Un giorno in Val Seriana (Bergamo)

Storia, fede e arte sopravvivono alle industrie

«Bergamo, la città geniale in sapienza e in prodezza, in meditazione e in azione, solitaria e raccolta sul colle intorno al suo vecchio Palagio, ove lo spirito del libero Comune dorme nel silenzio dei libri, immemore di discordie e di tumulti, operosa e giovanile al piano, sonante di industrie ordinate, protesa alle conquiste più nuove, fatta sempre più capace a contenere e a versare la ricchezza di quelle immense cornucopie che sono le sue due valli...» (Gabriele D'Annunzio).

Con le sue auliche parole, D’Annunzio ha voluto ricordare che Bergamo e le sue valli non sono soltanto industria pesante, come si è portati a pensare. Una delle sue valli è la Val Seriana: prende il nome dal fiume Serio, che la percorre, e si sviluppa a nord est di Bergamo. Grazie alla fertilità del territorio e alla posizione di passaggio conosce una grande floridezza a partire dall’età comunale. Sarà possesso dei Visconti e della Repubblica di Venezia, sotto la quale si sviluppa l’attività manifatturiera.

Le parole del capitano Michele Foscarini (18 settembre 1585), ci permettono di comprendere questo fenomeno: «[...] Valle Seriana paese assai fertile, pieno di mercanti ricchissimi sino di 100 mille scudi di facoltà per il gran numero de panni che si fabrichano in essa Vale, quali si contrattano in diverse parti d'Italia, ma principalmente negotiano par Ongharia et per terre thodescha.»

Nell’Ottocento l’industria esplode grazie a imprenditori e capitali svizzeri, soprattutto ad Alzano, Albino e Nembro (nomi diventati famosi nella prima ondata della pandemia covid).

Ad Albino, ad esempio, sorgeva il Cotonificio Honegger, un vasto complesso industriale, prima dismesso e poi abbandonato all’incuria e alla devastazione. Da poco è stato acquistato da nuovi proprietari ed è iniziata l’opera di bonifica e recupero. 

A pochissima distanza c’è quel che resta del suo Villaggio Operaio.

Qui è tutto abbandonato, accanto ad alcune villette sorte nel frattempo alle sue spalle. Qualche porta di casa è rimasta aperta, come se gli abitanti l’avessero dimenticata o l’ultimo operaio si fosse allontanato per andare al lavoro la mattina e nessuno fosse più tornato a chiuderla.

Gli agenti atmosferici hanno prodotto i loro danni nel tempo, ma è l’incuria il peggior effetto sui luoghi abbandonati: scritte murali, asportazioni di qualunque suppellettile o arredo di valore e, quel che più colpisce, cataste di rifiuti ovunque.

Clusone è definita “la città dipinta” per i particolari cicli di affreschi che la caratterizzano, dedicati al Trionfo della Morte e alla Danza Macabra.

Camminando nel silenzio del paese alto, incontriamo un serie di edifici sacri di pregio: la Basilica di Santa Maria Assunta, le chiese di S. Defendente e S. Anna, il Santuario del Paradiso e l’Oratorio dei Disciplini, di fronte alla Basilica.

Su quest’ultimo, in facciata, è dipinta una danza macabra, con una variante della leggenda dei vivi e dei morti (mancano i morti, soltanto evocati dal pittore). Mi soffermo su questo scrigno d’arte, composto nel 1485. L’Oratorio prende il nome dalla omonima Confraternita (o dei Battuti, di San Bernardino e di Santa Maria Maddalena), che in esso hanno avuto la loro sede dal XV secolo fino alla soppressione del 1810.

