Le immagini forti di bambini sofferenti propinate dalle ONLUS negli spot in TV. Una disputa di lunga data

Moltissimi spettatori sono contrari e la legge è a sfavore. Analisi e opinioni

Premessa

La televisione è quel magico congegno che dal 3 gennaio 1954 interagisce con usi e costumi della popolazione, informando, intrattenendo e dai tempi di Carosello, stimolando i desideri dei consumatori attraverso una nuova forma animata di propaganda commerciale.

Tempi di italiani semplici e di una TV in bianco e nero elegante e raffinata, scrigno di magia, di spettacoli, di giochi e di cultura. Solo due telegiornali: notizie chiare e concise gestite con mestiere da giornalisti senza eguali. Infine, dopo cena, Carosello aggregava la famiglia: réclame, ritornelli, personaggi e storielle ancora impresse nella memoria di chi c’era.

Il tempo che doveva passare ha cambiato molte cose e la pubblicità si è fatta ossessiva, martellante, talvolta crudele. Tra raffiche di materassi, detersivi e merendine, spuntano bambini afflitti da gravi malattie genetiche o in fase terminale. Ansimanti testimonial per raccolte fondi che colpiscono allo stomaco i telespettatori ad ogni ora e per troppe volte al giorno.

La polemica sul tema non è cosa di questi giorni, ma risale a numerosi anni addietro. Molti dei filmati sono riciclati e riproposti a intervalli di diversi anni.

Alcuni link:

http://www.ligurianonprofit.it/index.php/terzo-settore/303-polemica-sullo-spot-di-save-the-children

https://www.donnecultura.eu/?p=23559

Dunque, questa pagina d’opinione non certo originale, è scaturita dalla annosa, plurima questione: è legale e giusto adoperare “immagini forti” per raccogliere fondi destinati a pur nobili cause? E infine: chi garantisce l’effettiva, virtuosa gestione dei fondi da parte delle associazioni?

Tra bufale e verità, tra stipendi dei dirigenti e vari investimenti, la destinazione e l’impiego di numerose donazioni è stato oggetto di dibattito già da tempo e su numerosi fronti. Anche in questo caso, sul Web c’è di che approfondire.

Alcuni link:

https://italianonprofit.it/enti/filtro-beneficiari-bambini-(2-10)/

https://back.telethon.it/uploads/2019/10/Telethon_BilancioEsercizio_web_2015.pdf

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2018/10/28/donazioni-unicef-c-il-66-finisce-ad-una-societa-privata/4724902/

La correttezza delle immagini e non solo

Una delle prime regole formulate Dall’Ordine dei Giornalisti è quella di salvaguardare l’identità del minore, evitando di renderne pubblico il volto alla ricerca di uno “scoop forte”, qualsiasi esso sia.

Da alcuni anni invece, pur stimate ONLUS ne fanno una regola che sa di abuso, mostrando bambini divorati dalle peggiori sofferenze. Lo scopo dichiarato è di ottenere 9, 10 € al mese da ogni utente carpito e stimolato nella sfera più emotiva da un’immagine straziante.

Alla fine degli anni 70 ho lavorato come copyright in una nota agenzia pubblicitaria torinese. Da allora mi sono rimaste impresse le prime parole che mi tramandò l’esperto titolare: “ricordati che lo scopo della pubblicità è di creare un bisogno a chi non ce l’ha, fino al punto di far stare anche male”.

Mai come in questi casi la subdola arte del copywriter ha colpito nell’intento. Volti di bambini ammalati e senza scampo, altri coperti di mosche, occhi grandi, pance gonfie, pelle marrone e madri senza più lacrime, mentre la voce di sottofondo dell’esperto narratore, ribadisce, descrive sofferenze, soprusi, violenze in un mondo di bimbi, di fame e siccità, tanto quanto nelle nostre ricche città.

