Giorgia Meloni ringrazia Cristina

Cristina Trivulzio di Belgioioso, la principessa che costruì l’Italia

Nel discorso d’insediamento del governo per chiedere la fiducia, tenuto alla Camera dei Deputati il 25 ottobre scorso, il premier Giorgia Meloni ha citato un Pantheon, tutto al femminile, di donne da omaggiare, elencandole sole per nome.

Ospitiamo uno studio analitico scritto di recente dalla Professoressa Annalisa Palumbo, sulla prima donna citata, Cristina Trivulzio di Belgioioso, il cui ricordo è documentato anche al Museo del Risorgimento di Torino.

“La principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso moriva il 5 luglio del 1871. Donna indipendente e all'avanguardia, lottò per tutta la vita per un’Italia unita e soffrì l’esilio pur di liberare lo stivale dal giogo della corona austriaca.

Patriota, giornalista, viaggiatrice, scrittrice e donna. Cristina Trivulzio di Belgioioso, battezzata come Maria Cristina Beatrice Teresa Barbara Leopolda Clotilde Melchiora Camilla Giulia Margherita Laura Trivulzio, nacque a Milano il 28 giugno 1808.

Figlia di Vittoria dei Marchesi Gherardini e di Gerolamo Trivulzio, discendente di una delle famiglie più in vista dell’aristocrazia milanese, Cristina rimase orfana di padre a soli quattro anni.

Sua madre si risposò l’anno dopo con Alessandro Visconti, in seguito arrestato con l’accusa di aver partecipato ai moti carbonari del 1821 per liberare l’Italia dal giogo della corona austriaca. Quando Visconti fece ritorno a casa, Cristina, che nutriva per il patrigno un profondo affetto, si trovò davanti una persona segnata dalla prigionia. Un anno dopo Cristina rifiutò il matrimonio combinato con un cugino scegliendo invece di sposare il principe Emilio Barbiano di Belgioioso, noto libertino, che venne attratto dalla dote della donna, una delle più cospicue dell’epoca: 400mila lire austriache.

La ormai principessa di Belgioioso era bella, ricca, aristocratica e, nonostante la sua posizione privilegiata, non realizzò nessuna delle aspettative che la società dell’epoca aveva su di lei.

Qualche tempo dopo il suo matrimonio, scoprì l’infedeltà del marito, che peraltro non faceva del suo meglio per nascondere il suo comportamento libertino, e rifiutò di accettarla. Tra le altre cose Emilio le trasmesse la sifilide e le propose di convivere con la sua amante. Alla fine del 1828 i due si separarono formalmente, generando incredulità in tutta la società milanese. «Credetti dovere al mio decoro e al mio titolo di moglie di non acconsentire formalmente alla continuazione delle sue relazioni con la Ruga», scrive Cristina a Ernesta Bisi, dapprima sua insegnante di disegno e in seguito sua migliore amica.

Ma la scelta di non sottostare a un matrimonio infelice condannò la principessa a essere perseguitata dai pettegolezzi ovunque andasse; il suo comportamento poco ortodosso – e sicuramente non adatto a una donna del suo rango – attirò l’attenzione della polizia austriaca. La tranquillità di Cristina era inoltre disturbata dai primi sintomi dell’epilessia, che la costringevano a letto per lunghi periodi.

Una donna indipendente.

Proprio a causa del suo stato di salute decise di partire per Genova, dove visse un periodo particolarmente felice lontano dai pettegolezzi della società milanese. Poi lasciò a malincuore la città per andare a curarsi a Napoli, e in seguito per un paio d’anni viaggiò per tutta la penisola. Entrò in contatto con vari esponenti della carboneria romana, fra cui Ortensia di Beauharnais, la madre di Luigi Napoleone, che sarebbe poi diventato Napoleone III. Sostenne un tentativo di rivolta contro gli austriaci, entrò in contatto con Giuseppe Mazzini e continuò a viaggiare, prima in Svizzera, poi in Provenza e finalmente a Parigi.

I suoi continui spostamenti acuirono i sospetti della polizia austriaca, che pose i beni milanesi della principessa sotto sequestro, vincolandoli al suo ritorno in patria. Invece di cedere al ricatto, Cristina si aggrappò ancora di più alla causa italiana. Accettò l’esilio piuttosto che ritornare sotto il controllo austriaco, ma era sola e senza soldi. Per la prima volta dovette ingegnarsi per provvedere da sola al suo sostentamento.

