Sempre più Paesi dicono stop alle Lobby LGBT

Dalla Turchia alla Russia, dall'Ungheria all'Italia, tutti i Paesi che dicono basta alle teorie e alla propaganda LGBT.

Approfittando del fatto che tutti i giornali e le tv in mano al mainstream dell’informazione stanno parlando solo e soltanto di guerra fra Federazione Russa e Ucraina, costo del gas e dell’energia e risalita dei contagi da Covid-19, le Lobby LGBT approfittano per portare avanti la loro strisciante propaganda.

In molti paesi del mondo, però, i cittadini non abbassano la guardia e scendono in piazza per chiedere ai governanti di mettere al bando le attività delle associazioni LGBT e chiuderne le sedi. Tra tutti il Paese più determinato è la Turchia.

Il 18 settembre scorso, nonostante nessun tg ne abbia parlato, nel quartiere Fatih di Istanbul, sono scesi in strada migliaia di turchi per marciare e protestare contro le Associazioni “arcobaleno”.

I manifestanti hanno espresso precise richieste al Governo di Recep Tayyip Erdogan ed hanno raccolto 150.000 firme a sostegno di un proposta di legge che vieti la propaganda LGBT.

Questo atto non è estemporaneo e non è neppure dettato da un pensiero politico momentaneo visto che in Turchia sin dal 2015 sono state messe al bando le sfilate LGBT, i pride ed altre iniziative volte a spargere come gramigna le teorie del gender e della fluidità sessuale.

Per tutta risposta, il 7 ottobre scorso, il Presidente turco Erdogan – tornando dal Vertice Europeo di Praga – parlando con i giornalisti ha detto: “di recente, hanno introdotto diritti Lgbt nella società, cercando di degenerare la nostra struttura familiare. Quindi faremo quello che serve”.

In Russia, invece, al netto delle critiche dei giornali occidentali, il Governo di Mosca ha multato la Società IT di Pechino ByteDance, proprietaria del celebre social network “TikTok”, “per non aver eliminato i contenuti che violano le leggi russe sulla propaganda LGBT”. Il Tribunale Distrettuale di Tagansky di Mosca ha fatto sapere che ai proprietari di “TikTok” è stata comminata una sanzione di 3 milioni di Rubli, circa 51.000 dollari.

In Ungheria, il molto apprezzato Presidente Viktor Orban, ha proposto una legge che vieta di mostrare immagini di persone, coppie e famiglie LGBT o di parlare di identità di genere o orientamento sessuale nelle pubblicità accessibili a minori.

Il Popolo ungherese pare essere d’accordo con il suo presidente ma David Vig, attivista di “Amnesty International” Ungheria, dice che: “queste proposte hanno echi oscuri della “legge di propaganda” anti-gay russa, stigmatizzeranno ulteriormente le persone LGBTI, esponendole a una maggiore discriminazione in quello che è già un ambiente ostile”.

In Italia la RAI starebbe persino pensando di trasmettere in diretta la sfilata del Gay Pride, facendola diventare de facto una manifestazione istituzionale.

Sulla questione è intervenuto Federico Mollicone, parlamentare e responsabile della cultura di “Fratelli d’Italia”, che intervistato da “Il Riformista” ha detto: “La sfilata del Gay Pride è fatta da organizzazioni private. Ben diversa dagli eventi istituzionali. E’ giusto che i tg se ne occupino ma addirittura la diretta mi sembra troppo. Io personalmente non ci andrò e invito tutti a fare lo stesso. Questi sono spettacoli non edificanti. Un conto è difendere oggettivamente i diritti degli omosessuali, un conto è fare spettacolo su questo”.

Dalla breve panoramica che abbiamo fatto si può vedere che molte grandi nazioni hanno problemi con la propaganda LGBT, con il continuo “bombardamento” mediatico a loro favore e con la crescente minaccia che le teorie del gender costituiscono per la Famiglia tradizionale.

Certamente continueremo a seguire gli sviluppi della questione e a monitorare la posizione che ciascun Paese prenderà in tal senso. Il tema del calo demografico e della necessità di avere più famiglie e più figli è nelle agende di tutti i Paesi civili e democratici.

Sarebbe un errore cedere alle pressioni di una minoranza ideologizzata e politicizzata che vuol far passare concetti controversi all’interno di legislazioni che, per loro natura, devono rappresentare le maggioranze.

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Articolo pubblicato il 12/10/2022