Il campionato mondiale in Qatar e gli stadi costruiti sul sangue dei migranti

Vergognose, disumane condizioni di lavoro nella costruzione degli stadi. Migliaia di vittime e moti di boicottaggio mediatico

Il campionato mondiale di calcio 2022 inizierà domenica 20 novembre in terra di Qatar e terminerà il 18 dicembre. In questi giorni la macchina mediatica è partita con il conto alla rovescia e la Rai, che ha il monopolio della diretta, già sta chiamando a raccolta milioni di telespettatori con una campagna allettante e convincente. Il mondiale, mostruoso business dalle mille teste, non vedrà “della partita” l’Italia di Mancini, deludente dopo l’abbuffata degli europei, ed è una meritata punizione, però…

Lo sport ha ripagato il tricolore con altro. Infatti, mai come in questo biennio 2021 2022 splendidi atleti italiani hanno trionfato in molte altre specialità, cantando l’inno di Mameli con la mano sul cuore e la medaglia al collo. Dunque, la spedizione dei calciatori in terra di Qatar ci mancherà meno e i motivi sono tanti, poiché trattasi di un’area del mondo ricca, ma per certi versi, ancora molto distante dagli standard di diritti e doveri occidentali, quindi vale la pena soffermarsi su alcuni pensieri.

Nei paesi confinanti i diritti civili, soprattutto quelli delle donne, sono regolati da leggi della Sharia ante medievali. Negli Emirati Arabi la tolleranza è più civile, ma se compariamo le severe norme della sicurezza sul lavoro in voga nel Vecchio Continente rispetto al Qatar e la manodopera assunta per costruire gli impianti del mondiale, spunta un pesante paradosso, non solo ideologico.

Il mondiale di calcio 2022 prevedeva la costruzione di undici nuovi stadi da parte del Qatar. Un progetto fattibile per Doha, che in pochi decenni ha mutato uno spicchio di deserto in una delle nuove meraviglie del mondo.

La maggior parte dei nuovi impianti sono stati progettati dallo studio di architettura Fenwiclk Architets insieme agli ingegneri Schiach Bergmann Partner & Hudson Moran, scegliendo strutture smontabili, costituite da tribune sorrette da un insieme di container impilati e legati da ardite strutture metalliche lasciate a vista.

Fin qui, informazioni filtrate su scelte tipologiche di impianti sportivi che sorgeranno tra le terre del deserto, ma per mano di chi? I dati che già da un paio d’anni circolano sul numero di lavoratori deceduti nel periodo 2021-2022, durante la costruzione degli impianti sportivi fanno accapponare la pelle.

Già nel 2021 il “Guardian” valutava in oltre 6500 il numero di migranti morti durante la realizzazione degli stadi. Stessi risultati sono stati diffusi da Amnesty International. Infatti, dati provenienti da India, Pakistan, Nepal e Sri Lanka riportavano 5927 morti nel corso dei lavori. Numeri incompleti, poiché non includono incidenti che hanno coinvolto operai di altri Paesi tipo: Marocco, Senegal, Filippine o Kenya.

La cifra ufficiale diffusa dal Comitato Organizzatore di Doha, riduce a soli 37 gli incidenti sul lavoro. Altre vittime sono abbinate a poco credibili motivi di salute, mentre le testimonianze sempre più frequenti, raccontano di condizioni lavorative infernali e nessuna indagine forense nei confronti di salme rispedite alle famiglie con certificati di “morte naturale”!? Lavoratori ingaggiati per € 340 al mese, per 11 ore di lavoro al giorno e sei giorni alla settimana.

Eppure, nel maggio 2022 il numero uno della FIFA Gianni Infantino, in una convention a Los Angeles, rispondendo a domande dei cronisti di Associated Press, ha ridotto a tre il numero, aggiungendo: “6000 morti? La FIFA ha dato lavoro a 1,5 Milioni di lavoratori”.

Dunque il problema è liquidato con poche parole? Di certo, la grande kermesse calcistica prossima ventura ci stupirà con chissà quali nuove meraviglie digitali e nonostante le maglie azzurre siano rimaste a casa, non è difficile ipotizzare un grande seguito sul piccolo schermo con grande tornaconto degli sponsor e della Rai.

Le voci indignate che chiedono un boicottaggio dell’evento si sono levate da più parti nel mondo. È a questo punto che sorge più di una riflessione: per solidarietà con migliaia di vittime senza nome, per coerenza con i nostri codici legati alla sicurezza sul lavoro, e altresì, ricordando le conquiste sociali delle donne e le aperture mentali sia della società civile che della Chiesa, non sarebbe certo un’infamia boicottare il business legato ai numeri dell’audience e cercare di trattenersi, di non guardare il mondiale e appassionarsi ad altro.

Non succederà e probabilmente sarò il primo a contraddire me stesso, ma da un po’ di tempo mi auguro che a trionfare sia una squadra africana, uno di quei Paesi da cui sono pervenuti tanti lavoratori sfruttati e deceduti per consentire di esibire un fasto insanguinato nel mondiale più indecente della storia del calcio. Che l’Italia sia rimasta a casa per un rigore sbagliato!?… a questo punto diventa quasi un vanto… 

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Articolo pubblicato il 25/10/2022