L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Elio Ambrogio: Allarmi, son Sovranisti…

Breve viaggio fra le parole elettorali

Un secondo marchio d’infamia -dopo quello di fascisti- che viene ampiamente utilizzato in questa campagna elettorale, dove parole prive di significato vanno progressivamente sostituendo il confronto razionale, è sicuramente quello di “sovranisti”.

“Regalare l’Italia ai sovranisti”, “le destre sovraniste”, “fermare i sovranisti”... Tutte espressioni in cui una parola, un’idea, una visione assolutamente degne vengono sottoposte a un processo di torsione semantica per trasformarle in corpi contundenti da lanciare agli avversari politici, sperando di togliere loro -appunto-  la dignità di avversari trasformandoli in energumeni. Processo democraticamente illegittimo, moralmente basso, elettoralmente inutile.

Il sovranismo è un’idea, ma anche un sentimento e una visione culturale, di assoluta dignità che solo la sottocultura globalista ha potuto confinare nel regno dell’inaccettabilità.

E non stupisce che possa essere così spaventevole per una sinistra italiana oggi tutta votata a un falso ed entusiastico internazionalismo da cui traspare irrimediabilmente, tra le altre cose, tutto il suo  provincialismo.

E in effetti è singolare la coincidenza di globalismo e provincialismo in molte persone: un diffuso processo psicologico per cui la rimozione delle proprie radici diventa quel ritratto di libertà intellettuale, di raffinatezza comportamentale, e perfino di superiorità etica, da ostentare di fronte agli altri. Vero e proprio abito provinciale da indossare in ogni occasione: dalla spiaggia di Capalbio all’intervista di Letta, dal pensoso articolo di Gramellini alla presentazione di un libro di Scurati sulla piazza del paese.

Senza scomodare testi affascinanti e demistificanti come quelli di Lasch o di Rothkopf, ci basta guardare con mente libera il comportamento di queste persone che si auto-attribuiscono una visione superiore della realtà, una visione senza confini, senza scorie nazionaliste, senza appartenenze se non alla comunanza globalista, per definirli come sublimi provinciali, essendo inconsciamente e totalmente prigionieri della loro mentalità tra il narcisistico e lo snobistico, piccoli e azzimati aristocratici -appunto- di provincia.

Da questa mentalità discende logicamente l’avversione per il sovranismo, inteso, da un punto di vista psicologico, come chiusura mentale e, da un punto di vista politico, come gretto nazionalismo.  Tralasciamo la prima accezione ed esaminiamo la seconda.

Intanto, confondere sovranismo con nazionalismo è una perfetta sciocchezza che qualunque studioso può smontare senza difficoltà, sciocchezza che però è molto utile nel regno della stupidità elevata a metodo, e cioè in campagna elettorale.

Il nazionalismo è una patologia della storia, il sovranismo è una teoria giuridica e politica con grandissimi risvolti etici. Nelle vecchie facoltà di giurisprudenza si insegnava che la sovranità era un elemento costitutivo e imprescindibile dello stato, assieme al popolo e al territorio. Semplicemente, senza sovranità uno stato non esiste, o è talmente esangue da non avere più una sua consistenza.

Condannare le sovranità nazionali, e il sovranismo che ne è l’aspetto concettuale, significa disconoscere secoli e secoli di storia italiana, europea, mondiale tutti tesi a realizzare concretamente aree di sovranità più o meno ampie su territori e su popoli accomunati da tradizioni, lingue, culture, religioni, aspirazioni  condivise. Significa disconoscere quella strada che, dalla fine dell’impero romano d’occidente, ha attraversato  la formazione delle grandi monarchie continentali, la nascita dell’idea di stato nazionale con la pace di Westfalia, l’emancipazione delle colonie americane, l’aspirazione italiana all’unità, il Risorgimento, la dissoluzione degli imperi europei, la decolonizzazione, la fine del blocco sovietico e molto altro ancora; tutto un millenario processo che ha avuto come comun denominatore la definizione e la ridefinizione delle sovranità.

