Midterm: Trump e Biden vicini alla resa dei conti

Le elezioni di medio termine Usa si avvicinano sempre più. Ci sarà il ritorno di Trump?

Nessuno dei due nomi è stampato sulla scheda elettorale, ma i volti di Joe Biden e Donald Trump sono ben impressi nella mente degli americani che il prossimo otto novembre saranno chiamati a rinnovare il Congresso. Martedì infatti, negli Stati Uniti, si vota per le elezioni di metà mandato. Sono elezioni che si tengono, più o meno, due anni dopo l’elezione del presidente della Repubblica. 
 
Si vota per il rinnovo completo della Camera dei Rappresentanti (che resta in carica solo due anni) e per quello di un terzo del Senato (i senatori restano in carica sei anni, ma vanno al voto in modo sfalsato, in modo che ogni due anni il Senato si rinnovi di un terzo). Oltre a questi voti, che riguardano il governo federale (cioè quello centrale), ci sono decine di altri voti locali, per funzionari di varia importanza e ruolo. I più importanti tra questi funzionari locali sono, per evidenti ragioni, i governatori.
 
Vengono considerate quasi come un referendum sulla Presidenza in corso. In realtà non è una percezione del tutto corretta, sia perché i padri costituenti le hanno concepite pensando più a un freno di emergenza che a un referendum, sia perché, comunque, negli ultimi decenni il loro valore di “referendum” si è molto annacquato. È dai tempi di Jimmy Carter (con l’eccezione di George W. Bush) che non si verifica la circostanza di un presidente in carica il cui partito vince le elezioni di metà mandato.
 
I sondaggi e, ancor di più i modelli previsionali, assegnano la vittoria alla Camera ai repubblicani, mentre sembra che il Senato sia in pareggio (ma con tendenza verso una vittoria repubblicana). Lo stesso vale per le corse dei governatori, destinate, secondo i sondaggi, ad essere vinte dai repubblicani.
 
Se Biden dovesse perdere le cose si metterebbero male. Il problema è che da qui al 2024 mancano due anni. Due anni nei quali molte cose dovranno essere decise. I poteri del Presidente degli Stati Uniti sono piuttosto limitati. Oltre ad una Corte Suprema 'trumpiana', le sue leggi devono passare dalle camere che hanno il potere (soprattutto il Senato) di cambiarle oppure di bocciarle.
 
Per questo, benché la statistica dica che non c’è da impensierirsi più di tanto per il risultato delle elezioni parlamentari, il Presidente Biden sa di non poter dormire sonni tranquilli: perché sa che con un parlamento a maggioranza repubblicana (anzi: trumpiana) non ci sarà nessun margine di trattativa e di accordo, ma solo un costante sabotaggio delle leggi che potrebbero permettere la realizzazione delle sue promesse elettorale.
 
Chi segue abitualmente le elezioni americane sa che, nella stragrande maggioranza dei casi, le elezioni hanno una storia già scritta. Esistono territori così profondamente e radicatamente repubblicani e democratici che i veri giochi si fanno in estate, con le primarie. Le elezioni vere e proprie, poi, non servono ad altro che a ratificare quanto deciso dalle elezioni interne del partito che, in quella zona, è più forte.
 
Ci sono però alcune eccezioni, ossia stati che non hanno una fede politica solida, chiara e che, al contrario, tendono a cambiare casacca da un voto all’altro. Sono i cosiddetti Swing States, quelli nei quali, in buona sostanza, si decide la partita. Negli anni, l’elenco degli Swing States è cambiato più volte. Fino a qualche anno fa, erano considerati in bilico, la Florida e l’Ohio.
 
Oggi, invece, la partita sembra giocarsi tutta in Georgia, Pennsylvania, e Arizona e Wisconsin. 
Insomma, il voto di novembre è nella sostanza un test per il presidente e per l’ex che, nonostante i guai legali, schiera i suoi fedelissimi e punta a tornare nel 2024.
I Lib-Dem le stanno provando tutte per fermare Trump. Prima hanno mandato il FBI a casa sua. Poi l'ennesimo tentativo di accusa per i fatti di Capitol Hill del 2020. Ora un nuovo Russia Gate, dove addirittura si ipotizza un coinvolgimento fra Trump e Putin per invadere l'Ucraina. Insomma, siamo alla follia. I Dem sono disperati. Arriverà un'ondata rossa, ma non quella che sperano loro. L'elefantino repubblicano sta tornando in grande stile. Con un autentico riferimento per la classe media americana, quella più impoverita dalle politiche fallimentari dei Dem e di Biden. 
 
A pochi giorni dall’appuntamento con le elezioni di midterm, il tasso di approvazione del presidente Joe Biden è sceso al 43%, mentre i candidati repubblicani continuano a dominare nei dibattiti. 
Quello che doveva sembrare un test per Trump e per un GOP ancora troppo diviso, rischia di diventare un ecatombe elettorale per l'inquilino della Casa Bianca, da metà degli americani percepito come abusivo.
La carta da giocare per la sinistra è sempre la stessa, in tutte le latitudini. La salvaguardia della democrazia. Il pericolo democratico incorre, specie se le elezioni popolari non vanno nel senso sperato. Ma si sa, questi appelli mossi nel nome dell'antifascismo e di una presunta tenuta delle istituzioni democratiche lasciano il tempo che trovano. In Italia ha trionfato la destra della Meloni. A poco sono servite le grandi ammucchiate antifasciste in Svezia come in Francia, fino alle ultime elezioni in Israele, dove Netanyahu si troverà a formare un governo con l'estrema destra. La sinistra piagnucola, spaesata e piena di bile rabbiosa, ignara dell'epoca che sta vivendo. Ancorata a vecchi clichè, e a vecchie parole d'ordine, che oscillano fra il '68 e un manipulitismo da anni '90, non capiscono come sia possibile che, non solo il ceto medio, ma persino la vecchia classe operaia li ha abbandonati. 
Diversi segnali positivi lasciano ben sperare. I popoli stanno via via riacquistando la propria sovranità, a discapito di una classe politica completamente asservita ai grandi ceti finanziari.
Che dire, questo è un classico esempio di eterogenesi dei fini. Dove più ci si muove per scongiurare un fenomeno democratico, più il popolo, con il voto, ti porta esattamente dove non volevi andare.

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Articolo pubblicato il 05/11/2022