La regia televisiva del “DONA ORA”, da anni segue sempre la medesima sequenza, sia nel caso di carestie, di violenze o di nostrane, crudeli malattie. Il sollecitato senso di umanità, o forse di colpa indotta, offre la remissione: “con 9 € al mese TU potrai contribuire a salvarli!” Numero verde, 1 × 1000, fino a un lascito testamentario… Dunque, la collaudata regia funziona, e forse è un bene, e forse è un male.

Tutto è diventato lecito per la TV, seducente barattolo zeppo di canali, uno per il sollazzo di ogni utente, dalle ricette al Rosario di Maria, fino alla pornografia, alla morte cruda in diretta, a un lessico volgare specchio dei nostri tempi. C’è tutto in un bazar d’ogni paccottiglia, compresi gli spot di suscitata carità sparata attraverso lo schermo piatto senza compromessi.

Si potrebbe esercitare diversamente una campagna per la donazione?

Stabilito che volontariato e ricerca sostengono il mondo, che la crisi alimentare e sanitaria nel Sahel, come in molte aree del mondo sia drammatica, che ogni malattia genetica sia un argomento alquanto delicato e che molte, storiche associazioni svolgano un lavoro insostituibile, da anni e da più rilevamenti, la risposta è unanime: se le raffiche di DONA ORA in orario di punta (durata media 70’’, riproposti anche ogni 10 min.), fossero articolate in modo meno aggressivo, ma più esplicativo, la spinta a spegnere il video sarebbe annullata, generando un interesse molto più sentito.

Non è questo un moralismo spicciolo, non è paternalismo, non è bigotteria, ma un’analisi di ciò che è concesso in questi tempi di feroci controsensi studiati a tavolino per confondere, dividere, plagiare e pilotare la società.

Per quanto se ne dica, la TIVÙ la guardano in tanti. A seconda delle agenzie di rilevamento, il piccolo schermo è il “medium” che raggiunge dal 92% al 97,3% della popolazione italiana, di cui l’80% segue regolarmente i TG (rilievi Auditel), anche se numeri e tempi di connessione sono in calo, soprattutto da parte delle classi giovanili, assorbite dai social network.

In teoria, secondo la legge Gasparri del 2004, sulle reti Rai la pubblicità non può superare il 12% della messa in onda, mentre per la TV commerciale sale al 18%. Dati manipolabili, infatti, la percentuale è salita del 43% con relativo aumento degli investimenti. Dunque siamo molto oltre.

Calcolando che un budget di marketing aziendale prevede un investimento compreso tra il 10 e il 20% del fatturato, quale dev’essere il ritorno di un’intera campagna pubblicitaria? (Una “tipo”, di 30 secondi costa da 250.000 euro in su).

Dalla statistica è emerso che, di fronte alla vista straziante di un bambino ammalato e alla disperazione delle famiglie, molte persone cambiano canale per non stare male. Il peggio emerge dalle giovani coppie: tra brutte notizie sul futuro del mondo e la pubblicità devastante, la voglia di procreare è calata in modo importante e la paura è giustificata.

Da qui in avanti il dibattito è aperto. L’autore ci tiene a precisare di essere invalido da tempo e molto attivo nel mondo dell’handicap, presidente e socio onorario di associazioni attive verso molte patologie in modo silenzioso e costruttivo, dunque, chi scrive è in prima persona partecipe di molte verità.

Tanto altro ci sarebbe da dire sulla TV del millennio che ordina e dispone, e sull’invasione di altri spot pilotati da un disegno inafferrabile che dall’alto di un oscuro Olimpo gestisce e dirige “il tutto” senza più regolamenti.

L’opera di un malefico regista sta perfezionando il suo sinistro recital globale? Se così fosse, la televisione è un insostituibile palcoscenico globale, tradotto in ogni lingua e sul quale recitare in ogni angolo del mondo.

“Così è se vi pare” (Luigi Pirandello)

 

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Articolo pubblicato il 11/09/2022