L'Abbazia di Staffarda, a Revello (CN)

Una lunga storia, dai Cistercensi all’Ordine Mauriziano

Staffarda, nel Comune di Revello (CN), è stata per secoli una abbazia cistercense. L’ultimo passaggio di proprietà la fa approdare all’Ordine Mauriziano, nato nel 1572 dalla fusione dell’Ordine di San Maurizio e dell’Ordine per l’assistenza ai lebbrosi di San Lazzaro (1).

La sua storia inizia nel XII secolo: nel 1122 il Marchese di Saluzzo Manfredo I del Vasto (2) assegna il territorio ai monaci cistercensi, per rendere bonificare e rendere coltivabile quel che era soltanto bosco e palude. Il monastero nasce, fra il 1122 e il 1138, dove si trovava una antica cappella dedicata alla Madonna. Grazie al lavoro dei Cistercensi (3). Quando iniziano i lavori, nell’Italia del nord esistevano già abbazie cistercensi (Tiglieto, Lucedio, Busca), a cui seguiranno Casanova e Rifreddo.

Staffarda diventa in breve tempo un centro di scambi commerciali, come testimoniano ancora la loggia del mercato, l’ospizio per i pellegrini e le scuderie. Nel 1690 i Francesi, guidati dal generale Catinat, invadono l’abbazia distruggendo l’archivio, la biblioteca, parte del chiostro e del refettorio; dal 1715 al 1734, con l’aiuto finanziario di Re Vittorio Amedeo II, vengono effettuati lavori di restauro che in parte ne altereranno le originali forme gotiche. Nel 1750 l’abbazia è affidata “in commenda perpetua” all’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro da una bolla di papa Benedetto XIV e nel 1846 cessa la vita monastica al suo interno. Oggi non si svolgono più funzioni religiose, si può visitare (con l’ausilio di una doviziosa audioguida) come una testimonianza del passato e un complesso monumentale ricco di storia, uno scrigno di arte. Già all’esterno, tra la chiesa e la foresteria, mi colpiscono due cippi in pietra: il destro è inciso con una lettera M onciale, il sinistro riporta una croce che ricorda quella dell’Ordine di Malta (alcuni studiosi ipotizzano un omaggio a Manfredi, donatore del luogo).

Dall’esterno si ammira la semplice facciata della chiesa, appesantita da lavori novecenteschi, preceduta da un portico a cinque campate. Ad un occhio più attento ai particolari non sfuggirà qualche elemento di mistero al suo interno, tanto che Staffarda potrebbe essere definita una commistione di arte e geometria sacra. Al di sopra dell’antico portale di ingresso, poi murato, si nota una croce bianca incavata, simbolo di luogo sacro, nelle fattezze templari.

Il chiostro era riservato ai monaci capitolari e precluso ai conversi (4). Questi ultimi, pur vestendo un abito da frate, non avevano formulato i voti religiosi ed erano addetti ai lavori più umili; in passato era una condizione comune, specialmente per le persone illetterate che volevano entrare in un convento. Un esempio letterario famoso di converso è Fra Galdino ne I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.

Il laboratorio era un immenso locale effervescente di attività: alla base di ogni lavoro svolto vi era la convinzione di dover fare bene, perché ogni lavoro si fa per Dio, prima che per gli uomini.

Il refettorio era un ambiente austero e semplice, con i suoi lunghi tavoli; non si indulgeva nell’alimentazione (vietati vino e carni). Vi è rimasto un affresco raffigurante “L’ultima cena”.

La sala capitolare rappresentava il luogo più solenne, dove si assumevano le decisioni sulla vita abbaziale e si eleggeva l'abate; qui ogni giorno si leggeva un capitolo della Regola dell’Ordine. Nel Medioevo l’abate era considerato il “braccio destro di Dio” e la sua figura doveva incarnare autorità e carisma. Il Capitolo può essere considerato il primo esempio di democrazia rappresentativa in Europa (di certo in ambito ecclesiastico), in quanto il voto di ogni monaco aveva lo stesso valore.

Un altro mistero si incontra ad una parete del chiostro, dove è appeso un osso dalle incerte origini, che ha fatto scrivere molto, insieme al ritrovamento di una iscrizione del Cinquecento…  Non sappiamo cosa sia o da dove provenga quell’osso, che è stato considerato una costola di drago (in realtà doveva appartenere ad un cetaceo, forse portato a Staffarda come ex voto o allo scopo di produrre un effetto “mirabilia” sui visitatori).

