
Breve viaggio fra le parole elettorali
Sta partendo una campagna elettorale allo sbando che, in attesa di trovare una strada che convinca i suoi protagonisti prima che gli elettori, è tutto uno sventolìo di parole d’ordine, vessilli ideologici, grida di battaglia, proclami che paiono bocche da fuoco puntate sugli avversari. Gli argomenti razionali, forse, seguiranno.
Per la verità, è la sinistra al traino del PD e del suo front runner ad alzare i toni e a schierare un’imponente artiglieria verbale contro “le destre”, l’impero del male che rischia, secondo loro, di sommergere la nostra nazione.
Mentre “le destre” danno una serena immagine di compattezza e stanno lavorando a un programma per il paese senza lanciare maledizioni bibliche agli avversari, la sinistra sta ancora cercando una strada, o almeno un viottolo, che la conduca a un fronte e a un programma comuni.
Dopo il cocente tradimento del front runner n. 2, cioè Calenda, il front runner n. 1, cioè il povero Letta, ha un po’ dismesso gli occhi di tigre e -attaccato dal di fuori e dal di dentro- sta cercando di ricomporre il gregge in una coalizione passabile e credibile, e il compito sembra veramente improbo.
L’aver ammesso, in un attimo di perdita di coscienza, che quella che sta mettendo in piedi non è una coalizione di governo ma solo una coalizione elettorale, dando per scontato che essa serva solo a racimolare voti e non a proporre una solida prospettiva di governo del paese, Letta ha fatto perdere ogni credibilità non solo al suo tentativo politico ma anche all’intera compagine di sinistra che si presenterà agli elettori.
E’ pur vero, come abbiamo già detto, che l’elettore piddino vota in modo teutonico, perinde ac cadaver, ma forse un qualche barlume di coscienza critica gli sarà pur rimasto, e quando, in qualche sperduto collegio, dovrà tracciare la croce sul nome di Di Maio o di Tabacci, magari perfino il suo apparato gastrointestinale cederà rovinosamente.
Di fronte a questa situazione melmosa e gravida di funesti presagi, la sinistra ha sfoderato la sua arma usuale: le parole, di cui possiede un arsenale pressoché infinito. Come abbiamo scritto qualche giorno fa il confronto fra centrodestra e sinistra non è solo un confronto politico: è un confronto storico, oserei dire ontologico.
Da un lato le cose, dall’altro la loro rappresentazione, cioè le parole. Da un lato un centrodestra che parla della realtà, dall’altro una sinistra che parla di parole.
Ecco allora che, dinnanzi all’impotenza di fronteggiare le cose e le situazioni, la sinistra riprende le sue parole di combattimento -fascismo, sovranismo, populismo eccetera- e le scaglia nel campo avversario come oggetti contundenti o, addirittura, come ordigni esplosivi. In tutto questo supportata, come sempre, dalla comunicazione conformista delle grandi testate e delle grandi reti televisive.
Che cosa c’entri il fascismo in una competizione elettorale del 2022, non si comprende. L’unica stralunata analogia è di tipo cronologico: siccome nell’ottobre 1922 i fascisti marciarono su Roma, allora, cent’anni dopo, tutto potrebbe ripetersi.
Non sappiamo se Draghi, che in quella data potrebbe ancora essere al suo posto, dichiarerà quello stato di assedio che Vittorio Emanuele non volle adottare, ma da governi abituati allo stato di emergenza ci si può aspettare di tutto... Scherziamo, naturalmente: unico atteggiamento possibile dinnanzi alla mobilitazione antifascista contro Giorgia Meloni e i suoi alleati.
Che un simile allarme possa provenire dai piddini disperati e dai loro gregari rossi e verdi è comprensibile, ma che ci sia una stampa seriosa (non seria), che si autocertifica come attendibile e democratica, la quale produca simili visioni psichedeliche e le proponga ai lettori, è cosa veramente incredibile.
D’altra parte, come ben sappiamo, il fascismo per la sinistra non è un fatto storico, o una serie di fatti storicamente ben definiti e ben conosciuti, collocati in un periodo storico altrettanto definito e conosciuto, bensì un fenomeno metafisico, una realtà gnostica, una incarnazione del male collocata in una dimensione a-temporale, quello che Umberto Eco chiamava “Ur-fascismo”, il fascismo eterno che diventa categoria dello spirito e, in quanto tale, è sempre presente, sempre minaccioso, sempre riutilizzabile come spaventapasseri politico, secondo necessità.
Non ci risulta che la destra sia affetta da una analoga e speculare ossessione per il comunismo inteso come lato oscuro del mondo, anche se la cosa potrebbe essere ragionevole considerando che un paese come la Cina, con tutta la sua incommensurabile potenza demografica, politica, economica, militare, si definisce orgogliosamente comunista, e sicuramente lo è.
E ancora non sarebbe difficile costruire una attendibile linea di discendenza dal Partito Comunista Italiano, col suo ruvido e intransigente sovietismo, sino al Partito Democratico di Letta, attraverso gli snodi documentati del PDS e dei DS. D’altronde, nessuno nel PD può dirsi comunista vista la sua amorosa vicinanza alla borghesia chic, al mondo della finanza e delle banche, alla grande industria, all’Europa nordica e protestante, agli Stati Uniti di Biden, alla cultura glamour di attori, cantanti, cineasti, scrittori alla moda. Eppure una certa parte della dirigenza di quel partito proviene proprio da quel mondo che, anni fa, si definiva convintamente comunista e che oggi si è ristretto a un Fratoianni protetto dal WWF.
Certo che esiste ancora qualche pittoresco soggetto che a Predappio fa il saluto romano in camicia nera, così come esistono altrettanto pittoreschi soggetti che portano il fazzoletto rosso e la spilla con la faccia di Stalin. Ma qualcuno crede veramente che rappresentino una minaccia per la democrazia italiana del XXI secolo?
Forse sì, ma bisogna credere nell’Ur-fascismo e nell’Ur-comunismo, fede che è il prodotto di una scarsa igiene mentale e di una propaganda elettorale da sotto-acculturati.
Quanto poi alla possibilità che una compagine parlamentare di centro-destra che abbia la maggioranza in parlamento possa procedere da sola ad una modifica costituzionale in senso autoritario, o addirittura fascisteggiante, non è neppure il caso di parlarne: dovrebbe trattarsi di una maggioranza che raggiunga o superi i due terzi dei seggi; in caso contrario -come è noto- la riforma potrebbe facilmente essere sottoposta a referendum confermativo, un istituto che è garanzia di assoluta e perfetta democraticità delle eventuali nuove scelte costituzionali.
Parlare di minaccia fascista solo perché un partito chiaramente e dichiaratamente e di destra potrebbe diventare il primo partito di una prossima coalizione vincente è pertanto un semplice, e un po’ ridicolo, “fantoccio polemico”, per usare una espressione einaudiana, che fa comodo solo a una sinistra abituata a trovare consenso con la paura anziché conquistarlo con la ragione di forti e chiare scelte programmatiche, attualmente non disponibili.
E questo per quel che riguarda il fascismo immaginario.
Vedremo di affrontare in seguito gli altri fantocci polemici che hanno invaso questo inizio di campagna elettorale: il sovranismo e il populismo, altre immagini diafane e irreali create dalla sconfinata fantasia della sinistra nella sua lotta contro la realtà e la legittimità delle idee altrui.
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Articolo pubblicato il 10/08/2022