Secondo lo storico clusonese Bernardino Baldi fu proprio san Bernardino da Siena a vestire dell’abito francescano le prime monache clarisse, nel convento di contrada Imvico. L’Oratorio era situato davanti alla vecchia chiesa parrocchiale trecentesca, sul sagrato che ospitava anche l’antico cimitero. Il suo grande affresco parietale è spartito in cinque sezioni: le tre superiori raccontano la morte, i due in basso si riferiscono a quel che avviene dopo la morte. Siamo nel solco della “buona morte” (“Ars bene moriendi”), predicata anche da don Bosco ai suoi ragazzi in oratorio a Valdocco. Abbiamo davanti agli occhi una grande e sacra rappresentazione e, allo stesso tempo, una visione apocalittica.

In alto a sinistra, una scena di caccia con tre cavalieri e un falcone raffigura il tema dell’incontro dei tre vivi e dei tre morti.

Accanto al falcone un cartiglio recita: “Ogna omo more/e questo mondo lassa/chi ofende a Dio amaramente passa 1485”. Dietro i cavalieri, un bosco richiama il Trionfo della Morte di Pisa. Sul lato opposto, sempre in alto, un secondo cartiglio mutilato dall’apertura di una porta riprende una lauda che cantavano i Disciplinati: “Chi è fundato in la Justitia//e lo alto Dio non discha(ro in chore)/la morte a lui non ne vien (con dolore)/Poj che in vita eterna (lo mena assai meliore)”.

Sotto il Trionfo della Morte è rappresentata una Danza Macabra, una processione che sfila davanti agli occhi dello spettatore di ieri e di oggi.

Un gruppo confuso si affaccia da una porta a sinistra, alcuni personaggi ben caratterizzati avanzano, ciascuno in coppia con uno scheletro, a lieve contatto con le dita. Appena oltre la porta, una donna con uno specchio è il simbolo della vanità e la constatazione dello svanire della bellezza durante la vita. In basso a sinistra un frammento dei Vizi Capitali e dell’Inferno, a destra il gruppo mutilato dei Disciplinati, con il viso coperto, faceva parte del tema delle Virtù e del Paradiso.

Il tema della danza dei vivi e dei morti affonda nella cultura popolare medievale: dalle danze nei cimiteri per esorcizzare la morte, alle file apocalittiche di morti vaganti per le campagne. L’ambiente in cui nasce la Danza Macabra è appunto il cimitero, la città dei morti dentro la città dei vivi, come fu fino ai tempi napoleonici.

Con questa storia alle spalle e con l’anno duemila che si approssimava, a partire dal 1993 a Clusone si celebra la “festa del millennio”, una sorta di visita tematica e guidata all’alba e ai monumenti cittadini. Alcuni temi emblematici sono stati: 1994, l’attesa della fine dei tempi; 1999, il pellegrinaggio, l’incontro dei vivi e dei morti; 2004, S. Martino, il demonio, la predica e l’esorcismo; 2009, la contesa per l’anima, la morte e i santi; 2014, la danza macabra.

A Gandino, sulla piazza principale, troneggia la Basilica di Santa Maria Assunta. Citata per la prima volta in un documento del 1181, viene ricostruita a partire dal 1421. Si celebrano ancora con devozione la festa del Corpus Domini e il Triduo dei Morti, a cavallo della seconda domenica di Quaresima. È stata elevata al titolo di Basilica Minore da un “breve” di papa San Pio X del 17 maggio 1911.

In una via, un cartello indica il Museo delle Orsoline di Maria Vergine Immacolata (1). Il complesso è molto vasto, con il suo chiostro che invita a fermarsi ad ascoltare il silenzio. Conteneva anche un teatro, oggi utilizzato da una scuola di danza. Una anziana suora mi accompagna con pazienza alla visita del Museo, ricchissimo di oggetti sacri.

Questo monastero viene fondato il 16 ottobre 1610, anno della canonizzazione del cardinale Carlo Borromeo, il santo arcivescovo di Milano (di origini novaresi) che era rimasto nella memoria dei gandinesi per la sua visita apostolica alla parrocchia nel novembre del 1575. Una ducale veneta del 16 ottobre 1610 concedeva il permesso «alla terra di Gandino di poter in essa edificar un Monastero di Monache ad accrescimento del culto di Dio, e commodità di molte povere fi glie di quel luogo».

