Il libro perduto di Speranza

Trovare insegnamenti da un testo introvabile

Il caldo e l’ozio di agosto inducono talvolta imperdonabili tentazioni. Anche a chi scrive è successo di dedicare un paio di pomeriggi ad una lettura assai poco raccomandabile ma istruttiva, soprattutto se si tiene conto che il testo in questione è stato scritto nel 2020 in pieno delirio pandemico, e poi misteriosamente ritirato ancor prima di finire in libreria.

Parlo naturalmente del libro di Roberto Speranza Perché guariremo. Dai giorni più duri ad una nuova idea di salute. Il volumetto, come noto, è praticamente introvabile ma il vero bibliofilo sa percorrere strade occulte in grado di portarlo alla meta. E poi il fascino del proibito gioca una sua parte non indifferente.

Fatto sta che ho potuto leggere il testo del Ministro della Salute che, pur nella sua fondamentale inconsistenza, è molto interessante in quanto rivela una certa mentalità del politico di sinistra, soprattutto se vista retrospettivamente, riferendosi la pubblicazione a fatti e situazioni ormai superati e quindi giudicabili col senno di poi e sulla base di nuovi accadimenti e diverse prospettive.

Intanto la tendenza auto-assolutoria: le pagine di Speranza sono una lunga e ripetitiva sequela di autocertificazioni. Il Ministro non ha sbagliato nulla, non ha commesso errori, tutto il suo lavoro è stato ispirato alla tutela della popolazione e al bene del paese.

Speranza, con un fanciullesco impeto narcisistico, dipinge di sé un autoritratto celestiale da cui emerge un uomo pieno di ideali, di visioni, di passione civica, e soprattutto di una filantropica volontà di salvare i suoi simili da una minaccia mai vista in precedenza. Qua e là (le esigenze narrative lo impongono) il Ministro-scrittore fa poi emergere sapientemente la sua umanità: le notti in bianco, gli scorci di vita famigliare, i ricordi giovanili, i ritratti deamicisiani di collaboratori pieni di entusiasmo e di spirito di sacrificio, i turbamenti morali, le esitazioni decisionali.

Tutto soffuso in una tinta narrativa da romanzo impegnato. È tutto vero, ma solo da un punto di vista soggettivo: non c’è nulla della tragedia vera e bruciante delle migliaia di persone private della libertà, del lavoro, degli affetti. Non c’è nulla del disastro economico in cui è stata trascinata un’intera nazione, della paura del futuro, della paura del prossimo. C’è solo il mondo della politica e dei suoi contorcimenti, il mondo dei decisori, il mondo superiore di chi la pandemia l’ha vista dai piani alti delle istituzioni.

Ma soprattutto non c’è un accenno alle terapie sbagliate che, assieme al virus, sono state molto probabilmente corresponsabili di migliaia di morti. Non una parola su “tachipirina e vigile attesa”, vera bestemmia medica e umana, di cui Speranza è stato il più ferreo e cieco impositore. Non una parola sulle terapie alternative che, nell’ostentata indifferenza e spesso nella esplicita ostilità del Ministro e dei suoi consiglieri, contribuivano a salvare vite.

Non una parola sulle tantissime personalità scientifiche, filosofiche, giuridiche -da Montagnier a Doshi, da Agamben a Cacciari, da Mattei a Vattimo a Lottieri- che esprimevano dubbi o contrarietà sia sul piano della scienza, sia su quello della politica, sia su quello dell’etica.

Eppure il libro viene fuori nell’ottobre del 2020 quando tutte queste opinioni critiche o contrarie stavano già emergendo o erano già emerse; ma per Speranza il mondo oltre i muri del suo ministero, oltre le videoconferenze con i suoi omologhi europei, oltre i camici bianchi dei suoi consiglieri, semplicemente non esisteva. Esisteva solo la buro-scienza dei suoi collaboratori, della medicina e della ricerca ufficiali.

Ma quello che si percepisce come più insopportabile, nelle pagine del Ministro-scrittore, è la convinzione che il suo lavoro sia stato un esempio per il mondo, che tutti -soprattutto in Europa- abbiano imparato da noi come si gestisce una pandemia di ignote e terribili dimensioni. Ancora una volta, nella mente di Speranza, l’Italia ha prodotto un nuovo Rinascimento, mentre gli altri ancora balbettavano nel loro medioevo sanitario.

Oggi, con l’esperienza dei due anni successivi, con un’Italia che conta più morti delle altre nazioni europee, le parole del libro risultano semplicemente patetiche, e il suo ritiro dal mercato è stato sicuramente una fortuna per l’autore, per l’editore e, probabilmente, anche per il prestigio delle istituzioni sanitarie.

“Certo”, scrive ancora il Ministro, “il vaccino dovrà essere sicuro prima di arrivare ai cittadini (...) Ci sono regole e procedure che vanno rispettate. Nessuna autorizzazione sarà data senza la massima sicurezza per le persone”. Evidentemente, nella sua mente, non erano ancora entrate espressioni come “effetti avversi” o “autorizzazioni in via emergenziale” che oggi segnano drammaticamente, e spesso tragicamente, l’esperienza vaccinale.

Nel paese delle meraviglie cantato da Speranza mancavano cioè troppi elementi, troppe conoscenze, troppe evidenze, perché potesse essere preso sul serio e, come già detto, il ritiro della pubblicazione è stato una vera fortuna per tutti, o quantomeno per molti. Scrivere un libro che vuole anche essere di scienza, a fronte di una scienza che evolve rapidamente, è pericolosissimo, ma evidentemente, per Speranza, il pericolo era, ed è ancora, un piacevole mestiere viste le nubi che si stanno addensando sul suo capo e che hanno la forma di una prossima commissione di inchiesta e di alcuni possibili procedimenti giudiziari.

E, a proposito di scienza, il libro di Speranza è veramente un vessillo della concezione che la sinistra ha dell’universo scientifico e della loro simbiosi ideologica. Perché guariremo è un monumento a quell’ideologia per cui la scienza è solo ed esclusivamente quella ufficiale, quella accademica, quella della peer review, quella delle riviste specializzate, quella dei congressi e dei convegni, quella degli ordini professionali e dei protocolli sanitari, quella dei Burioni dei Vespa dei Mentana dei Sileri e dei Ricciardi.

Oltre la siepe dell’ufficialità scientifica c’è solo il buio della stregoneria. Una scienza alla Piero Angela, patinata e sapientemente popolare, tutta intransigenza positivista, educatamente sprezzante dell’inconoscibile, invadente e invasiva degli schermi televisivi, sottilmente totalitaria nel suo rifiuto di ogni alternativa a sé stessa.

Una scienza così non può che piacere molto alla sinistra, tant’è vero che Letta se ne è appropriato persino sui manifesti elettorali dove -ovviamente- la contrappone agli istinti irrazionali e primordiali di una destra sotto-acculturata.

E’ dunque un bene che il libro di Speranza sia scomparso dagli scaffali?

Per un certo verso sì, perché se fosse rimasto in circolazione, alla luce degli eventi successivi, avrebbe costituito la prova provata dell’inadeguatezza e della fragilità di un ministro. Dall’altro, è un peccato che tante banalità, tanti pregiudizi, tante dissonanze cognitive che caratterizzano la sinistra, allora come adesso, abbiano perso il loro piccolo manuale, un manuale che potrebbe ancora oggi costituire un prezioso inventario dei tic e delle manie della “sinistra senza tempo” che non ha nessuna voglia di cambiare.

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 01/09/2022