28 agosto 1877: Orribile delitto in via Cavour

Giovanni Cavaglià, assassino noto per le malefatte e per un manufatto, grazie a Cesare Lombroso

L’omicidio perpetrato da Giovanni Cavaglià, detto Fusil, nell’agosto del 1877 in via Cavour, da un punto di vista investigativo non offre certo particolare interesse. Leggiamo nella Gazzetta Piemontese del 29 agosto, sotto il titolo Orribile delitto in via Cavour:

 

La nostra città fu ieri contristata da un orribile delitto […] Nella pacifica via Cavour e propriamente presso la porta n. 24 che fa angolo con via S. Francesco da Paola, nel locale già occupato dallo scultore in legno Rossi, trovasi da poco tempo un negozio da legna e carbone esercito da F. Gambro, uomo di buonissima età [26 anni, N.d.R.] ed in voce di essere molto denaroso, il quale si era ivi traslocato da un paio di mesi per vieppiù ampliare il suo commercio.

Il Gambro aveva seco un giovinotto dai 28 ai 29 anni, surnomato Fusil, che gli faceva da garzone e da segretario, e poi un altro garzone di età più avanzata, certo Valfrè Giuseppe, che andava, come usano tutti i garzoni carbonai di Torino, a portare carbone e legna a domicilio.

Da tre o quattro giorni il negozio non era affidato che al Valfrè, che la faceva da factotum.

E degli altri due che cosa n’era?

Il padrone, dice Valfrè, andò a fare due o tre giorni di campagna; il giovinotto Fusil è scomparso insalutato hospite.

Ieri mattina il Valfrè, dopo aver aperto il negozio, sentiva uscire un puzzo orribile dalle fessure del gabinetto [stanzetta ad uso privato, N.d.R.] dove dormiva il padrone e non sapeva a cosa attribuire tale inconveniente. Ei pensò prima a qualche bestia rimasta chiusa e morta asfissiata nel cubicolo; ma poi vedendo che il puzzo aumentava, mandò ad avvertire la giustizia, o per dir meglio la sezione di P.S.

Venuto sul luogo un impiegato di Questura, si è proceduto subito all’apertura del gabinetto; allora si è sprigionato dal medesimo un tale fetore cadaverico che ha ammorbato in un attimo camera, bottega, il cortile della casa e insomma tutto intorno per buon tratto.

Nella stanzetta della larghezza di pochi metri quadrati, il letto in ferro con una bella coperta bianca era tutto in disordine, a’ piedi si vedeva un piccolo tavolino con un lume o candeliere che sia e più in là c’era un forziere. Accanto al letto, a due passi a lato della finestra, c’era una guardaroba, da cui colava una certa materia giallognola che fa ribrezzo a descrivere. Là in quel mobile si era consumato l’immane delitto.

All’apertura di esso mobile un grido d’orrore è uscito dal petto degli astanti. Là dentro giaceva in incipiente stato di putrefazione il cadavere di un uomo seminudo, prima forse soffocato o strangolato mentre dormiva e poi preso e chiuso ermeticamente nell’armadio […]. Chi era dunque l’assassinato? Il carbonaio Gambro.

La voce pubblica non ha tardato a pronunziarsi: l’assassino è Fusil, il segretario, il garzone del povero carbonaio, che ospitava l’infame perfino nel suo letto. Appena si è sparsa la voce dell’orrendo delitto, tutti sono corsi in via Cavour e uno alla volta si arrampicavano sulla finestra dalla quale si vede il cadavere del Gambro per terra, nero come un coleroso. […] Nel dopo pranzo di ieri una grandissima folla di gente si riversava nel cortile della casa ed attorno alle finestre del negozio.

Gli inquirenti si mettono al lavoro in una casa al pian terreno dirimpetto a quella del carbonaio, turandosi il naso col fazzoletto per cercare, invano, di limitare il fetore. La voce pubblica accusa il garzone Fusil, che viene identificato come Giovanni Cavaglià, di 23 anni, muratore di Santena, che ha pensato bene di sparire. Questa la ricostruzione degli eventi: Cavaglià, nel mese di agosto dell’anno precedente è stato ospitato dal carbonaio Francesco Gambro, di 26 anni, di origine biellese, in buona armonia col padre e i fratelli e proprietario di un negozio ben fornito, con due porte in via Cavour e una porticina in via San Francesco da Paola.

Gambro, «uomo di dubbia fama» secondo Lombroso, dimostrava grande intimità verso Fusil, tanto da dividere con lui il proprio letto, ma allo stesso tempo diffidava della sua fedeltà: quando, il 23 agosto 1877, si è assentato per un breve periodo, ha raccomandato al garzone Valfrè di tenere d’occhio Fusil. Gambro è poi rientrato a Torino, dove - a detta di Valfrè - è stato visto sabato 25 al mattino. Sarebbe stato quindi ucciso nella notte tra sabato e domenica, a scopo di rapina visto che il denaro e gli oggetti preziosi sono spariti, anche se non si è potuto stabilire esattamente la somma asportata, perché soltanto Cavaglià era al corrente degli affari del carbonaio.

Gli inquirenti inizialmente sospettano anche del garzone Valfrè, arrestato perché il suo comportamento appare poco chiaro: col calore di agosto perché si è accorto del fetore così in ritardo? E perché non ha denunciato la fuga di Fusil?

Cavaglià è ancora rimasto per due giorni nel magazzino. A Valfrè, che gli chiedeva spiegazioni sull’assenza di Gambro, ha risposto che era arrivato la sera precedente, ma che era ripartito portandosi via la chiave della sua cameretta. Gli aveva anche spiegato che il cattivo odore, già percepibile nel magazzino, era dovuto a un prodotto topicida che lui aveva sparso in giro.