A ognuna di queste definizioni e ridefinizioni corrisponde un parallelo crearsi e rimodellarsi di ordinamenti giuridici che, a ben guardare, assieme agli eserciti e alle burocrazie hanno costituito l’asse portante della sovranità, ordinamenti che -scusate la forzatura- sono anche piena e genuina espressione della volontà e dell’anima dei popoli.

Ma oggi tutto questo è guardato come spazzatura. L’idea stessa che un popolo possa autodeterminarsi e autogovernarsi è considerata dal neo-liberismo (e in particolare dalla sua componente più talebana, e cioè  la sinistra liberal) come una bestemmia culturale e politica.

La feroce battaglia che il vecchio PCI condusse nel dopoguerra prima contro la NATO e poi contro l’Europa -due delle massime organizzazioni sovranazionali in cui l’Italia si stava inserendo con notevoli cessioni di sovranità- appare oggi incredibile di fronte al fanatismo euroatlantico dei suoi discendenti piddini.

Le forze liberali, cattoliche, centriste, che oggi, assieme alla sinistra, condividono l’astio antisovranista hanno almeno la scusante di essere da sempre europeiste e atlantiste. E proprio nell’incipit del suo programma elettorale, il centrodestra (Fratelli d’Italia compresi) ha sentito il bisogno di tributare un omaggio molto ossequioso alle istituzioni sovranazionali, Europa e NATO, ribadendo un suo  assoluto conformismo antisovranista.

Dell’antico principio di sussidiarietà, che fino a un passato non troppo lontano sembrava essere l’asse portante politico ma anche etico dell’Europa, e particolarmente gradito ai cattolici e ai popolari, non c’è ombra.

Oggi l’Italia sembra un affresco antico e bellissimo che va perdendo forme e colori nel grigio di una vecchia parete, e nessuno sembra intenzionato a restaurarlo riportandone in evidenza le peculiarità e le bellezze: una nazione che, con gli ultimi governi, quello Draghi in particolare, si va sciogliendo in un’Europa che ci sovrasta con le sue leggi lunari, le sue decisioni aggrovigliate, la sua retorica insopportabile, e che, a sua volta, va sciogliendosi in alleanze belliche e guerre di altri, guerre che per ora hanno portato soltanto aumento di spesa militare, recessione, inflazione e sanzioni che hanno colpito noi stessi in una ridicola eterogenesi dei fini.

Nel 2011 Hans Magnus Enzensberger scriveva Il mostro buono di Bruxelles per metterci in guardia contro i pericoli di un eccesso di potere dell’Unione europea. Oggi le sue considerazioni appaiono profetiche, ma in quel titolo c’è sicuramente un aggettivo di troppo.

Questo è il prezzo dovuto per la rinuncia alla nostra sovranità, per non aver voluto essere abbastanza sovranisti; una storia iniziata a suo tempo con la teorizzazione del “vincolo esterno” di colpevoli personaggi come Carli, Ciampi, Andreatta, a cui è seguita l’imposizione di una moneta straniera chiamata euro, e arrivata sino ad oggi con il nostro coinvolgimento di fatto in una guerra estranea e, fra poco, con la stretta finanziaria prossima ventura non appena lo decideranno a Bruxelles e a Francoforte.

Ricordiamoci che il rigore di bilancio, vero pilastro dell’UE, non è mai stato accantonato.

Purtroppo la tendenza storica a distruggere le sovranità nazionali da parte delle istituzioni sovra-nazionali che molto spesso operano in strettissima collaborazione con i grandi poteri economici multinazionali -l’OMS ne è un esempio inquietante- continuerà senza sosta creando un Moloch dove le decisioni che ci toccano più da vicino saranno prese chissà dove, magari in altri continenti, chissà da chi, chissà come, chissà per quali interessi.

E’ questo il prezzo che dobbiamo pagare a tutti quelli che oggi ci accusano di becero sovranismo.

 

Elio Ambrogio

Vice Direttore - Editorialista

 

 

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Articolo pubblicato il 14/08/2022