Eugenio di Savoia e la campagna di Bosnia (terza parte)

Continuazione e termine della campagna

Di Luca Guglielmino

Leggi qui la prima e la seconda parte del lavoro.

 

Eugenio di Savoia è sul campo, in piena azione di guerra.

Circa 7.000 uomini (artiglierie, logistica e truppe confinarie) in 25 giorni, dal 13 ottobre all'8 novembre 1697, effettuarono un raid in Bosnia fino a Sarajevo e ritorno, coprendo 250 chilometri all'andata e 250 al ritorno.

Gli unici nemici veri furono la stagione inoltrata e lo stato pessimo delle strade, come detto nella seconda parte. Eugenio passò per Doboj, Maglaj, Žepca, Vranduk Zenica, Kakanj, Semizovac e Sarajevo.

Maglaj venne conquistata senza resistenza, all'interno del forte vi erano 200 soldati, due beg (1) e cinque aga (2). Tale fortezza venne minata e fatta saltare da Eugenio al ritorno Brod. Žepca venne presa e data alle fiamme: queste notizie del 1697 paiono essere le prime fonti storiche importanti sulla cittadina al centro della Bosnia, che nel corso del XVIII secolo venne fortificata.

Vranduk non venne presa a causa delle difficoltà create da un eventuale assedio ed Eugenio passò oltre (era evidentemente un problema di posizione e non di valore delle truppe che presidiavano la città, le quali si astennero dall'inseguire il Savoia che non perdere tempo su un obiettivo secondario).

Il 21 ottobre 1697 Eugenio è a Zenica, che trova deserta e incendia. I turchi avevano incendiato il ponte di legno sul fiume Bosna che Eugenio attraversò con un ponte di barche.

Kakanj fu l'unica località ove l'esercito imperiale trovò un minimo di resistenza organizzata, che fu vinta.

Infine, Sarajevo. Il nome turco vuol dire “palazzo o castello vicino alla pianura” (saray+ova?i). Qui venne mandato innanzi, il 22 ottobre, un messo militare con un trombettiere per leggere un proclama ai cittadini. Il 23 ottobre, a un'ora e mezza da Sarajevo, Eugenio incontra il militare ferito che lo informa che il trombettiere era stato ucciso.

Il contenuto della lettera è ben riportato da una fonte croata che, tradotta in italiano (l'originale era probabilmente scritto anche in turco), suona così:

Noi, Principe Eugenio di Savoia e Piemonte, Cavaliere del Toson d'Oro e feldmaresciallo di Sua Maestà l'Imperatore del Sacro Romano Impero, Re ungherese e ceco, Comandante in Capo di un Reggimento Dragoni, Comandante in Capo dell'Esercito, che è in guerra contro la Porta Ottomana, portiamo a conoscenza dei maggiorinti e di tutti gli abitanti che, per Grazia di Dio, con questo stesso esercito abbiamo dovuto affrontare il grande Sultano nel campo vicino a Senta sul Tisza l'11 settembre di quest'anno.

Siamo qui in provincia di Bosnia vicino alla nobile città di Sarajevo, con le truppe vittoriose di nostra Maestà Imperiale e Reale, nostro misericordioso Signore, abbiamo fortunatamente conquistato tutte le fortificazioni che abbiamo incontrato e con il minor numero di ostacoli al nostro progresso ulteriore, quindi abbiamo raggiunto la pianura.

Perché non siamo venuti in questo paese con l'intenzione di sacrificare più sangue umano con le giuste armi imperiali, ma anche per coloro che cercano misericordia e vogliono obbedire all'Imperatore Romano e per prenderci cura del loro amore e del loro riguardo, abbiamo deciso invia questa lettera con speciali considerazioni verso Sarajevo.

Se volete salvarvi dal male, mandateci uno o più emissari, ma subito, perché altrimenti continueremo la nostra campagna senza esitazioni e non terremo più in conto nulla, non ci sarà il tempo infatti di accordarci quando con il nostro esercito ci avvicineremo. Vi abbiamo avvertiti in buona fede, ma dichiariamo che se tali avvisi non vengono ascoltati e se si persevera oltre, la nostra bontà sarà messa soggetta all’austerità e quindi distruggeremo tutto con la spada e con il fuoco.

Né risparmieremo il bambino nel grembo materno poiché è già pronta l’artiglieria pesante. Nessuno si lasci ingannare dalla flebile speranza di una resistenza, perché ricordiamo ancora bene quanto sangue ottomano è stato sparso in questa campagna e come sono stati trattati in questi giorni coloro che hanno resistito alle nostre potenti armi, tanto che il sostituto del pascià di Bosnia è dovuto fuggire. 

Ribadiamo il nostro ammonimento nei vostri confronti e vi assicuriamo che forniremo una scorta sicura a coloro che verranno inviati" (il testo è tratto da: Vlado Jagustin - “Uzrok nestanka modri?kog samostana u ratu 1683.-1699. god. La causa della scomparsa del monastero di Modri?a nella guerra del 1683-1699 - 20 velja?e - febbraio 2010).

Sia pure in una durezza estrema, viene offerta una via d’uscita che i turchi non accetteranno.

Eugenio conosceva bene l’avversario e non si comprende bene per quale motivo i turchi qui preferirono il ruolo delle vittime, se non con il fatto che, prendendo a pretesto il massacro e il saccheggio, non volessero alla fine firmare la pace. Egli ricorre anche alla propaganda delle artiglierie pesanti (solo due cannoni).

