
A proposito della nuova opposizione di sinistra
Governare l’Italia da destra è sicuramente un’impresa di enorme complessità, e Giorgia Meloni ci sta provando con una grinta e una tenacia che solo certe donne con ideali attributi maschili sanno utilizzare.
Certo, in questa primissima fase prevalgono gli atteggiamenti tattici del nuovo esecutivo, atteggiamenti volti principalmente a non inquietare troppo i padroni d’Europa e del mondo, ma ci auguriamo che, passata la fase iniziale di acclimatamento, la Signora della Garbatella voglia tener fede a quanto promesso in campagna elettorale e di cui ha già dato qualche avvisaglia col decreto “anti-rave”, col reintegro dei medici non vaccinati e con un pugno molto più fermo in materia di immigrazione irregolare. Lasciamole il tempo necessario.
Ma un’impresa ancora più complessa sembra essere quella di mettere in piedi una accettabile opposizione a questo governo.
La sinistra ha perso la testa a tutti i livelli e in tutte le sue le sue componenti ed è precipitata in una irrazionalità incontrollata e incontrollabile. Abituata da anni a stare al potere senza vincere le elezioni, non ha mai sviluppato l’umana capacità di elaborare il lutto e oggi si agita menando calci e pugni a qualunque visione del mondo che non sia la sua. Una rabbia talvolta gelida, talvolta infuocata, ma sempre priva di coerenza, di fair play, di rigore intellettuale.
A partire dal Presidente della Repubblica, a cui l’inevitabile incarico dato alla Meloni deve essere costato qualcosa, anche sotto il profilo psicologico, tant’è che oggi azzarda di tanto in tanto considerazioni politiche e ammonimenti scientifico-sapienziali che la Costituzione non gli attribuisce (non ci risulta, dal testo costituzionale, alcun “potere di monito” o di generica “vigilanza politica” sull’esecutivo) ma che egli decide talvolta di donarci come un buon padre di famiglia, anche se non ci è dato sapere da quali studi abbia dedotto la tesi secondo cui il Covid non è finito, e che l’unica responsabile della situazione ucraina e l’unica minaccia alla pace mondiale siano costituite da una Russia malefica e aggressiva.
A scendere, abbiamo la nomenclatura del Partito Democratico che ormai vive in perenne emergenza democratica, atterrita dai fascisti di ieri e di oggi sempre in marcia su Roma, come cent’anni fa, magari con partenza da Predappio. Oppure disperatamente indignata da un decreto anti-rave, precisamente mirato a prevenire e reprimere quel tipo di eventi, ma che il PD ha gonfiato di significati e riempito di profezie minacciose in quanto eventualmente applicabile a ogni manifestazione pubblica e a ogni espressione del libero pensiero.
Cosa di un’assurdità evidente a chiunque si sia presa la briga di leggerlo, ma che non riesce ad entrare nella rete neuronale di Letta e dei suoi compagni, e che pare aver sconvolto anche la vita di un Giuseppe Conte sempre più scalmanato, quasi un tupamaro metropolitano che sembra offrire ogni giorno cravatta e pochette al piombo della repressione poliziesca.
Nessuno di questi soggetti -versione odierna dello smemorato di Collegno- sembra ricordare che, solo pochi mesi fa, proprio loro hanno imposto lo stato d’assedio all’Italia con decreti-legge e DPCM che hanno messo in ginocchio la Costituzione e fatto strame dello stato di diritto, dei nostri diritti individuali e delle nostre garanzie giuridiche, chiudendoci in casa, imponendoci il green pass, togliendo il lavoro ai non vaccinati e spazzando via dalle piazze con idranti e manganelli chi protestava contro quelle infamie. Non si tratta più di opposizione politica ma di dissonanza cognitiva al limite della patologia, quasi che il popolo italiano non sapesse riconoscere in questi odierni e vociferanti difensori dei diritti le stesse persone che appena l’altro ieri li hanno calpestati con gli stivaloni della repressione sanitaria.
Il reintegro dei medici e degli infermieri non vaccinati, una misura semplice e civile, basata ad un tempo su solide considerazioni scientifiche (checché ne dicano gli ayatollah vaccinisti), su di un umano senso di giustizia, e su una volontà di superare le barbariche contrapposizioni del passato ha poi scatenato un’altra ondata di irrazionalità oppositiva.
Non staremo qui a riprendere e discutere dati, studi, opinioni, di cui ormai nessuno più si fida. Che i cosiddetti vaccini anti-Covid non siano mai stati, e non siano tuttora, né efficaci né sicuri ormai lo sanno tutti quelli che vogliono saperlo, con buona pace di un Mario Draghi che passerà alla storia non tanto per le cose che non ha fatto ma probabilmente per la sua esaltata, incauta e falsa affermazione vaccinale a reti unificate nel luglio del 2021. Che i vaccinati, tra cui i sanitari, possano contagiarsi e contagiare esattamente come gli tutti gli altri è un dato di fatto accettato dalla scienza vera e non dogmatica, dall’opinione pubblica internazionale e da quella nostrana e dal senso comune più diffuso.
