La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Tragedia al Club filodrammatico (Prima Parte)

Questa è una storia di seduzione e abbandono, con risvolti drammatici.

È anche una storia iscritta nell’affascinante mondo del Teatro subalpino e in quello comunemente noto come palcoscenico della vita.

Iniziamo col Teatro, dove tutto ha avuto inizio…

Il cav. Domenico Bassi, valoroso attore di teatro, dopo aver recitato in molte Compagnie prestigiose, a Torino è stato gerente del Teatro Carignano e, nel 1887, ha fondato in via Vanchiglia 5 bis una Scuola privata di Recitazione, che ha preso il nome della Principessa Maria Laetitia, Titolare e Patrona. Già un centinaio di allievi recitano in ruoli principali in Compagnie teatrali di rilievo.

Il cav. Bassi ha affittato nel sotterraneo della Galleria Nazionale un Salone dove il pubblico può assistere ai saggi dei suoi allievi, tanto valenti da apparire spesso come artisti professionisti.

Presentata la scuola di recitazione, incontriamo alcuni suoi allievi, sfogliando la Gazzetta Piemontese del 22 giugno 1886:

Domenico Bassi ebbe la felice idea di dare un terzo e ultimo saggio (ultimo della stagione) della sua scuola di recitazione […]. La sera di venerdì 25, al Carignano presenterà nuovi allievi: le signorine Adele Parisio e Angiolina Maggi e i signori Alberto Rubeo, Everardo Benotti e Pietro Giachino, che insieme alla signorina Adele Vittino ed Edvige Guglielmetti, allieve già presentate, ed alla brava artista signora Elettra Brunini Privato, svolgeranno il programma seguente: A tempo, di Montecorboli, Un bacio, di L. Rossi, Lo sciopero dei fabbri, di F. Coppé, e Didone abbandonata, di N. Mascon.

Il 24 agosto, il giornale annuncia una nuova recita straordinaria organizzata dal cav. Bassi con artisti professionisti e con allieve e allievi della sua Scuola, tra i quali vi sono Adele Parisio e Alberto Rubeo.

Passano i mesi, la vita, gli spettacoli… ed eccoci giungere alla serata di Santo Stefano dello stesso anno. Così titola la Gazzetta Piemontese di lunedì 27 dicembre 1886: Tragedia presso un club filodrammatico. Leggiamo:

Qualcuno dei nostri lettori conoscerà certamente il signor Alberto Rubeo, giovane elegante, che fu già militare, ed ora, dandosi al passatempo, fa sfoggio di cavalli e vetture e frequenta la società allegra e chiassosa di Torino, dedicandosi specialmente alla filodrammatica, di cui è uno dei più attivi virtuosi.

Egli, oltre a prestare l’opera sua in rappresentazioni di beneficienza, è socio fondatore del Club Filodrammatico Bellotti Bon, che ha sede sul corso Palestro, n. 2, ed appunto ieri sera, verso le 9:30, egli si trovava al Circolo per prender parte ad una delle rappresentazioni domenicali, quando venne pregato di uscire fuori, perché una signora desiderava parlargli.

Una signorina chiede di lui, dell’elegante Alberto?

Perbacco, non va fatta attendere!

Il Rubeo appena ebbe salite le scale che dal sotterraneo club conducono sul corso Palestro, venne affrontato da certa Parisio Adele, d’anni 22, già impiegata presso la Direzione dei telefoni, la quale gli esplose contro due colpi rivoltella, causandogli due ferite, una alla spina dorsale e l’altra nella regione addominale, dichiarate ambedue dai periti dell’arte medica gravissime e pericolose di vita.

Di certo non si aspettava questo genere di accoglienza…

Al rumore dei colpi accorsero parecchie persone, le quali prodigarono al Rubeo le prime cure; intanto la Parisio venne fermata e disarmata da certo Brunero Tommaso, portinaio del Club Bellotti-Bon ed arrestata da una pattuglia delle guardie di P.S. di servizio in quei paraggi.

In pari tempo venne pure arrestata la madre della Parisio, la quale assisteva allo spettacolo del Club perché dicesi fosse consapevole delle intenzioni della figlia o anzi abbia in qualche modo contribuito a compiere il truce proposito.

La causa che avrebbe spinto la giovane donna a compiere il misfatto sarebbe la vendetta poiché il Rubeo dopo avere con lei amoreggiato e resala madre l’aveva abbandonata rifiutandosi persino di soccorrerla nelle tristi condizioni in cui la povera giovane versava.

Le due arrestate vennero tradotte nella camera di sicurezza della Questura ed il ferito venne trasportato all’Ospedale Mauriziano, in via Basilica, ove, come abbiamo detto, versa in grave pericolo di vita.

Il 29 dicembre, la solita Gazzetta riferisce sulle condizioni del Rubeo: nella mattinata vi è stato un leggerissimo miglioramento, ma perdura la paralisi alle gambe causata dalla ferita al midollo spinale. Adele Parisio nel pomeriggio del giorno precedente è stata trasferita dalla Questura alle Carceri giudiziarie in compagnia della madre.

Il giorno dopo, il quotidiano cittadino riporta la notizia che al Circolo Bellotti Bon ogni spettacolo è stato sospeso in segno di cordoglio per quanto accaduto e «le sale del Club si riapriranno agli invitati domenica, 2 gennaio, alle 8:30 pomeridiane colla produzione La legge del cuore, del cav. Ettore Dominici».

Passano sette mesi e la stampa torna a parlare della tragedia di una coppia scoppiata se non peggio, mai nata. La Gazzetta Piemontese del 10 luglio 1887 annuncia ai suoi lettori che la Parisio è stata accusata di «solo ferimento ed ammessa a libertà provvisoria. Si attende, a complemento dell’istruttoria, la perizia definitiva sulle ferite da lei causate. Essa verrà giudicata dal Tribunale e difesa dall’avvocato Tommaso Villa».