Presto gli inquirenti si convincono dell’estraneità di Valfrè, che alla perquisizione non è trovato in possesso di refurtiva appartenente a Gambro. Si concentrano su Cavaglià, il quale continua a essere latitante. È quasi comico il fatto che domenica 26 agosto il ricercato sia andato in Questura a farsi rilasciare un certificato di buona condotta col nulla osta per l’estero, che non gli si è stato rifiutato visto il suo precedente corretto comportamento!

Viene accertato che Cavaglià quella sera ha raggiunto Santena, dove ha fatto bisboccia con gli amici, ai quali ha fatto sapere di possedere molto denaro. Ha detto loro che aveva progettato di partire per Modane e che per molto tempo sarebbe rimasto all’estero. Si è recato prima in Francia e poi in Svizzera, cambiando il nome. Ma anche all’estero, gli inquirenti riescono a raggiungerlo, anche perché è lui stesso a metterli sulle sue tracce: con quella spensieratezza, che secondo Lombroso caratterizza i delinquenti, Cavaglià spedisce una lettera a un amico di Santena per chiedergli del denaro e rivela il suo nome di copertura. Viene così arrestato ad Airolo, in Svizzera, a fine settembre del 1877 e riportato a Torino, dove il 10 novembre è rinchiuso nelle Carceri Nuove.

Ecco perché abbiamo esordito dicendo che questo caso non offre spunti rilevanti dal punto di vista investigativo. È soltanto nel periodo della sua detenzione che Cavaglià acquisisce un importante ruolo negli studi del professor Cesare Lombroso, che lo considera un caso esemplare di uomo delinquente.

Nella perizia redatta da Lombroso in collaborazione col dottor Fiore, oltre alla dettagliata descrizione fisica e dei reperti dell’autopsia, sono esposti dati attinenti all’ereditarietà familiare di Cavaglià: «Figlio di padre alcoolista e scialacquatore che un giorno in un sol pranzo spese 134 lire e che morì annegato, pare, volontariamente; e di madre gozzuta, che dopo otto anni di infelice matrimonio, disperata, si gettò in un pozzo». Cavaglià è «alcoolista, scialacquatore, gozzuto […]», esibizionista e generoso coi compagni d’osteria mentre la madre e la sorella pativano la fame, spendaccione incontenibile, tra i 18 e 19 anni aveva colpito con un falcetto gli zii che lo rimproveravano per la sua condotta e a 22 aveva ferito un compagno d’osteria.

Cavaglià in prigione fa con indifferenza un racconto particolareggiato dell’uccisione di Gambro, cercando di negare le circostanze aggravanti. Sostiene di averlo colpito durante un litigio e non per derubarlo, quando è provato che lo ha assassinato mentre si spogliava per andare a letto. Ha utilizzato un grosso scalpello, vibrandogli parecchi colpi, e gli ha stretto una corda al collo per trattenere il fiotto di sangue che gli sgorgava dalla bocca. Ha agito vestito della sola camicia e così ha potuto facilmente eliminare le tracce di sangue, cambiando la camicia e lavandosi le mani nell’acqua presente in un secchio che aveva poi gettata nel carbone. Al mattino seguente, all’arrivo del garzone Valfrè, ha chiuso la porta della cameretta, lasciando il cadavere sul letto. Soltanto il giorno seguente ha nascosto la sua vittima nel guardaroba per avere il tempo di fuggire dall’Italia prima che il delitto fosse scoperto.

Cavaglià dà talvolta l’impressione che il suo unico scrupolo sia quello di aver rinchiuso il cadavere nel guardaroba! Finisce, però, col rendersi conto della gravità del crimine commesso, che può portarlo, se non alla pena capitale, certo ai lavori forzati a vita, ai quale preferisce la morte. Non intende poi assolutamente partecipare al dibattimento pubblico del processo. Organizza così con lucidità il suo suicidio e lo descrive con incisioni eseguite sulla brocca di terracotta che viene data ai detenuti per conservare l’acqua nelle loro celle singole, secondo il sistema di detenzione cellulare attuato alla Carceri Nuove.

Cavaglià calcola la data esatta in cui si toglierà la vita, corrispondente al centesimo giorno di detenzione nel Carcere Giudiziario di Torino: il suo suicidio avviene nella sera del 18 febbraio del 1878.

Si è impiccato con una fune molto resistente, spessa un centimetro scarso, ottenuta intrecciando dei fili tolti dalla tela del pagliericcio, insaponata e attaccata con un tovagliolo all’inferriata della finestra.

Il vicino di cella ha invano avvertito i guardiani del proposito di Cavaglià, ma questi non hanno preso provvedimenti, vedendo il suo comportamento tranquillo.

La brocca incisa da Cavaglià viene pubblicata, insieme al suo ritratto, nella seconda edizione de L’uomo delinquente del professor Lombroso (1878).

Nella parte superiore, quasi come intestazione della sua storia, si legge Fucile, il suo nomignolo. Da un lato, per dire che ha passato 100 giorni in cella per aver ammazzato e chiuso cadavere nel guardaroba il biellese Gambro, ladro, scrive le parole: giorni 100 CELLA PER quindi dipinge il Gambro nella stessa posizione in cui è stato trovato, con l’iscrizione: giovo bialese GAMBRO LADER (giovine? biellese Gambro ladro).

Dall’altro lato della brocca ha inciso: ULTIMI ECES (eccessi) e a queste parole segue una mano che indica Fusil appiccato all’inferrata della cella, con sotto la parola PACE. Sull’angolo dell’inferriata e sul cesso della cella è dipinto un uccello, nel quale ha forse voluto raffigurare il gufo, l’uccello della morte. Si vedono inoltre: la facciata d’una chiesa, la croce di Savoia e un pallone volante.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 28/08/2022