Sfugge pertanto il senso della crociata superstiziosa della sinistra e dell’apparato politico-medico-farmaceutico contro l’anticipo del provvedimento di reintegro, a meno che non si veda chiaramente dietro tutto ciò l’ultima estrema resistenza degli sconfitti della narrazione vaccinale che l’opposizione ha militarizzato e scagliato contro il nuovo corso politico.
Speriamo anche nel buonsenso di Forza Italia che, con la sua gran sacerdotessa del vaccinismo, la nota infermiera frustrata nelle pretese governative, non faccia saltare tutto per amore di siringa.
E infine l’immigrazione, cavallo (o altro equino) di battaglia della sinistra in sovra eccitazione oppositiva.
L’impostazione meloniana, piaccia o no al buonismo italico e agli armatori del traffico migratorio internazionale, cerca di fronteggiare un problema che, per un paese come il nostro, è di una gravità estrema, soprattutto dopo anni di ignavia di una sedicente ministra che non solo non ha mai preso una minima iniziativa in una materia di sua stretta competenza ma, da brava impiegata ministeriale, non ha mai espresso un’opinione, mai una parola, mai un progetto. Solo il silenzio e il tedio al potere: un atteggiamento che tutti noi abbiamo pagato collettivamente in termini di sicurezza e degrado sociale.
Oggi abbiamo bisogno d’altro, la gente vuole altro. E vuole, al di là di una qualche sgradevole ma necessaria durezza nella gestione dell’emergenza migratoria, un nuovo patto con l’Europa che, in questi anni, si è ostentatamente disinteressata degli arrivi sulle nostre coste -quasi avesse già deciso di trasformare l’Italia nel campo profughi del continente- mentre in altri casi, e per il tramite di certi stati, ha invece applicato con asprezza la tutela dei propri confini.
Non c’è dunque da stupirsi se oggi la Meloni ripropone il tema, sentitissimo a livello popolare, appunto della “difesa dei confini”, tema che non è solo un problema di politica internazionale ma anche e soprattutto di ordine e di benessere interno. Se l’Europa sarà ancora una volta sorda su queste cose, bisognerà ripensare radicalmente il nostro rapporto con quella istituzione, anche se il PD comincerà a ululare alla luna sovranista che emerge dalle nebbie della destra reazionaria.
Naturalmente la sinistra dei superattici e delle ZTL non capisce nulla di tutto ciò. Persa nelle sue astrazioni umanitarie e globaliste non sa che esiste gente diversa dai suoi simpatizzanti, gente che vive la quotidianità multirazziale più come un drammatico problema di quartiere che come una benedizione della modernità mondialista.
E anche qui mette in campo un’opposizione irrazionale, ideologica, retorica, un’etica dell’intenzione contrapposta all’etica della responsabilità che, in passato come oggi, gli ha provocato solamente una copiosa emorragia di consensi regalando la vittoria elettorale alla destra.
Ma c’è qualcosa di ancora più pericoloso nella concezione e nell’attuale gestione dell’opposizione di sinistra: un serio rischio di eversione. Sì, proprio quell’eversione che il PD e i suoi vicini di casa imputano alla destra meloniana e leghista.
Un giurista come Gustavo Zagrebelsky ha sostenuto in un recente articolo (ovviamente su Repubblica) la possibilità di una “disobbedienza consapevole”: tema non proprio nuovissimo e risalente quantomeno a Sofocle e alla dialettica Antigone-Creonte, e trattato da Zagrebelsky in maniera, a nostro avviso, poco lucida in quanto non si capisce bene se al cittadino sia consentito disobbedire alle leggi ritenute ingiuste, oppure percorre solo la via strettamente legalistica del ricorso alla Corte costituzionale.
In ogni caso l’articolo sembra sdoganare l’idea che disobbedire alle leggi “ingiuste” sia lecito e addirittura, nelle parole del giurista, “benemerito”. A parte la questione fondamentale di che cosa sia la giustizia (è sostanza oggettiva o percezione soggettiva?), come mai oggi si giustifica in qualche modo la disobbedienza civile sui provvedimenti di questo governo ma non la si è ammessa, anche solo pochi mesi fa, sui provvedimenti Conte-Draghi, altrettanto ingiusti, condannando alla morte civile e a pesanti sanzioni gli obiettori di allora?
Ancora una volta i problemi cognitivi della sinistra, la memoria a brevissimo termine e il suo opportunismo morale emergono con chiarezza. E non dimentichiamo che Zagrebelsky non è proprio un opinionista da Bar Sport ma un intellettuale di punta di quella parte politica, e che un articolo del genere appare veramente strumentale e funzionale a quel modo di fare opposizione di cui si diceva all’inizio, un modo caratterizzato da una evidente e spregiudicata incoerenza.
Il pericolo è che qualcuno raccolga il messaggio dell’ex giudice costituzionale e lo trasformi in prassi politica anche grazie al malcelato compiacimento e al supporto del grande giornalismo conformista, cosa che può portare ad un’opposizione che, come dicevamo, potrebbe facilmente sfociare in una eversione più o meno esplicita.
Elio Ambrogio - Vice Direttore
Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini
Articolo pubblicato il 06/11/2022