Extraprofitti: requiem per i diritti del contribuente

Le sanzioni eccezionali del governo, saranno applicate ai soggetti economici che non versano totalmente le imposte entro il 30 novembre. Abbandonati gli istituti di garanzia.

In questa bislacca campagna elettorale, ci capita di ascoltare affermazioni lanciate per caso e senza alcuna verifica e costrutto. Quando le panzanate di politicanti ed addetti ai lavori citano azioni e comportamenti discendenti da normative di carattere fiscale, è bene prestare attenzione per non finire nel becero e deleterio qualunquismo.

Ci riferiamo in particolare alle demagogiche disposizioni governative sui c.d extraprofitti.

E’ scaduto il 31 agosto, il termine entro il quale le imprese del settore energetico che non hanno versato l’acconto sull’imposta straordinaria sugli “extraprofitti” potranno ravvedersi. Se non lo hanno fatto, il decreto aiuti-bis del 9 agosto raddoppia le sanzioni e priva i contribuenti dei consueti strumenti che l’ordinamento mette a disposizione per aggiustare la propria posizione fiscale, disponendo oltre tutto un piano di verifiche a tappeto da parte della Guardia di finanza e dell’Agenzia delle entrate.

Così – purtroppo, non è una sorpresa – un balzello arbitrario e distorsivo produce un’attuazione perversa e fa venire meno le tutele dei contribuenti. Come sempre, una violazione dello stato di diritto ne genera altre.

La tassa era stata introdotta, con un’aliquota del 10 per cento, dal decreto Ucraina-bis di marzo. Durante l’iter di conversione, senza una spiegazione e senza alcun approfondimento, l’aliquota era stata elevata di due volte e mezzo, fino al 25 per cento.

Poiché la base imponibile non è costituita dagli utili delle imprese energetiche, ma dalla differenza nei saldi Iva tra due periodi (ottobre 2021-aprile 2022 contro ottobre 2020-aprile 2021), di cui il secondo in gran parte coincidente con una fase di lockdown, l’impatto sui bilanci delle imprese non ha quasi alcuna relazione coi profitti effettivi, e in alcuni casi può rivelarsi non più sopportabile.

Alla scadenza dell’acconto (30 giugno), però, si è scoperto che il gettito dell’imposta è stato molto inferiore ai quasi 11 miliardi preventivati: poco più di un miliardo. Questo è dovuto probabilmente a una sovrastima iniziale, ma anche – e forse soprattutto – alla scelta di molte imprese di non versare l’imposta nell’attesa dell’esito dei ricorsi, nella convinzione che il balzello finirà per essere giudicato incompatibile con i diritti costituzionali.

Ecco allora che il governo è intervenuto nuovamente con ferocia. Chi non regolarizza la propria posizione adesso, e non versa integralmente il saldo entro il 30 novembre, vedrà venire meno i principali istituti di garanzia e anzi sarà soggetto a sanzioni eccezionali.

Infatti, il decreto aiuti-bis esclude gli strumenti di agevolazione connessi ai ritardati pagamenti quali il ravvedimento operoso e anzi raddoppia la sanzione ordinaria, dal 30 al 60 per cento.

Si tratta di un atteggiamento arrogante e punitivo che considera il contribuente – in questo caso le imprese del settore energetico – sempre e solo un delinquente, ignorando le garanzie previste dall’ordinamento.

L’idea di fondo è che qualunque atto del governo è giusto per definizione, e guai a chiedere una verifica dei suoi presupposti o della sua sostenibilità.

Ancora una volta, la politica fiscale sembra trovare il fondamento della sua autorità non già nella Costituzione e nella legge, ma nei beceri diktat di una sinistra forcaiola ed arrogante.

Attenzione il principio invocato oggi per le grandi imprese dell’energia, potrebbe estendersi a tutti i cittadini.

Letta e i gruppuscoli alla sua sinistra non attendono altro.

Continuiamo tenacemente a difendere la libertà di intraprendere con le garanzie connesse!

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 06/09/2022