo senso stanno producendo un vero e proprio “effetto boomerang” che va a colpire proprio  le categorie sociali intermedie, le stesse che, in presenza di politiche fiscali equilibrate, assicurano, invece, il sostentamento delle attività dello Stato e fanno crescere, crescendo esse stesse, la base della sicurezza sociale e occupazionale di una Nazione. 

 

Oggi queste categorie sono realmente a rischio?

 

Purtroppo sì e la conferma di ciò, ove ve ne fosse stato ancora bisogno, arriva proprio dall'ultimo rapporto della società Cerved, il centro studi dedicato alle imprese capitalizzate dell'Italia dove sono indicate come drammaticamente a rischio di default oltre 100.000 imprese, un terzo delle quali piccole e micro, per un totale di 821.000 lavoratori coinvolti. 

 

Quali saranno le conseguenze nel prossimo futuro?

 

Ove non frenata, questa crisi porterà con sé sofferenze sociali e anche, in senso tecnico, finanziarie, poiché oltre 100 miliardi di affidamenti creditizi in corso andranno nella classificazione degli impieghi incagliati o deteriorati, con effetti sulla capacità erogativa degli istituti di credito cui i governi ultimi hanno affidato compiti propri delle politiche di contributo a fondo perduto negli altri Paesi. 

 

La crisi dell'impresa va quindi di pari passo con l'economia globale?

 

Dipende da come la si intende quest'ultima in termini concettuali. 

L'internazionalizzazione resta necessaria e opportuna, ma non più come adesione a un globalismo o mondialismo standardizzato, bensì come strumento per promuovere formule di internazionalizzazione di prossimità in grado di esaltare caratteristiche e affinità tra mercati maturi e mercati emergenti con minimi comuni denominatori.

 

Esistono altri orizzonti cui guardare che possano diventare un volano in grado di fornire nuove opportunità?

 

Basta pensare all’Europa dell’est o alle significative opportunità derivabili dalla cooperazione balcanica adriatica e mediterranea per il nostro Paese, e per i Paesi cooperanti della regione, in termini di autonomia alimentare ed energetica che può essere recuperata al riparo da shock esogeni come quello in corso.

 

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Articolo pubblicato il 29/07/2022