Insegnò disegno e pittura e iniziò a scrivere sul Constitutionnel, traducendo anche articoli dall'inglese sulle questioni politiche italiane. Come volontaria tessé pizzi e coccarde e a poco a poco, grazie anche a un prestito da parte della madre e all'intercessione dell'ambasciatore austriaco, riuscì a rimettere in sesto le sue finanze quel tanto che bastava per trasferirsi in un appartamento più grande, in rue d’Anjou.

Il suo salotto divenne uno dei più conosciuti di Parigi: la principessa lo trasformò in un porto sicuro per i patrioti italiani che visitavano la città o che cercavano aiuto. Nonostante l’interesse degli innumerevoli intellettuali dell’epoca che frequentavano il suo salotto, Cristina ebbe un’unica storia d’amore durante i quasi dieci anni di esilio parigino. Fu con lo storico schivo e riservato François Mignet, probabilmente il vero padre della sua unica figlia, Maria, nata il 23 dicembre del 1838.

Con l'ascesa al trono del nuovo imperatore Ferdinando I d’Austria, Cristina poté recuperare i suoi beni e nel 1840 tornò finalmente a Locate. Nel silenzio delle campagne lombarde cercò di condurre una vita tranquilla, allontanandosi da salotti e impegni mondani e dedicando molti sforzi a migliorare la condizione della popolazione contadina, ispirandosi alle teorie del socialismo di Fourier e di Saint-Simon. Questo non la distolse dal suo impegno politico. Studiò, scrisse saggi e continuò la sua attività giornalistica senza sosta.

Nel 1847 riprese a viaggiare, allacciando rapporti con i maggiori esponenti del Risorgimento: incontrò Cavour, Cesare Balbo, Nicolò Tommaseo, Giuseppe Montanelli e lo stesso Carlo Alberto.

Scoppiati i moti del 1848, sbarcò a Napoli, raccolse un battaglione di 150 volontari e si recò a Milano, dove entrò in città accompagnata da circa 200 partenopei che vennero scherzosamente denominati “l’esercito Belgioioso”.

La città venne temporaneamente liberata, ma appena quattro mesi dopo, il 6 agosto 1848, gli austriaci ne ripresero il controllo. Nonostante la sconfitta, non si perse d’animo, determinata a lottare per un’Italia unita. Appena un anno dopo si recò a Roma per difendere la neonata repubblica romana e le venne assegnata l’organizzazione degli ospedali. Cristina svolse questo compito con dedizione e mano ferma grazie all’aiuto di volontarie: molte donne, esponenti della borghesia ma anche prostitute che lei stessa aveva convocato, accorsero per assistere i feriti.

Un nuovo esilio.

Purtroppo però la repubblica cadde dopo qualche mese, il 4 luglio del 1849, e lei fu costretta alla fuga salpando su una nave diretta a Malta.

Iniziò così un viaggio che finì in Asia Minore, nella sperduta e desolata valle di Ciaq Maq Oglù, vicino all’odierna Ankara, in Turchia.

Qui, accompagnata solamente dalla figlia Maria e da pochi altri italiani, fondò un’azienda agricola e dette riparo a tutti gli espatriati che poté aiutare. Di nuovo lontana, tornò a scrivere, raccontando le sue peripezie in Oriente. Cinque anni dopo fece finalmente ritorno in Francia e, in seguito a un condono da parte della corona austriaca, poté ristabilirsi nella casa di famiglia, a Locate.

Nel 1861 si costituì finalmente l’Italia unita e la principessa si ritirò dalla scena politica. Passò i suoi ultimi anni tra Locate e il lago di Como insieme alla figlia, sposata con Ludovico Trotti Bentivoglio. 

Morì il 5 luglio 1871, a 63 anni. Nessuna autorità politica della neonata nazione accorse a porgere l’ultimo saluto alla principessa, che venne sepolta con una cerimonia semplice a Locate di Triulzi, dove riposa tuttora”.

Annalisa Palumbo

 

 

 

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Articolo pubblicato il 06/11/2022