Entriamo in chiesa, dove si prova subito un senso di armonia. Qui scopriamo una ulteriore curiosità: irregolarità e asimmetria, ogni elemento è diverso dagli altri, non se ne trovano due uguali (colonne, capitelli, distanze fra i pilastri, le sezioni delle finestre). Perché una tale “armonica disarmonia”? Su questo aspetto si è scritto molto. Una risposta tecnica potrebbe venire da Umberto Cordier, nel suo Dizionario dell’Italia misteriosa: “una struttura formata da elementi uguali e e intervallati con precisione è più vulnerabile alle sollecitazioni dinamiche, come quelle dei terremoti, mentre un insieme di spazi e di misure anche leggermente incongruenti (…) fornisce maggiori resistenze a spinte e torsioni strutturali”. Se così fosse, perché dunque l’architetto D’Andrade avrebbe irrobustito i fianchi della chiesa con archi rampanti in muratura? Può darsi che i costruttori volessero esprimere un messaggio per i posteri? Il gioco degli inganni architettonici esprimerebbe la fallibilità umana, gli stessi inganni dell’apparenza nell’esistenza terrena, uniti al concetto secondo cui soltanto Dio, a cui ogni chiesa tende, rappresenta la perfezione.

Ancora in chiesa, una lapide muraria del 1716 ricorda Vittorio Amedeo II Re di Sicilia (in quella breve transizione, dopo la Pace di Utrecht, che porterà l'ex Ducato di Savoia a diventare il Regno di Sardegna).

Questa visita è una vera e propria fuga nel tempo, perché immerge il turista nel clima medievale che ancora impregna gli ambienti: è facile lasciarsi conquistare dalle suggestioni, dalle sensazioni che ciascuno può provare di fronte alla luce e all’ombra del monastero, sull’onda di qualche mistero che nessuno storico ha saputo sinora svelare e che, nel caso di Staffarda, forse rimarranno per sempre insoluti.

 

Note

(1) Nel 1571 Giannotto Castiglioni (1532 ca. – Giaveno 1571), Gran Maestro dell'Ordine di San Lazzaro, rinuncia alla carica a favore del duca Emanuele Filiberto di Savoia. Dopo la morte di Giannotto, il duca ottiene dal pontefice Gregorio XIII di poter riunire i cavalieri italiani di San Lazzaro, con l’Ordine di San Maurizio. Il papa, con Bolla del 13 novembre 1572, nomina gran maestro lo stesso duca e i suoi successori in perpetuo. Il duca ne notifica l'organizzazione ai suoi sudditi il 22 gennaio 1573.

(2) Manfredo I è figlio di Bonifacio del Vasto. Eredita indivise, con altri sei fratelli, le terre paterne; per avere eletto a sua dimora Saluzzo è considerato il primo Marchese con questo titolo, benché egli portasse, come i fratelli, il solo titolo di marchese, senza specificazioni. Muore nel 1175.

(3) L’ordine monastico cistercense è legato alla fondazione del “novum monasterium” sorto a Cîteaux (in Borgogna nel 1098 per iniziativa di Roberto di Molesme, insieme ad Alberico e Stefano Harding, nell'ordine i primi tre abati. La nascente comunità si proponeva di trovare un nuovo punto di equilibrio tra gli elementi della vita monastica: liturgia, lectio divina (lettura spirituale, meditazione, preghiera individuale) e lavoro. La Charta Caritatis, costituzione dell'Ordine cistercense, subisce una lunga evoluzione dal 1119 - anno dell'approvazione pontificia – al 1190 circa. Essa doveva servire ad assicurare i rapporti tra i monasteri: vi si ordina che siano indipendenti, ciascuno sui iuris, e autosufficienti anche economicamente, secondo un criterio di tipo federalistico; nello stesso tempo si richiede di rispettare la Regola di san Benedetto. Un fattore innovativo è l'istituto della filiazione, che conferiva a ogni abbazia parità giuridica nei confronti di tutte le altre, compresa l'abbazia madre, e dall'istituto del Capitolo Generale, che affidava la guida dell'Ordine all'assemblea degli abati; un controllo era assicurato anche dal principio della visita annuale a ciascuna abbazia figlia da parte dell'abate dell'abbazia madre. La fortuna dell’Ordine sarà la Bolla, del 1132, di papa Innocenzo II che, in segno di gratitudine verso san Bernardo, dichiarava che nessuno avrebbe mai dovuto riscuotere decime dalle abbazie dell’Ordine Cistercense.

(4) La figura del converso riceve una nuova interpretazione dai Cistercensi; già previsti in altre famiglie religiose, i conversi assunsero presso di loro un'importanza nuova, tanto da fruire di normative giuridiche specifiche negli “Usus conversorum”.

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Articolo pubblicato il 16/09/2022