Il 23 ottobre Eugenio dispose le truppe sulle alture che circondano la città e inviò distaccamenti di saccheggiatori: anche se i turchi avevano già portato in salvo gli oggetti più preziosi, fu fatto molto bottino. Sul far della sera fu appiccato il fuoco. Sarajevo possedeva 120 moschee e 30.000 abitanti, era già una grande città. Nel Journal Eugenio scrive:” On a bruslé la ville entierement et tous les environs … la confusion est terrible parmi les Turcs et pou peu qu’il eut de dispositions faites le royaume se pouroit occuper et garder”.

Il 24 la città ardeva assieme ai suoi sobborghi. Gli incursori inseguirono i turchi in fuga, fecero altro bottino e portarono indietro donne e bambini, dopo aver ucciso diversi turchi.

Molti cristiani chiesero di entrare nel campo imperiale e seguire l’esercito di Eugenio fino in Slavonia, con i loro averi. Si ritiene siano stati almeno 40.000, tanto che lo stesso Principe afferma” Spero di poter portare tutti i cristiani di questo Paese al di là della Sava”. (fogli 10v e 11r (Citato pure in G. Mraz- Prinz Eugen: sein Leben, sein Wirken, seine Zeit- Vienna 1985 –p. 40) (3).

Ad ulteriore precisazione (e contestazione sul piano storico) non è esatto ciò che afferma Noel Malcolm in “Storia della Bosnia” - Bompiani- 2000 p.129, cioè che Eugenio non volesse conquistare la Bosnia ma solo saccheggiarla. Un po’ poco se gli Asburgo tramite emissari ragusei, tra il 1688 e il 1689, contattarono famiglie influenti di Sarajevo, promettendo loro libertà religiosa in caso di conquista e annessione della Bosnia. Dodici famiglie risposero affermativamente, perché da sempre Sarajevo e la Bosnia avevano una posizione autonoma rispetto a Istanbul. Non se ne fece nulla; ma nel foglio 10v del Journal c’è un’osservazione di Eugenio che smentisce Noel Malcolm: “I turchi furono completamente sbaragliati e, se avessimo preso tutte le misure appropriate, avremmo potuto facilmente occupare l’intero Paese e mantenerlo”.

È chiaro che Vienna non volle raggiungere il massimo scopo, accontentandosi del minimo risultato. Sulla via del ritorno, un distaccamento imperiale, al comando di Johann Ferdinand Kyba barone di Kinitzfeld, deviò da Maglaj per Tešanj, che bombardò e conquistò mettendo in fuga gli abitanti. Le truppe imperiali raggiunsero gli accampamenti invernali in Slavonia e il ritorno si effettuò nell’umido autunnale delle foreste slavone fino a Djakovo e Osijek. Le perdite registrate dall’esercito imperiale furono di 40 uomini. Su idea di Eugenio, a Brod venne costruita una fortezza a partire dal 1715 poiché prima vi era solo un campo trincerato; a Osijek, invece, una fortezza venne iniziata nel 1712.

Il diario del principe sabaudo è sobrio e matematico, non contiene accenni letterari e neppure intimi. Egli è un professionista che scrive un rapporto militare e allo stesso tempo un promemoria per un’eventuale successiva evoluzione della scena di guerra. Il diario, scritto in francese, è conservato al Kriegsarhiv di Vienna: è un quadernetto di 34x22,5 cm, possiede 16 fogli per 32 pagine in toto senza titolo (successivamente posto da altra mano, in tedesco).

Accluso a questo vi è un album di disegni inerenti la campagna e i luoghi citati nel diario. L’argomento è stato approfondito da Jozo Džambo nel suo breve saggio: “Iz prve ruke o vojnom pohodu Eugena Savojskog na Bosnu 1697” “Testimonianza diretta della campagna militare di Eugenio di Savoia in Bosnia 1697” - eseji VI- saggio VI. Vi è un titolo in tedesco seguito da uno in francese incompleto e dalla fusione dei testi, in italiano risulta: ”Anno 1697 - Altro libro (tedesco) e secondo libro (francese) che contiene il seguito delle marce e degli accampamenti nel Regno di Slavonia e in Bosnia fino a Sarajevo e ritorno, dopo la battaglia di Zenta, non comprendente tutto l’esercito ma solo le truppe scelte e i volontari sotto il comando di S.A.S. il Principe Eugenio di Savoia.”

Sono citati e disegnati 27 luoghi con il nome tedesco, in due raccolte o versioni della stessa cosa che potremmo denominare A e B, una titolata appunto in tedesco e l’altra in francese.

Il frontespizio reca cartigli in stile barocco. Il contenuto corrisponde ai luoghi citati nel Journal o Diario. Sono disegni successivi dei luoghi percorsi in andata e ritorno, durante la campagna di Bosnia, ove nella pagina a destra figura un disegno e in quella di sinistra una didascalia descrittiva dettagliata dello stesso.

Chiuderemo con la prossima puntata lo studio sulla campagna di Bosnia condotta dal Principe Eugenio, con un ultimo approfondimento storiografico, anche rispetto ai rapporti fra il Principe e l’Imperatore e la Corte di Vienna.

Luca Guglielmino

(fine terza parte – continua)

 

Note

(1) Beg significa signore, in genere vassallo turco, si usa anche per un comandante militare.

(2) Gli Aga erano capi militari, in genere analfabeti; quelli che sapevano leggere ed erano scrivere detti efendi.

(3) I cristiani erano croati cattolici e molti erano mercanti e lungo la via del ritorno se ne unirono molti altri. Costoro non fecero mai ritorno più in Bosnia ed è facile comprendere il perché oggi i croati siano minoranza in Bosnia.

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Articolo pubblicato il 20/09/2022