Il processo si apre il 9 gennaio dell’anno successivo.

Così scrive l’avvocato Giovanni Saragat, che si firma Toga-Rasa sulle colonne della Gazzetta Piemontese, il 10 gennaio 1888:

Non è compito, né proposito mio poetizzare il delitto, consigliare alle ragazze per bene la rivoltella come difesa dell’onore, il quale si può difendere benissimo non ponendosi nel cimento; e perciò mi limiterò alla cruda esposizione dei fatti […]. Pietà della sventura, compatimento della debolezza sì, glorificazione no.

Se si volessero fare degli studi psicologici, molti se ne potrebbero fare in questo processo; ma toccherebbero sventure recentissime che devono essere sacre per tutti.

Se vi furono colpe, esse furono amaramente espiate, e sarebbe crudele ricordarlo ora davanti al dolore di due povere famiglie, che, assistendo a questo dramma giudiziario, risentono nell’anima vivissima la eco della immane sciagura.

Il Rubeo, giovine non ancora trentenne, giace inchiodato in un letto da oltre un anno, e la Parisio, fatta madre di una creaturina innocente, si trova davanti ai suoi giudici per rispondere del reato di mancato omicidio di colui che amava teneramente, del padre della sua creatura. […]

L’udienza cominciò alle undici e un quarto sotto la presidenza dell’egregio cav. Gavotti. Siedono come difensori il principe dei nostri avvocati penalisti, l’avvocato degno di tanta causa, l’onorevole Villa, e l’avvocato Paretti. Siede come Pubblico Ministero l’avvocato Forni. La famiglia Rubeo non si è costituita parte civile.

Non poteva certamente mancare il pubblico…

Alle porte un affollarsi di gente curiosa che forma la disperazione dei carabinieri di guardia, i quali, per stare alla consegna, devono dir di no e mandare indietro tante belle ragazze che vorrebbero entrare per udire il dramma dalla bocca della Parisio. […]

Nella sala un accalcarsi di avvocati e di pseudoavvocati.

La Parisio siede nel mezzo dell’emiciclo. È una ragazza sui ventiquattro anni, non bella, ma simpatica, dall’aria buona, dal parlare franco e correttissimo, che ricorda la sua abitudine a parlare in pubblico, essendo essa una distinta dilettante del teatro filodrammatico. Ha le frasi misurate, senza interruzioni, senza lo schianto del dolore impreveduto.

Ha pianto troppo, ha sofferto troppo, per non sentire più tutte le vivezze d’un dolore angoscioso, e ricorda ed espone con tutta chiarezza i fatti e gli accecamenti che la spinsero al delitto. Veste di nero, senza ricercatezze, un abito pulito e modesto da signora.

Così spiega al Presidente la sua sofferta storia amore…

Conobbi il Rubeo a Riva di Pinerolo nel settembre del 1884, ed allora ero pura.

Nell’anno seguente lo ritrovai a Torino, e la nostra relazione continuò e divenne intima in seguito a sue promesse di matrimonio. Io ero impiegata nella Società dei telefoni, e spesso, col pretesto di passare la notte nell’ufficio, la passavo col Rubeo, sino a che i miei superiori, accortisi di una tale mia relazione, mi invitarono a dare le mie dimissioni, ed io le diedi.

Il Rubeo se ne rallegrò dicendomi che avrei più tempo di dedicarmi all’arte della recita, a cui mi oro dedicata. Era pieno di riguardi e mi diceva che mi avrebbe sposata non appena avesse potuto superare alcuni ostacoli di famiglia.

Quando mi accorsi che ero per diventar madre glielo dissi facendogli presente quanto fosse critica la mia posizione in faccia al mio povero padre; egli mi promise che mi avrebbe ritirata da casa mia, e per darmi prova della serietà dei suoi sentimenti, mi diede una lettera scritta da un’amica alla madre quando questa era incinta di lui. Mi regalò catena, orologio ed anello di sposa.

Al 20 dicembre, giorno del mio onomastico, venne a prendermi di casa col pretesto di condurmi al teatrino Bellotti-Bon. Eravamo d’intesa che non mi avrebbe più ricondotta a casa.

Dopo lo spettacolo,

Con Zanotti, la Lisia e San Roberto [amici di Rubeo, N.d.A.] andammo alla Meridiana, dove si cenò. Venne ad unirsi una terza ragazza, e ciò mi disgustò.

La notte la passai col Rubeo all’albergo del Moro, dove stetti il giorno dopo e la notte seguente. Al terzo giorno mi disse che il padre lo aveva rimproverato. Io gli feci presente il mio stato, l’onestà di mio padre e della mia famiglia e come io non potessi più tornare a casa; ma egli mi lasciò in mezzo alla strada.

La Lisia, sapendo che ero priva di tutto, mi ritirò al Merlo Bianco, e colà venne a trovarmi mia madre. Quando la vidi scoppiai in dirotto pianto. Essa mi offerse di ricondurrmi a casa; ma io le dissi che non potevo più entrare in casa.

La Lisia le confidò il mio stato di gravidanza, ed essa, poveretta, non insisté più, e mi disse solo: «Tuo padre ucciderà te e me».

Pensammo di andare dal padre del Rubeo, ed andammo.

Una visita infruttuosa, ma illuminante: il padre, «assediato dagli strozzini del figlio e da quante le si rivolgevano reclamando qualcosa dal figlio», non prestò ascolto alle due donne.

Fine della Prima Parte - Continua

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Articolo pubblicato il 04/09/2022