Il 23 marzo 1616, il vescovo di Bergamo Giovanni Emo invia una relazione alla S. Congregazione dei Regolari, nella quale scrive che «la fabbrica è ridotta a termine tale che i muratori non havranno da entrare nel monastero, se altro non accade. La chiesa è compitamente finita. L’altare è tenuto, ornato e uffitiato con molta decenza, havendo croci, tovaglie, palii et altre cose necessarie copiosamente... Le muraglie del monasterio a torno sono alte, forti e ben fondate; non è dominato da alcuna fabrica vicina... Si è fatto un appartamento separato per l’educande». Dalla lettera del Vescovo si conoscono anche altri particolari: la chiesa del monastero era dedicata a San Carlo Borromeo; la regola adottata era quella di San Benedetto; il monastero aveva una rendita di 300 scudi annui, sufficiente per 13 monache, l’abitazione poteva ospitare 25-30 religiose.

Nel 1880 il complesso viene acquistato dalle Suore Orsoline.

Per meglio coordinare l’attività delle varie case e migliorare le comunicazioni con le autorità ecclesiastiche, Madre Innocente Mazza (1871-1960), superiora generale dal 1921 al 1939, trasferisce la Casa Generalizia e il Noviziato da Gandino a Bergamo, presso l’ex monastero degli Umiliati «de la Magione», in via Masone.

L’acquisto avviene nel 1922 e la data ufficiale del trasferimento è il 14 agosto 1923. Il convento di Gandino ha tuttavia continuato ad essere la casa più significativa per l’Ordine, lo scrigno delle memorie antiche, e soprattutto il luogo del riposo e della cura delle suore anziane o ammalate.

L’Istituto delle Suore Orsoline di Maria Vergine Immacolata (dette di Gandino) è stato fondato a Gandino il 3 dicembre 1818 dal parroco don Francesco Della Madonna (1771-1846) insieme ad undici giovani maestre bergamasche e milanesi, provenienti da Paderno d’Adda.

Attento ai bisogni pastorali della sua parrocchia, il fondatore aveva individuato nell’educazione femminile il punto-chiave per la riforma cristiana della società, nel difficile contesto storico della Restaurazione, dopo le guerre napoleoniche che avevano cambiato radicalmente il volto dell’Europa. Un pensiero molto vicino a quello di don Bosco, della Marchesa di Barolo e dei santi sociali torinesi, oggi attuali più che mai nel difficile percorso del terzo millennio.

Note

(1) Suore Orsoline. L'originaria congregazione delle Orsoline è fondata da Angela Merici (1474-1540), canonizzata nel 1807: dopo l'ingresso nel terz'ordine francescano, inizia a impartire lezioni di catechismo alle bambine e ragazze di Desenzano del Garda e nel 1516 viene invitata a svolgere la stessa opera a Brescia. Nel 1566 l’Arcivescovo Carlo Borromeo chiama le Orsoline a Milano. Seguendo il suo esempio, molti vescovi favoriranno la formazione di compagnie di Orsoline nelle loro Diocesi ma, non di rado, con deviazioni o applicazioni particolari che ne snatureranno il carattere essenzialmente secolare: in numerose città le orsoline smettono di abitare presso le loro famiglie, viene loro imposta l'emissione dei voti e vengono riunite in comunità monastiche (Orsoline Claustrali); altrove le orsoline si riuniscono per condurre vita comune dando origine a congregazioni religiose (per esempio, le Suore Orsoline di San Carlo a Milano). Si sviluppano, così, tre generi di Orsoline: quelle secolari, quelle claustrali e quelle di vita comune senza clausura. Tutte le categorie vengono duramente provate durante il periodo napoleonico.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 04/11/2022