
Pechino e Washington si confrontano sul futuro. Taiwan nodo gordiano.
I leader di Usa e Cina si sono incontrati per oltre tre ore a Bali per risollevare le relazioni fra le due potenze, in quello che forse è il punto più basso dei rapporti diplomatici fra Washington e Pechino negli ultimi 50 anni.
Quando entrambi erano vicepresidenti dei loro rispettivi Paesi, i due si sono visti 11 volte tra il 2009 e il 2011. “Come leader delle principali economie del mondo, dobbiamo gestire la competizione dei due nostri Paesi”, ha commentato il capo della Casa Bianca. Secondo quanto riferito dai media di stato Cinesi, il presidente cinese Xi Jinping ha sottolineato che “il mondo è abbastanza grande perché sia gli Usa sia la Cina possano prosperare senza necessariamente entrare in conflitto”.
C’è stata intesa sulle questioni economiche. Chiaramente Pechino rimane contraria alle sanzioni contro la Russia, tuttavia, in termini commerciali e tecnologici c’è accordo e volontà fra le parti di collaborare. Ma dopo un colloquio “aperto e schietto”, definizione di Biden, le differenze non si sono affatto appianate. Soprattutto sulla questione Taiwan dove Pechino ha definito inconciliabili “pace e indipendenza” dell'isola.
Il presidente Xi ha affermato che: l’isola di Formosa è una “Linea rossa che non va oltrepassata. Chiunque cerchi di dividere Taiwan dalla Cina violerà gli interessi fondamentali della nazione cinese: il suo popolo non lascerà assolutamente che ciò accada. Taipei, per la diplomazia di Pechino, è una questione interna cinese. È aspirazione comune di popolo e nazione cinesi realizzare la riunificazione e la tutela dell'integrità territoriale”.
In pratica, Beijing continua a risollevare la questione dello stretto di Formosa. Intendendo portare avanti il “risorgimento cinese”. Il conseguimento del Paese sul piano simbolico e l’uscita della propria marina dalle proprie acque territoriali costituisce uno degli intenti fondamentali di Pechino. Ma gli interessi cinesi non collimano solo nel Pacifico. Anche in Europa e in Africa la Cina vuole mettere le mani a discapito delle potenze occidentali, Stati Uniti e Francia in testa. Washington, dal canto suo, vorrebbe bloccare l’azione del Dragone su ogni continente. Il presidente USA ha infatti aggiunto che se Pechino non sarà in grado di tenere a freno la Corea del Nord, gli Stati Uniti faranno di più per proteggere ulteriormente gli alleati statunitensi nella regione.
Le due parti hanno messo a punto un meccanismo per comunicazioni più frequenti e il Segretario di Stato Antony Blinken si recherà in Cina per dare seguito alle discussioni.
Lo scontro fra e due parti sembra essere sempre più inevitabile. È solo questione di tempo. A Bali abbiamo capito che la guerra è solo rimandata. Non bisogna dimenticare che Pechino già possiede una base militare fuori dal continente asiatico, a Gibuti, in Africa. Grazie a quella base si garantisce una fetta di egemonia sul Mar Rosso, nel canale di Suez (da sempre monopolio di inglesi e americani).
La sfida si sposta così in ogni ambito e su tutti i continenti. Non è da escludere che anche l’emergenza pandemica non sia parte di una guerra ibrida combattuta su più lati, da quello NBCR fino alla info e cyber war.
Oramai, le guerre non sono più solamente quelle convenzionali, anzi, il più delle volte vengono provocati conflitti regionali per portare avanti una strategia bellica di più ampio respiro. Questo ci porta a considerare anche la guerra in Ucraina come parte di un disegno più ampio. Dove Russia e Cina, per procura o direttamente, mettono in discussione l’egemonia statunitense.
Non si sa ancora se questo sarà un nuovo secolo breve, oppure lungo. È certo però che questo secolo non sarà un secolo di pace.
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Articolo pubblicato il 16/11/2022