Elezioni: L'Impero del Brasile diviso fra due fronti

Il Brasile è da sempre potenzialmente un Impero, ma è lacerato al suo interno.

La Repubblica Federale del Brasile va al ballottaggio. Il risultato elettorale non ha restituito una vittoria netta ed è tutto rimandato al 30 ottobre.

Parlare di Brasile non è semplice. Stato pieno di contraddizioni e di pulsioni geopolitiche contrapposte. Unico Paese, insieme al Messico, ad essere nato Impero prima ancora che Nazione. Già, perché il Brasile storicamente nacque quando il Regno del Portogallo fu invaso da Napoleone. La corte dei Braganza si trasferì dalla Lisbona occupata a Rio de Janeiro, e da allora nacque l’Impero del Brasile, ovvero quel che rimaneva dell’antico Impero coloniale portoghese in esilio. Morto Napoleone, con la Restaurazione, i Braganza tornarono a Lisbona, ma il sentimento di Imperio rimase in Brasile, e con esso la volontà di essere indipendente dalla propria madrepatria, sempre più ininfluente e lontana dalle vicende del “Nuovo Mondo”.

Da allora il Brasile iniziò una rapida ascesa, in opposizione al Portogallo, in rapido declino. Oggi è la decima economia del pianeta. Questo rende Brasilia la capitale neolatina più importante dopo Parigi e Roma.

Con orgoglio i brasiliani, oltre alla propria nazionale di calcio, vantano la propria appartenenza ai cosiddetti BRICS, ovvero un gruppo di nazioni molto diverse fra loro, ma unite dall’idea di un mondo multipolare alternativo al dominio unico americano.

Unica Nazione al mondo, insieme ad Israele, ad aver sperimentato un’immigrazione statunitense. Già, perché al termine della guerra di secessione, molti sudisti trovarono riparo nelle opportunità terriere che gli offriva il Brasile, rispetto a degli Stati Uniti sempre più “nordisti” e liberali.

Ancora oggi, infatti, in alcune parti del Brasile si festeggia la ‘Festa Confederada’.

Ma più importante di ciò, il Brasile oggi è l’unica potenza del pianeta con una classe dominante di origine italiana, sebbene ampiamente assimilata e di cui l’attuale Italia non se ne cura.

Tuttavia, il Brasile odierno è un paese che fatica a risolvere le sue ataviche criticità. Grande esportatore di materie prime ed idrocarburi. Decimo produttore al mondo di petrolio, di cui la Cina resta il suo maggior acquirente. Questo però ha costituito forza e debolezza per il Paese, essendo legati a doppio filo all’economia cinese, Brasilia risente delle migliorie come dei contraccolpi venuti dallo stato del Dragone.

Il mancato Impero odierno del Brasile è altresì pieno di contraddizioni geopolitiche ed economiche. Come dicevamo, è organico alla Cina comunista per sottosviluppata esportazione di risorse naturali, anti Usa per ancestrale rivalità continentale, filorusso per aver abbracciato l’Unione Sovietica in diverse fasi della guerra fredda; il Paese è però al contempo anticinese per timore di una nuova colonizzazione e per la maggior presenza di giapponesi al Mondo fuori dallo stato nipponico. Il Brasile è inoltre il più popoloso Paese cattolico del mondo; ma vista la crescente fede evangelica, intere sacche della popolazione sognano la California e stanno divenendo invise a Mosca e più vicine a Washington.

Ed ecco che ad incarnare tali ataviche contraddizioni arriviamo ai due sfidanti in gioco: il conservatore di origine italiana e parà militare Bolsonaro e il terzomondista, sindacalista e socialista Lula. Il primo ha il voto della popolazione evangelica e cattolico-conservatrice, che guarda all’America conservatrice di Trump. Il secondo, Lula, di ascendenza portoghese, ha il voto degli aborigeni e dei socialisti che sognano un’unione panlatina alleata della Repubblica Popolare Cinese e dei paesi africani. Curioso il fatto è che entrambi siano contro Zelensky e favorevoli alla Russia di Putin, seppur da angolature ideologiche differenti. Questo non fa dormire sonni tranquilli al Pentagono americano, il quale si troverebbe in ogni caso un “vicino di casa” scomodo nel proprio Continente.

Con una ipotetica vittoria di Trump nelle elezioni di medio termine, Bolsonaro sarebbe senza dubbio il presidente verde-oro più auspicabile dalla Casa Bianca, ma sicuramente non dal Pentagono e dall’establishment americana. Viceversa, Lula sarebbe inviso sia a Trump che ai Democratici, poiché troppo legato alla Cina e alla visione terzomondista, la quale avrebbe il supporto continentale di Cuba e del Venezuela, creando precedenti poco piacevoli agli stessi americani.

Qualunque sia l’esito del ballottaggio, il Brasile resterà fra due fuochi, sconvolto dalla naturale quanto intrinseca volontà imperiale di sfidare gli Stati Uniti; e dall’abbraccio mefistofelico della Cina, la quale la vede legata ad essa, nel bene come nel male. A questo si aggiunge una crescente quanto antisociale “anestesia” procurata dal comune fervore confessionale, che vede contrapporsi la maggioranza cattolica minata da una crescente quanto influente minoranza evangelica. Questo, unito alle ancora fortissime contraddizioni sociali e corruzioni dilaganti, rende il Brasile un futuro Impero, legato però ancora ad un “limbo geopolitico” che oscilla fra Occidente e Terzo Mondo.

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Articolo pubblicato il 05/10/2022